De iure belli

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Il diritto della guerra
Titolo originaleDe iure belli
AutoreAlberico Gentili
1ª ed. originale1598
Generesaggistica
Lingua originalelatino

Il De iure belli (Il diritto della guerra) è un'opera di Alberico Gentili, giurista italiano considerato uno dei "padri fondatori del diritto internazionale",[1] composta nel 1598. L'opera è stata fonte d'ispirazione per il De iure belli ac pacis di Ugo Grozio:[2] Thomas Erskine Holland dimostrò che Grozio, per la composizione della sua opera, prese molte delle idee di Alberico e le inserì nel suo scritto.[3]

La struttura si divide in tre libri,[4] ricoprendo un ruolo fondamentale nello sviluppo del diritto moderno e nella genesi della disciplina. Può essere considerata un'opera "classica" del rinascimento italiano.[5]

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

Il contenuto dell'opera mostra le posizioni e i pensieri del Gentili sulla guerra, sulla tolleranza religiosa, sulla giustizia, diversità culturale e sulla pace:[4][5]

  • nel primo libro esamina la guerra e le sue cause (divine e naturali), concludendo che una guerra deve nascere per una causa onesta,
  • nel secondo libro tratta della giustizia della guerra, dei protagonisti (truppe, strategie, ostaggi, ecc.) e del rispetto verso le donne, i fanciulli e i cadaveri,
  • nel terzo libro dimostra il fine della guerra, ovvero la pace, trattando delle regole da seguire.

Riguardo ai contenuti espressi da Alberico, Angelo Vardarnini scrive:[6]

«Questo il concetto nobilissimo per cui il nome di Alberico va associato ai nostri tempi e vivrà immortale. [...] Egli ammaestrato dalle discordie e dai gravissimi danni di molte e diverse guerre, dai mali che esse arrecano all'umanità, dal ritardo e dagli ostacoli che ne provengono alla civiltà ed al progresso dell'umana famiglia, invocava, [...] la pace perpetua ed universale.»

Nel quinto capitolo del libro primo libro, Alberico criticherà duramente il pensiero di Erasmo da Rotterdam, definendolo come un modo di ragionare infantile e frutto del pregiudizio nutrito dallo stesso lettore,[7] mentre nel sesto riprenderà quello di Baldo degli Ubaldi, sostenendo però che non è necessario che una delle parti belligeranti sia nel torto per sostenere una guerra.

Riguardo alle guerre ritenute giuste dai fedeli della fede cattolica, il Gentili sostiene il rifiuto dei missionari e della fede cristiana non sarebbero cause giuste per iniziare una guerra, prendendo come esempio (cap. XXV, I libro) la conquista del Nuovo Mondo.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Diego Panizza, Alberico Gentili, giurista ideologo nell'Inghilterra Elisabettiana, Padova, La Garangola, 1981, OCLC 9874796.
  2. ^ Davide Suin, Principi supremi e societas hominum: il problema del potere nella riflessione di Alberico Gentili, in SCIENZA & POLITICA per una storia delle dottrine, vol. 24, n. 56, 2017, DOI:10.6092/issn.1825-9618/7106.
  3. ^ Thomas Erskine Holland, The Laws of War on Land, Oxford, The Clarendon Press, 1908.
  4. ^ a b Norberto Mancini, Un genio della stirpe: Alberico Gentili da Sanginesio, Civitanova Marche, Tipografia Ciarrocchi, 1937.
  5. ^ a b Centro Internazionale "Alberico Gentili" – CISG — Università di Macerata: Alberico Gentili, su unimc.it. URL consultato il 29 novembre 2021.
  6. ^ Angelo Vardarnini, Alberico Gentili, fondatore del diritto Internazionale, Firenze, 1875.
  7. ^ V. Lavenia, Alberico Gentili: i processi, le fedi, la guerra, in 'Ius gentium, Ius communicationis, Ius belli'. Alberico Gentili e gli orizzonti della modernità, Padova, Giuffrè, 2009.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]