Battaglia di al-Buwayb

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Battaglia di al-Buwayb
parte della conquista islamica della Persia
Le località della parte mesopotamica
della guerra arabo-persiana.
Data29 ottobre-27 novembre 634[1]
LuogoVicinanze del fiumiciattolo Buwayb (Iraq)
EsitoVittoria musulmana[2]
Modifiche territorialiGli Arabi musulmani riprendono la loro offensiva mirante a conquistare l'Iran
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
indefiniteindefinite
Perdite
sconosciutesconosciute
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La battaglia di Buwayb (in arabo ﻣﻌﺮﻛـة ﺑﻮﻳﺐ?, Maʿrakat Buwayb), fu combattuta alla fine del 634 dalle forze imperiali sasanidi e da quelle arabe, guidate rispettivamente da Mihrān-e Hamadānī, e da al-Muthannā b. Ḥāritha.[4]

Antefatti[modifica | modifica wikitesto]

Dopo la disastrosa sconfitta nella battaglia del Ponte, i musulmani non si persero d'animo e cercarono immediatamente di organizzare nuove forze per prendersi una rivincita ai danni dell'Impero sasanide che li aveva colpiti tanto duramente.
Chiamarono quindi a raccolta tutti i volontari tra le tribù beduine, mentre ciò che rimaneva dell'esercito musulmano riprendeva le forze a Ullays.
All'appello risposero positivamente i Banu Azd con 700 cavalieri e i B. Tamīm con circa un migliaio di guerrieri. Anche i Kināna, i Rabab, gli Ḥanzala, i Ḍabba, i Bajīla e i Khat'am accorsero, al pari dei cristiani Taghlib e dei Namir.[5]

Lo scontro[modifica | modifica wikitesto]

Al-Muthannā mosse allora alla volta di Dhū Qār, a pochi km da al-Qādisiyya, mentre Mihrān si muoveva per accamparsi sulle sponde dell'Eufrate, opposte agli attendamenti degli Arabi ad al-Milṭāṭ,[6] nelle cui vicinanze scorreva un piccolo corso d'acqua chiamato Buwayb (lett. "Porticina").
Al-Muthannā attese che a prendere l'iniziativa fosse il nemico e che ad attraversare l'Eufrate fossero quindi i Persiani, memore del dramma verificatosi in occasione dell'attraversamento del ponte da parte dei musulmani nella battaglia che da quel ponte prese il suo nome.

I combattimenti furono violentissimi, tanto che rimase ferito e portato lontano dal luogo dello scontro Masʿūd b. Ḥāritha, fratello di al-Muthannā, e altrettanto accadde ad Anas b. Hilāl al-Namarī, mentre Qurṭ b. Jammāḥ al-ʿAbī spezzò alcune lance e spade nel combattimento, uccidendo però un comandante sasanide Shahrbarāz.[7]

Secondo Ṭabarī, la battaglia fu anche chiamata "Giornata dei Dieci" (Yawm al-aʿshār, in arabo ﻳﻮﻢ ﺍلاﻋﺸﺎﺭ?),[8] riferendosi al fatto che vi furono cento persone, ognuna delle quali aveva ucciso dieci nemici, e ricordava come ʿUrwa b. Zayd al-Khayl[9] dei Banu Tayy, Ghālib dei B. Kināna e ʿArfaja degli Azd fossero stati tra coloro che ne avevano uccisi "solo" nove.[10]

La battaglia si risolse in una netta vittoria musulmana ma se i Sasanidi piansero la morte del loro comandante Mihrān b. Bādhān, al-Muthannā dovette piangere quella del fratello Masʿūd.[11] L'arrivo di 6.000 nuovi guerrieri al comando di Saʿd b. Abī Waqqāṣ, designato comandante generale delle forze musulmane dal califfo ʿUmar, pose fine a un pericoloso contrasto per il comando insorto tra al-Muthannā e al-Jarīr b. ʿAbd Allāh al-Bajalī, che unirono le loro forze a quelle di Saʿd a Sharāf.[12]
Della battaglia al-Muthannā - che morirà non troppo tempo dopo nella battaglia di al-Qādisiyya - disse:

«Ho combattuto Arabi e Persiani (ʿajam) nella jāhiliyya e nel corso dell'Islam. Per Dio, 100 Persiani nella Jāhiliyya mi sembravano invero più forti (ashaddu) di 1000 Arabi. Ma oggi 100 Arabi mi sono sembrati più forti di 1000 Persiani.»

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Ramaḍān del 13 E.
  2. ^ W. Montgomery Watt, Muhammad, su: The Cambridge History of Islam, Volume I-A, ed. P.M. Holt, K.S. Lambton, Bernard Lewis, Cambridge University Press, 1970, p. 61.
  3. ^ Parvaneh Pourshariati, Decline and Fall of the Sasanian Empire, Londra, I.B. Tauris, 2008, p. 468
  4. ^ Michael G. Morony, Iraq After the Muslim Conquest, Gorgias Press, 2005, p. 225.
  5. ^ Ṭabarī è tra i pochi a rivelarci l'attività di entrambi i gruppi che, accanto a quella consueta per molti beduini del commercio (jullāb li definisce), si esprimeva nell'allevamento e nella compravendita di cavalli. Si veda il vol. XI, tradotto da K. Y. Blankinship e ricordato in Bibliografia, a p. 204. Varrà la pena ricorda come, in epoca lakhmide, i signori di al-Ḥīra usassero approvvigionarsi proprio dei cavalli allevati dai nomadi, perché ritenuti di eccellente qualità.
  6. ^ Si veda (E. Yar-Shater ed.), The Crisis of the Early Caliphate, vol. XV della The History of al-Ṭabarī, trad. di R. Stephen Humphreys, Albany NY, State University of New York Press, 1990, p. 113, nota 197.
  7. ^ The History of al-Ṭabarī, XV, pp. 207-208. Blankinship osserva che questo nome, presente solo in una tradizione di Sayf b. ʿUmar, appare un calco del comandante sasanide di Cosroe II
  8. ^ Ṭabarī, Taʾrīkh al-rusul wa l-mulūk, ed. Muḥammad Abū l-Faḍl Ibrāhīm, 10 voll., Il Cairo, Dār al-maʿārif, 1960-69, III, 1/2196, p. 468.
  9. ^ Figlio del noto poeta Zayd b. Muhalhil, detto Zayd al-Khayl
  10. ^ The History of al-Ṭabarī, XV, p. 209.
  11. ^ Ivi, p. 210.
  12. ^ Località nel deserto, a circa 155 km a S-SO di al-Kūfa, lungo l'itinerario iracheno del Pellegrinaggio.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (AR) Ṭabarī, Taʾrīkh al-rusul wa l-mulūk, ed. Muḥammad Abū l-Faḍl Ibrāhīm, 10 voll., Il Cairo, Dār al-maʿārif, 1960-69, vol. III, pp. 460-472.
  • (EN) E. Yar-Shater ed., The History of al-Ṭabarī, vol. XI The Challenge to the Empires, trad. di Khalid Yahya Blankinship, Albany NY, State University of New York Press, 1993, pp. 204-215.