Anaïs Barbeau-Lavalette

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Anaïs Barbeau-Lavalette

Anaïs Barbeau-Lavalette (1979) è una regista, sceneggiatrice e scrittrice canadese.

I suoi film sono noti per la loro "sensazione partecipativa".[1]

Barbeau-Lavalette proviene da una famiglia di artisti. In origine nota come bambina attrice, in seguito ha iniziato a girare documentari, tra cui Les Petits princes des bidonvilles (2000), Buenos Aires, no llores (2001)[2] e Si j'avais un chapeau (2005),[3] prima di realizzare il suo primo lungometraggio, The Ring, nel 2007.[3] È anche autrice di romanzi e libri, alcuni dei quali bestseller.

Barbeau-Lavalette è più nota al pubblico internazionale per il suo pluripremiato film del 2012 Inch'Allah.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Famiglia e origini[modifica | modifica wikitesto]

Barbeau-Lavalette è nata l'8 febbraio 1979 a Montréal, figlia di Manon Barbeau, regista, e Philippe Lavalette, direttore della fotografia. È la nipote dell'artista canadese Marcel Barbeau, che ha studiato con Paul-Émile Borduas, e noto per essere stato uno dei primi pittori non figurative in Canada.

Formazione[modifica | modifica wikitesto]

Da giovane, Barbeau-Lavalette ha vissuto e studiato nell'area fortemente contesa della Cisgiordania.[4]

Nel 2000, dopo aver terminato il suo primo documentario, Les Petits princes des bidonvilles (2000), Barbeau-Lavalette si è iscritta all'Università di Montréal, dove si è laureata in Studi Internazionali. Ha poi continuato a studiare Produzione Cinematografica all'INIS. Dopo la sua permanenza all'INIS, Barbeau-Lavalette si è recata a Ramallah, in Palestina, per frequentare l'Università di Bir Zeit.[5]

Carriera cinematografica[modifica | modifica wikitesto]

In origine divenne nota come bambina attrice per le sue partecipazioni in serie come Le Club des 100 Watts o in À nous deux!.

Documentari[modifica | modifica wikitesto]

Barbeau-Lavalette ha iniziato la sua carriera cinematografica come regista di documentari. Dopo un anno trascorso in Honduras[5], Barbeau-Lavalette ha diretto Les Petits princes des bidonvilles (2000), che seguiva i giovani honduregni che crescevano a Montreal.[3] Nel 2002, Anaïs Barbeau-Lavalette ha rappresentato il Canada nel Volunteers' Odyssey delle Nazioni Unite, per cui ha girato il mondo creando 15 brevi documentari sul tema del volontariato.[6]

Al suo ritorno, Barbeau-Lavalette ha diretto altri documentari, compresi i lungometraggi Si j'avais un chapeau (2005), che descriveva in dettaglio la vita dei bambini in quattro diversi paesi, e Tap-Tap, un "ritratto poetico della comunità haitiana di Montreal".[6]

Fiction[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2007 è uscito il suo romanzo d'esordio The Ring, che è stato accolto calorosamente dalla critica. Il suo secondo lungometraggio di finzione, Inch'Allah, è diventato il suo lavoro più conosciuto.

Il suo film del 2020, Goddess of the Fireflies (La déesse des mouches à feu), è un adattamento del romanzo di Geneviève Pettersen.[7]

Nel 2022 ha distribuito Chien blanc (internazionalmente White Dog), un adattamento del romanzo White Dog di Romain Gary del 1970.[8] Il film ha partecipato al Bari International Film Festival nel marzo 2023.[9][10]

Cortometraggi[modifica | modifica wikitesto]

Barbeau-Lavalette ha realizzato molti cortometraggi che abbracciano diversi mezzi e generi. Ha diretto e girato 15 documentari durante il suo periodo con la Volunteers' Odissey delle Nazioni Unite e ha continuato a pubblicare cortometraggi per tutta la sua carriera.

La sua filmografia comprende cortometraggi come Seven Hours Three Times A Year (2012), Ina Litovski (2012) e un cortometraggio animato di 11 minuti, Take Me (2014).

Videoclip[modifica | modifica wikitesto]

Barbeau-Lavalette fa parte dell'avventura audiovisiva Wapikoni Mobile.[5] Attraverso ciò ha diretto videoclip per musicisti, tra cui i cantanti canadesi Catherine Major e Thomas Hellman e gli artisti hip hop Samian e Dramatik.

Carriera editoriale[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2010 ha pubblicato Je voudrais qu'on m'efface, un romanzo che ruota attorno ad alcuni degli stessi personaggi del suo lungometraggio The Ring.[2] Nel 2015, il suo secondo romanzo, La femme qui fuit, ispirato alla vita di sua nonna, l'artista Suzanne Meloche, è stato selezionato per il Governor General's Award 2016 per la narrativa in lingua francese, oltre a vincere altri premi ed essere un best-seller.

Premi e riconoscimenti[modifica | modifica wikitesto]

Si j'avais un chapeau (2005) è stato nominato per il "Miglior Documentario Sociale e la migliore Ricerca" al Prix Gémeaux nel 2006. Il suo lungometraggio The Ring (2007) è stato accolto molto bene dalla critica. Il film è stato scelto ai festival cinematografici di Pusan e Berlino nel 2008. The Ring ha ricevuto premi internazionali tra cui il New Talent Grand Prize e il Golden Lion Award al Taipei Film Festival, il Premio Speciale della Giuria al Vladivostok Film Festival in Russia e il premio come Miglior regista al Miradas Madrid Film Festival.[5]

Attivista per la pace, per i diritti umani e lo sviluppo internazionale, Barbeau-Lavalette è stata nominata artista dell'anno per il 2012 da Les Artistes pour la paix, un'organizzazione con sede a Montreal che onora opere d'arte che coinvolgono temi legati alla pace, nel febbraio 2013.[2] Nello stesso mese, Inch'Allah ha ricevuto il Premio FIPRESCI per la sezione Panorama del Festival Internazionale del Cinema di Berlino 2013.[11]

Filmografia[modifica | modifica wikitesto]

Regista[modifica | modifica wikitesto]

Lungometraggi[modifica | modifica wikitesto]

  • Les Petits Princes des bidonvilles (2001)
  • Les Mains du monde (2004)
  • Si j’avais un chapeau (2005)
  • Les Petits Géants (2009)
  • Le Ring (2007)
  • Se souvenir des cendres: Regards sur Incendies (2010) - mediometraggio
  • Inch'Allah (2012)
  • Le Plancher des vaches (2015)
  • Ma fille n’est pas à vendre (2017)
  • La Déesse des mouches à feu (2020)
  • Chien blanc (2022)

Cortometraggi[modifica | modifica wikitesto]

  • Sorcières comme les autres (2000)
  • Les Mots bleus (2001)
  • Buenos Aires no Ilores (2001)
  • Les Voix humaines, serie (2010)
  • Ina Litovski (2012)
  • Sept heures trois fois par année (2012)
  • Prends-moi (2014)

Opere letterarie[modifica | modifica wikitesto]

  • Je voudrais qu’on m’efface, Éditions Hurtubise, 2010.
  • Embrasser Yasser Arafat, Éditions Marchand de feuilles, 2011.
  • La Femme qui fuit, Éditions Marchand de feuilles, 2015.
  • Suzanne, Marchand de feuilles, 2016.
  • Nos héroïnes: 40 portraits de femmes québécoises, illustrato da Mathilde Cinq-Mars, Marchand de feuilles, 2018.
  • Femme Forêt, Éditions Marchand de feuilles, 2021.
  • Femme Fleuve, Éditions Marchand de feuilles, 2022.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Jimmy Johnson, Palestinians denied a voice in Canadian film set in West Bank, su The Electronic Intifada, 23 settembre 2013. URL consultato il 31 marzo 2023.
  2. ^ a b c (FR) Zone Arts- ICI.Radio-Canada.ca, Anaïs Barbeau-Lavalette nommée Artiste pour la paix, su Radio-Canada.ca, 14 febbraio 2013. URL consultato il 31 marzo 2023.
  3. ^ a b c (EN) Nick Dawson, Five Questions with Inch’Allah Director Anais Barbeau-Lavalette | Filmmaker Magazine, su Filmmaker Magazine, 8 settembre 2012. URL consultato il 31 marzo 2023.
  4. ^ (EN) Toronto: ‘Inch’Allah’ Director Anaïs Barbeau-Lavalette On Her Politically Charged Drama, su Indie Wire, 12 settembre 2012. URL consultato il 31 marzo 2023.
  5. ^ a b c d (EN) ANAÏS BARBEAU-LAVALETTE, su InformAction. URL consultato il 31 marzo 2023.
  6. ^ a b (EN) ANAÏS BARBEAU-LAVALETTE, su micro_scope (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  7. ^ (EN) Jeremy Kay, Generation 14plus entry ‘Goddess Of The Fireflies’ among WaZabi Films EFM slate (exclusive), su Screen Daily, 23 gennaio 2020. URL consultato il 31 marzo 2023.
  8. ^ (FR) Charles-Henri Ramond, Chien Blanc en ouverture de Cinémania, su Films du Québec, 16 agosto 2022. URL consultato il 31 marzo 2023.
  9. ^ Chien Blanc (White Dog), su BIFEST, 2023. URL consultato il 26 marzo 2023.
  10. ^ PROGRAMMA DEL BIF&ST 2023, su BIFEST, 2023. URL consultato il 26 marzo 2023.
  11. ^ "Inch'Allah wins the FIPRESCI prize at the Berlin Film Festival" Archiviato il 17 febbraio 2013 in Internet Archive.. The Gazette, 15 febbraio 2013.

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Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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