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Unità Italiana
TipoSetta segreta liberale
Fondazionegiugno 1848
FondatoreLuigi Settembrini, Filippo Agresti, Michele Pironti
Scioglimentodicembre 1850
ScopoLiberare l'Italia dai governi tirannici e unificarla.
Area di azioneNapoli

L'Unità Italiana o Grande Società dell'Unità Italiana fu una setta rivoluzionaria liberale fondata a Napoli nel giugno 1848 con l'obiettivo di abbattere il governo dei Borbone delle Due Sicilie e promuovere l'Unificazione italiana.[1]


Storia[modifica | modifica wikitesto]

Le origini[modifica | modifica wikitesto]

A seguito del fallimento della rivoluzione napoletana del 15 maggio 1848 e al venir meno del programma federale di Gioberti, i liberali napoletani abbandonarono ogni pensiero di autonomia del Regno delle Due Sicilie. Riponendo le loro speranze in Carlo Alberto di Savoia, progredì fra di loro l'idea di un'Italia unita e indipendente. Pertanto, i liberali napoletani più progressisti, su stimolo di Silvio Spaventa, decisero di fondare una setta segreta, una discendente diretta della Carboneria e della Giovine Italia.[2] I capi furono, in seguito, Luigi Settembrini, Filippo Agresti e Michele Pironti. Nonostante aspirasse ad una dimensione nazionale, essa rimase di fatti una setta prettamente napoletana.

Lo scopo della setta sarebbe stato quello di "liberare l'Italia dalla tirannide interna dei principi e da ogni potenza straniera, riunirla e renderla forte e indipendente, rinettandola di ogni parte eterogenea e contraria a questo scopo"[3]. Le aspirazioni federaliste costituirono la base del programma degli affiliati, prevedendo in una prima fase la liberazione delle singole province italiane e, solo in un secondo momento, l'unificazione della penisola.

Caratteri generali[modifica | modifica wikitesto]

Ordinamento[modifica | modifica wikitesto]

L'ordinamento dell'Unità Italiana presentava molte analogie con quello della Giovine Italia. Era ordinata in cinque specie: il Gran Consiglio, l'organo supremo, unico ad essere a conoscenza dei mezzi e degli scopi ultimi e incaricato di prendere le decisioni; i Circoli generali, corrispondenti alle vendite carbonaresche e alle congreghe della Giovine Italia, potevano contare al massimo quaranta iscritti ed erano luogo di discussione circa i mezzi per gli scopi settari; infine i Circoli inferiori, quelli provinciali, distrettuali e comunali.

Coloro che si associavano erano suddivisi in tre gradi: Uniti, ovvero i semplici iscritti; Unitari, ovvero i presidenti e i consiglieri dei circoli; Grandi Unitari, che comprendeva i membri del Gran Consiglio. Prima che un individuo fosse ammesso alla setta, era obbligatorio condurre una serie di indagini per valutare status familiare, vita passata e frequentazioni. Subito dopo, l'Unito doveva pronunciare un giuramento a seguito del quale riceveva il motto, il segno e la medaglia. Tra i doveri degli Uniti vi era in primis l'obbligo del silenzio e del segreto sulle attività e sui componenti e l'obbedienza ai superiori. L'ammissione era negata agli ex gesuiti, alla polizia, a ladri e falsari.[3]

Attività[modifica | modifica wikitesto]

Uno dei famosi proclami scritto da Luigi Settembrini.

L'attività della setta si concentrò in prima istanza su un'azione di propaganda finalizzata all'apertura di nuovi circoli e, in particolare, all'affiliazione dei militari. La propaganda avvenne soprattutto tramite la scrittura e l'affissione di numerosi proclami clandestini, spesso rivolti alle truppe e al popolo, dai toni sempre più violenti. Uno di essi recitava:

Italia cammina per la sua via; poco tempo e giungerà. Affrettatevi, o fratelli, e non perdete l'occasione (..) E' vero che voi avete cotesta tigre borbonica, che vi lacera le membra e vi beve il sangue, cotesto ipocrita, cotesto furbo, cotesto scelleratissimo Ferdinando. Ma non siete Italiani voi? Non avete un pugnale? Nessuno di voi darà la vita per 24 milioni di fratelli? Un uomo solo, una sola punta darebbe libertà all'Italia, farebbe mutar faccia all'Europa. E nessuno vorrà questa bella gloria?[4]

Verso la fine del novembre 1848 i settari passarono dalla propaganda ai militari all'azione vera e propria. Si registrarono, infatti, i primi tentativi di subordinazione delle milizie ai quali corrisposero i primi mandati di arresto. Tra i primi, venne arrestato il Presidente dell'Unità Italiana, Filippo Agresti. Non potendo sospettare di infiltrazioni di militari nella setta con lo scopo di provare la sua reità, promise denaro ad alcuni soldati in cambio di nuovi proseliti. Il 17 marzo 1849 venne arrestato a seguito di una perquisizione della polizia nella sua abitazione. Sebbene respingesse le accuse di settarismo, su di lui più che su tutti gli altri capi della setta ricadde la furia della magistratura, con una pena capitale che, solo in ultima istanza, sarà commutata in ergastolo. In mancanza di Agresti, le redini della setta furono prese da Luigi Settembrini. Nonostante i primi arresti ai quali, inoltre, seguirono le scoperte delle trame settarie fatte subito dopo in Terra di Lavoro, a Napoli si continuava a cospirare. I liberali si radunavano in vari caffè, in particolare al caffè Errichiello, nel quale si iniziò a progettare un piano rivoluzionario in occasione dell'anniversario dei tragici eventi del 15 maggio. La mancata spedizione garibaldina del 1849, tuttavia, fece saltare il piano d'azione. Le successive mosse previdero un complotto per attentare alla vita del Direttore di Polizia Peccheneda (che fallì) ed un'operazione per sabotare la cerimonia di accoglienza di Papa Pio IX in data 16 settembre 1849. A seguito dell'esplosione avvenuta davanti alla Reggia, alcuni dei cospiratori si dettero alla fuga.[1]

Il processo[modifica | modifica wikitesto]

Luigi Settembrini

Mentre continuava l'attività dei cospiratori, vennero emessi numerosi mandati di arresto e si cominciò a istruire un grande processo che ebbe un'eco internazionale fortemente negativo nei confronti del governo dei Borbone. Fu detto dei quarantadue, poichè furono rinviate a giudizio della Gran Corte Speciale 42 persone. Ciò era stato possibile mettendo insieme fatti differenti sotto l'unico nome dell'Unità Italiana e costruire così un maxi processo. Le rivelazioni più importanti erano avvenute grazie alle rivelazioni di alcuni delatori, tra i più noti Luigi Iervolino, Luciano Margherita e Ferdinando I Carafa. Le loro denunce portarono all'arresto di grandi personalità come Luigi Settembrini, che aveva preso il posto di direzione dopo l'arresto di Agresti. Su di lui ricadevano numerose accuse relative alla scrittura di proclami sediziosi, tra i più noti quello Ai Popoli Napoletani, scritto in previsione della venuta di Garibaldi.[5]

Anche Michele Pironti, che prese le redini dell'associazione in mancanza di Settembrini, fu presto arrestato. Le personalità più autorevoli erano ormai fuori dai giochi. Tra i clamorosi arresti non macò quello di Carlo Poerio, accusato di alto tradimento in virtù delle numerose accuse a suo carico e del suo ruolo istituzionale. Tramite i costituti, gli imputati si difesero prontamente dalla polizia per il modo in cui stava conducendo il processo e, soprattutto, per le condizioni dei detenuti nelle carceri borboniche. Questi due fatti furono i principali mezzi tramite cui si condusse una propaganda internazionale per denunciare agli occhi dell'Europa la tirannia borbonica contro i suoi sudditi. Famose, a tal riguardo, le due lettere a Lord Aberdeen sui processi politici del governo napoletano in cui William Gladstone muoveva le proprie accuse contro il governo borbonico proprio in riferimento agli avvenimenti nel processo contro la setta unitaria.

Il processo si concluse con pene durissime contro 22 rei di setta, due ergastoli e due condanne a morte per Filippo Agresti e Luigi Settembrini, ai quali, solo in ultima istanza e di fronte alle voci denigranti sul governo che circolavano in Europa, Ferdinando II concesse la grazia, tramutandoli in ergastoli. [5]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Giuseppe Paladino, Il processo per la setta l' "Unità Italiana" e la reazione borbonica dopo il '48, Firenze, Felice Le Monnier, 1928, pp. 226.
  2. ^ Nicola Nisco, Ferdinando II e il suo regno, Kessinger Publishing, LLC, 2010 [1884], pp. 376, ISBN 978-1160093170.
  3. ^ a b Istruzioni, in Atto di accusa nella causa della setta l' "Unità Italiana" e di altri reati politici commessi nella provincia di Basilicata negli anni 1848 e 1849, Potenza, Stabilimento tipografico di V. Santanello, 1853, p. 51-52.
  4. ^ Salute e Libertà, in Atto di accusa nella causa della setta l' "Unità Italiana" e di altri reati politici commessi nella provincia di Basilicata negli anni 1848 e 1849, Potenza, Stabilimento tipografico di V. Santanello, 1853, p. 55.
  5. ^ a b Conclusioni pronunziate innanzi alla Gran Corte Speciale di Napoli nella causa della setta l' Unità Italiana ne' dì 4,6,7 dicembre 1850, su La Biblioteca del Consiglio. URL consultato il 12 settembre 2023 (archiviato dall'url originale il 15 aprile 2015).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giuseppe Paladino, Il processo per la setta l' "Unità Italiana" e la reazione borbonica dopo il '48
  • Nicola Nisco, Ferdinando II e il suo Regno
  • Matteo Mazziotti, La reazione borbonica nel Regno di Napoli: episodi dal 1849 al 1860

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]