Utente:Framil/Sandbox

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Stragi di Porto Empedocle
Tiposparatorie
Data1986-1990
LuogoPorto Empedocle
StatoBandiera dell'Italia Italia
Obiettivoclan rivali nel territorio empedoclino
Responsabilivari
Motivazioneritorsioni da parte degli esponenti di Cosa nostra contro la volontà della Stidda di acquisire maggiore potere
Conseguenze
Morti9
Feritivari

Le stragi di Porto Empedocle, in provincia di Agrigento, si inquadrano all'interno di un periodo di lotte e stragi di mafia che vede contrapposte, nel territorio empedoclino, da un lato la tradizionale Cosa nostra, che faceva capo alle famiglie Messina e Albanese, e dall'altro la nascente organizzazione della Stidda, meno strutturata rispetto alla prima, e quindi più debole, ma maggiormente interessata ad attività commerciali, come spaccio di droga o armi, di cui faceva parte la famiglia Grassonelli.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Il contesto[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Stidda.

Il fenomeno della Stidda, che tra il 1980 e il 1990 si diffuse in particolare nelle province di Gela, Ragusa, Agrigento e Caltanissetta, toccò anche il comune di Porto Empedocle, fino a quel momento sotto il controllo incontrastato delle famiglie Messina e Albanese; queste ultime non potevano tollerare che ora, famiglie come quelle dei Grassonelli soprattutto, o dei Traina, acquisissero sempre più potere in territorio empedoclino. Per questo motivo, il 14 giugno del 1986 Salvatore e Gigi Grassonelli furono vittime di un primo agguato, in via Roma, ad opera di un commando di tre uomini a bordo di una A112: alla guida dell'auto vi era Sergio Vecchia (ucciso 4 anni dopo nella Seconda strage di Porto Empedocle), seduto dietro Luigi Putrone e, a fianco di Vecchia, Giulio Albanese. Quest'ultimo aveva il compito di sparare contro i fratelli, ma il suo fucile si inceppò e ciò permise ai Grassonelli di scappare; solamente Gigi Grassonelli rimase ferito a un piede da un proiettile sparato da Putrone. Quando fu richiesta una nuova autorizzazione per sferrare un altro agguato alla famiglia Grassonelli, l'allora capo provincia di Cosa nostra Giuseppe di Caro, di Canicattì, disse: "Ma picchì? Ancora nenti atu fattu? (Ma perché? Ancora niente avete fatto?)" lasciando così intendere che il problema dei Grassonelli, e dunque della Stidda che voleva soppiantare la vecchia mafia a Porto Empedocle, andava immediatamente risolto.[1]

Il gruppo dei Grassonelli rispose uccidendo, il 4 agosto dello stesso anno in piazza Italia Antonio Messina, considerato il capo della "famiglia" di Porto Empedocle. Per vendicare il gesto, Cosa nostra decise di rispondere organizzando un nuovo agguato, ed eliminando la famiglia Grassonelli durante un ricevimento in un ristorante locale-la sala trattenimenti Madison-dove erano stati invitati per festeggiare un matrimonio. Venne rubata una A112 che avrebbe trasportato i killer al luogo prescelto. I Grassonelli avevano però intuito il pericolo ed imbottito di tritolo l'auto. L'esplosione uccise Calogero Salemi.[2]

Prima strage di Porto Empedocle[modifica | modifica wikitesto]

La lunga striscia di sangue e di contrasti che oppose le due cosche, sfociò in quella che venne definita la Prima strage di Porto Empedocle. Il 21 settembre 1986 la via Roma, via principale del comune di Porto Empedocle e luogo d'incontro per gli empedoclini, era affollata. Era la domenica che precedeva la riapertura delle scuole e la fine delle ferie, e dunque la partenza di numerose famiglie empedocline alla volta della Germania o del nord Italia.[3][4]

Di fronte il bar Albanese, famoso e conosciuto da tutti in paese, sedevano numerose persone, tra cui alcuni membri e amici delle famiglie Grassonelli e Traina. All'improvviso un black out colpì la città ed un commando di uomini, membri di cosche mafiose delle zone di Palma di Montechiaro e Santa Elisabetta, a bordo di due Cabriolet e armati con fucili a pompa e mitragliette, fa fuoco sulla folla con l'obiettivo di colpire gli appartenenti del clan rivale: quello dei Grassonelli. Sotto i colpi dei Kalashnikov cadono Giuseppe Grassonelli, considerato il "patriarca" della Stidda, il figlio Gigi, i due guarda spalla Salvatore Tuttolomondo e Giovanni Mallia, e due uomini innocenti, Antonio Morreale (67 anni) e Filippo Gebbia (30 anni); i figli di Giuseppe, Bruno e Salvatore, anch'essi obiettivi nel mirino di Cosa nostra, riescono a fuggire; il nipote Giuseppe "Pippo" Grassonelli-destinato poi a prendere il comando della stidda empedoclina e responsabile della seconda strage di Porto Empedocle e di una serie di omicidi-venne colpito al piede ma riuscì a scampare all'agguato nascondendosi sotto un'auto. In carcere dal 1992 ha scontato 15 anni sotto il regime del 41 bis e 4 di isolamento. Attualmente è AS1 (detenuto di alta pericolosità). Non si pentì mai ufficialmente, decidendo quindi di non voler collaborare con la giustizia, ma ha più volte affermato di essere diventato, grazie alla detenzione, "un uomo nuovo": entrò infatti in carcere semianalfabeta, ed ora è un uomo laureato in lettere moderne con 110 e lode.[5][6][7]

L'illustre scrittore Andrea Camilleri, originario proprio di Porto Empedocle e in quei giorni nella sua città natale per firmare un atto notarile, fu protagonista diretto della strage. Nel libro "La linea della palma", in cui Saverio Lodato fa raccontare Andrea Camilleri, quest'ultimo, riferendosi alla strage, dichiarerà: "Era settembre, faceva caldo, poi aveva piovuto e l'aria si era rinfrescata. La sera pareva una festa, la gente era tutta fuori, c'era un popolo in strada. [..] Mi volto, entro nel bar, prendo il bicchiere, e, come in un film, vedo saltare tutte le bottiglie davanti a me. Non mi rendo conto di che cazzo sta succedendo. Capisco che stanno sparando, bevo il whisky in un unico sorso, e mi affaccio mentre stanno ancora sparando. [..] Vedo una trentina di persone che mi sembrano morte, perché erano svenute, stese a terra, ferite."

Molti anni dopo il collaboratore di giustizia Maurizio Di Gati dichiarerà che a causare il black out in via Roma fu Gerlandino Messina, allora 14enne ma già inserito nell'organizzazione di Cosa nostra e pronto a vendicare la morte del padre avvenuta nell'estate del 1986, sempre nell'ambito della guerra di mafia empedoclina.[6]

La vendetta[modifica | modifica wikitesto]

All'indomani della strage, Giuseppe "Pippo" Grassonelli fu costretto a riparare in Germania, dove già dall'età di 15 anni aveva trascorso gran parte della sua adolescenza, ad Amburgo, tra tavoli da poker e nightclub, arricchendosi notevolmente e consolidando forti amicizie con altri italiani emigrati. Viene seguito e scovato dai killer responsabili della strage della sua famiglia, ma riesce comunque a sfuggire, sempre in territorio tedesco, ad altri due agguati. Dalla Germania, Giuseppe Grassonelli segue le vicende in Sicilia, e assiste così allo sterminio che continua della sua famiglia e dei suoi amici, tra cui la morte del giovane Gerlando Mallia, figlio di Giovanni (vittima della strage del 21 settembre '86), di soli 16 anni, ucciso con due colpi di lupara mentre passeggiava con la fidanzata in Via Roma; il gesto fece pensare ad una vendetta trasversale, dal momento che il padre era un uomo molto vicino al clan dei Grassonelli e un fidatissimo del "patriarca" Giuseppe. Al tempo stesso, interessandosi della situazione in Sicilia, "Pippo" Grassonelli nota che i suoi familiari superstiti erano gli unici, all'interno della faida con i Messina, ad essere arrestati. Ciò accrebbe ancor di più in lui la convinzione che Stato e mafia fossero la stessa cosa, inducendolo dunque a non costituirsi, collaborando con le forze dell'ordine, ma a farsi giustizia da solo. Decide di ritornare in Sicilia al fine di documentarsi su chi fossero realmente i nemici della sua famiglia e, messo insieme un gruppo di giovani ragazzi, pianifica la sua vendetta.[7]

Seconda strage di Porto Empedocle[modifica | modifica wikitesto]

Il regolamento dei conti giunse il 4 luglio 1990, data conosciuta come Seconda strage di Porto Empedocle, sulla statale 115 che collega Trapani e Siracusa, all'interno dell'autosalone gestito dalla famiglia Albanese. Intorno alle 20:30 quattro killer a bordo di una Lancia Thema ed armati di pistole calibro 9 e fucili a lupara irrompono nell'officina facendo fuoco su chiunque si trovasse all'interno. Il salone funse da vicolo cieco e dunque tre dei sei presenti caddero sotto le scariche di piombo. Nell'agguato persero la vita Sergio Vecchia, obiettivo primario poiché tra i sicari della strage di quattro anni prima, e due suoi cognati, Giuseppe Marnalo e Stefano Volpe; Francesco Vecchia, Calogero Albanese e Giuseppe Palumbo rimasero feriti ma riuscirono a scappare. Qualche ora più tardi in contrada Zingarello, a pochi kilometri da Porto Empedocle, l'auto utilizzata dai killer venne ritrovata completamente distrutta.[8]

Cronologia degli eventi[modifica | modifica wikitesto]

Data Attentato Luogo Vittime Obiettivi
14 giugno 1986 Fallito omicidio Salvatore e Gigi Grassonelli Via Roma Nessuna vittima Salvatore e Gigi Grassonelli
4 agosto 1986 Omicidio Antonio Messina Piazza Italia Antonio Messina Antonio Messina
7 settembre 1986 Fallito attentato a famiglia Grassonelli Sala ricevimenti Madison Calogero Salemi Famiglia Grassonelli
21 settembre 1986 Prima strage di Porto Empedocle Bar Albanese 6 (tra cui Giuseppe e Gigi Grassonelli) Giuseppe e Gigi Grassonelli
25 giugno 1987 Omicidio Gerlando Mallia (16 anni) Via Roma Gerlando Mallia Gerlando Mallia (vendetta trasversale)
4 luglio 1990 Seconda strage di Porto Empedocle Statale 115 3 (tra cui Sergio Vecchia) Sergio Vecchia e clan Messina-Albanese

Indagini e processi[modifica | modifica wikitesto]

Il 22 gennaio 1987 ha inizio la prima grande operazione al fine di assicurare alla giustizia i responsabili della prima strage di Porto Empedocle. Un blitz scattato tra le città di Agrigento e Bonn che ha portato, nella città tedesca, all'arresto di tre uomini affiliati al clan dei Grassonelli. Dalla procura di Agrigento vennero invece notificati 13 ordini di cattura ed un provvedimento giudiziario per un capoclan in carcere, ed effettuati 9 arresti. Tra gli uomini posti in stato di fermo, tre appartenevano al clan dei Messina, mentre altri erano affiliati alla cosca dei Grassonelli, tra cui Calogero gallo Cassarino (detto "Il professore). Quest'ultimo venne arrestato già due giorni dopo la Prima strage di Porto Empedocle ma, pur essendo a conoscenza di omicidi e fatti mafiosi che avevano preceduto la strage, si era rifiutato di parlare e collaborare con la giustizia; dopo due giorni in camera di sicurezza, venne scarcerato per insufficienza di prove. In totale, gli uomini coinvolti nel maxi-blitz tra Agrigento e Bonn furono Calogero Lindi e Angelo Falzone di Agrigento, Salvatore e Alfonso Albanese, Giuseppe Traina, Francesco Cozzo, Antonino Prestia e Giovanni Sirone.[9]

Nel 1989 si tiene presso l'aula bunker di Villaseta (ex palestra sportiva) il primo maxi-processo per la prima strage di Porto Empedocle. In aula sono presenti Pasquale Salemi (detto "Maraschino"), Luigi Putrone, Sergio Vecchia e altri esponenti di Cosa nostra empedoclina, tra cui il capo mafia di Porto Empedocle Salvatore Albanese ("U cippu"), ucciso nel '91. Tutti vengono riconosciuti e condannati come sicari della strage del 21 settembre, tranne Vecchia, che fu anche tra i mandanti. Quest'ultimo in particolare venne condannato in primo grado dalla Corte d'assise, presieduta da Gianfranco Riggio, a 10 anni. La pena venne poi ridotta in appello a 5 anni e mezzo. Venne infine scarcerato, pochi mesi dopo il processo per decorrenza dei termini. Stessa sorte per Pasquale Salemi, condannato in primo grado ed assolto in appello, il quale, uscito dal carcere San Vito di Agrigento restò al servizio delle famiglie Messina e Albanese ma, dopo un litigio con Luigi Putrone, ai tempi uno dei vertici della mafia empedoclina, viene posato da quest'ultimo e ne viene programmato l'omicidio. Salemi intuisce di avere ormai i giorni contati e, nel maggio 1997 decide di collaborare con la giustizia, divenendo così il primo pentito di Cosa nostra empedoclina; lo stesso giorno, nella città di Porto Empedocle vengono affissi dei necrologi con scritto "Oggi è morto Pasquale Salemi". Le dichiarazioni di "Maraschino" confluiscono nella prima maxi-operazione dell'agrigentino, denominata "Akragas I", la notte tra il 17 e il 18 marzo 1998 che infligge un durissimo colpa a Cosa nostra agrigentina: in decine vengono arrestati, ma tra questi nessun affiliato alla famiglia Messina. Salemi era infatti imparentato con i Messina e nelle dichiarazioni rilasciate al commissario di Porto Empedocle Marco Staffa, non accenna minimamente a tale cosca. Solamente un anno dopo, con le dichiarazioni di un altro importante pentito dell'agrigentino, Alfonso Falzone, e con l'operazione che ne seguì ("Akragas II"), vengono arrestati anche numerosi esponenti dei Messina.[10][11][12]

Il 23 dicembre 1994 la Corte d'assise di Agrigento ha emesso la sentenza per la seconda strage di Porto Empedocle, che condannò all'ergastolo Giuseppe Grassonelli, Giuseppe Pullara e Aurelio Cavallo come mandanti. Orazio Paolello, Vincenzo Spina, Carmelo Ivano Rapisarda ed anche Giuseppe Grassonelli furono riconosciuti esecutori materiali della strage. Inoltre, un'ultima sentenza del tribunale di Agrigento del 19 gennaio 2012, ha condannato gli autori della strage del 4 luglio a risarcire Giuseppe Volpe e Maria Concetta Vecchia, rispettivamente padre di Stefano Volpe e moglie di Giuseppe Marnalo, riconosciuti vittime innocenti della strage, la somma di €250.000,00 ciascuno.[13]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Filmografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]