Trinità (Masaccio)

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«Sono le opere sue in Fiorenza, in Santa Maria Novella, una Trinità è posta sopra l'altar di S. Ignazio, e la Nostra Donna e S. Giovanni Evangelista [...] Ma quello che vi è bellissimo, oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva, e spartita in quadri pieni di rosoni che diminuiscono e scortano così bene che pare che sia bucato quel muro.»

La Trinità affrescata da Masaccio a Firenze nella basilica di Santa Maria Novella è universalmente ritenuta una delle opere fondamentali per la nascita del Rinascimento nella storia dell'arte.

Storia dell'affresco

La Trinità di Masaccio è un'opera di grandi dimensioni: se considerata nel suo insieme (comprendente anche il sarcofago posto nel registro inferiore dell'affresco) essa misura 6,67 metri di altezza per 3,17 di larghezza. Fu realizzata nel 1425-27 ca, nella terza campata della navata sinistra di Santa Maria Novella, chiesa gestita a quel tempo dai domenicani.

Nessun documento scritto attesta la data esatta di esecuzione del dipinto e l’identità del committente; a proposito di quest’ultimo è stata formulata l’ipotesi che si tratti di un priore domenicano presente in quegli anni nel convento, fra Benedetto di Domenico di Lanzo, e che l'opera sia stata eseguita in onoranza di un suo congiunto defunto in quegli anni, fatto ritrarre nell'affresco assieme a sua moglie.

I colori impiegati fanno riferimento ad una tavolozza volutamente ristretta, interamente giocata su diversi toni del grigio, del blu e del rosso. Nelle architetture e nelle vesti dei personaggi il blu ed il rosso sono impiegati in termini oppositivi secondo precise simmetrie la cui interpretazione rimane alquanto criptica. Lo stato di conservazione dell'opera mostra ampiamente i segni dell'usura derivanti dal tempo e, ancor più, dalle varie vicissitudini seguite.

Già nel 1570 l'opera era stata disinvoltamente nascosta da un altare sormontato da una grande pala dedicata alla Vergine del rosario realizzato, per la famiglia Capponi, da Giorgio Vasari (che pure, nelle sue Vite, aveva espresso il vivo apprezzamento - riportato in efigrafe - per l'opera di Masaccio).

Solo nel 1860 l'affresco della Trinità fu "riscoperto", trasportato su tela ed incollato sulla facciata interna della chiesa. Nel 1952, quando fu rimosso l'altare che nascondeva lo scheletro ed il sarcofago, si decise di risistemare l'affresco nella sua collocazione originale. Un ulteriore restauro eseguito tra il 1999 ed il 2001 ha consentito un importante, anche se parziale, recupero delle tonalità originali dell'affresco.

Il registro superiore dell'affresco

Descrizione dell'affresco

Ernst Gombrich esprime nei seguenti termini il carattere innovativo del dipinto:

«Possiamo immaginare lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo, apparve questa pittura che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella sepolcrale, costruita secondo il moderno stile di Brunelleschi. [...] Se i fiorentini si erano aspettati un’opera arieggiante il gotico internazionale allora di moda a Firenze come nel resto d'Europa, dovettero rimanere delusi. Non grazia delicata, ma figure massicce e pesanti; non curve libere e fluenti, ma forme angolose e solide...»

Il soggetto principale raffigurato è costituito dalle figure della Trinità, disposte secondo il modello iconografico che va sotto il nome di "Trono di Grazia"; tuttavia, rispetto a tale modello, l'opera di Masaccio presenta numerosi elementi di originalità, a cominciare dalla sua collocazione in una cappella la cui struttura è visibilmente ispirata dalla produzione architettonica di un altro dei padri del Rinascimento, Filippo Brunelleschi[1].

In questa cornice architettonica sono collocati, secondo una struttura piramidale, le sei figure che popolano la scena in atteggiamento statuario.
La facciata della cappella appare delimitata da due lesene con capitelli corinzi che reggono una trabeazione sotto alla quale sono presenti due medaglioni ornamentali; si tratta di elementi posti in rilievo rispetto alle due colonne ioniche ed all'arco trionfale che dà accesso alla cappella. La raffigurazione dell'architettura ubbidisce alle leggi della prospettiva, sapientemente utilizzate per creare, attraverso la raffigurazione della volta a botte e delle altre due colonne ioniche sul fondo della cappella, l'effetto illusionistico della profondità. La volta a cassettoni è decorata con rosoni (ormai poco visibili) dipinti alternativamente nelle tonalità del rosso e del blu.

Sulle pareti laterali è appena percettibile la presenza di archi sorretti da colonne doriche; sulla parete di fondo è collocata una piattaforma orizzontale sulla quale si erge in piedi la figura di Dio Padre. Egli indossa una tunica rossa ed un mantello blu, ha la sembianza di un uomo maturo ed un'espressione ieratica; le braccia sono leggermente aperte per reggere il braccio orizzontale della croce. L'aureola che ne incornicia il capo tocca la volta della cappella facendo apparire gigantesca la sua figura.
In realtà la sua statura è strettamente proporzionata con quella del Figlio in croce la cui figura risalta nell'affresco per il pallore delle sue carni. La posizione arcuata delle gambe inchiodate sulla croce e il perizoma bianco che sembra scivolare lungo i fianchi, mostrano marcate somiglianze con il Crocefisso di Masaccio conservato a Napoli.

La raffigurazione della Trinità è completata dalla colomba dello Spirito Santo: le sue ali sembrano disporsi attorno al collo di Dio Padre, tanto da rendere problematico, a prima vista, il suo riconoscimento.

Su di un piano inferiore e, nell’illusione prospettica, più prossime allo spettatore stanno le figure statuarie di San Giovanni e della Madonna. Il santo evangelista è avvolto in un mantello rosso; sta a mani giunte con lo sguardo rivolto alla croce. Maria invece si volge verso chi guarda il dipinto: essa è raffigurata come donna già avanti negli anni, cinta in un mantello blu; con uno sguardo, non di dolore, ma di severa impassibilità e con il gesto della mano destra essa invita lo spettatore a contemplare la crocifissione del Figlio.[1]

Più in basso, su di un terzo piano prospettico ancor più prossimo a chi guarda, stanno le due figure inginocchiare dei personaggi in omaggio ai quali l’opera è stata eseguita (sempre che non siano gli stessi committenti o donatori). Si tratta di un uomo con un mantello ed un turbante rosso e di una donna vestita di blu, raffigurati di profilo – secondo il modello tradizionale dei ritratti adottato all’epoca - mentre pregano rivolgendosi alle persone della Trinità poste nella cappella. La precisione dei lineamenti testimonia la grande qualità di ritrattista che Masaccio dovette possedere.

L'affresco appare progettato per essere visto dal lato opposto della navata. È il corpo di Cristo, posto in posizione centrale rispetto alla struttura piramidale del gruppo, lo snodo visivo e concettuale del registro superiore dell'affresco. Sul suo petto si intersecano le linee rette ideali tangenti al capo delle due coppie (donatore - Maria, donatrice San Giovanni)

Il registro inferiore dell'affresco è occupato dalla raffigurazione di un sarcofago posto in una nicchia delimitata da due coppie di colonnine; su di esso è posta la figura di uno scheletro ed una scritta con evidente intento didattico di “memento mori”: IO FU’ GIÀ QUEL CHE VOI SETE, E QUEL CH’I’ SON VOI ANCO SARETE

È piuttosto evidente il contrasto tra la parte inferiore del dipinto, di sapore ancora marcatamente gotico e quella superiore con le eleganti architetture e l’uso sapiente della prospettiva, elementi tipici della cultura rinascimentale.

Aspetti iconografici dell'affresco

Il dipinto appare monumentale, finalizzato a creare, attraverso l'uso della prospettiva, l'illusione di una cappella popolata da figure alquanto ieratiche e pesanti, quasi fossero statue policrome.
Esso è palesemente ricco di significati iconografici che Masaccio deve aver dettagliatamente discusso con il committente: sul loro senso gli studiosi si sono lungamente interrogati senza tuttavia giungere a pareri uniformi.

La raffigurazione della Trinità segue lo schema tradizionale del così detto Trono di Grazia, ma introducendovi aspetti fortemente innovativi. La figura di Dio Padre non è assisa in trono, ma si erge a piedi nudi su una piattaforma posta in fondo alla cappella e, pur sembrando gigantesca per un effetto illusorio, essa non ha una statura superiore ma uguale a quella del Figlio. Il confronto con le precedenti raffigurazioni del Trono di Grazia palesa dunque una attenzione alle proporzioni ed alle armonie tipica della nascente cultura rinascimentale.

Del tutto inconsueta, come accennato, è la figura della Madonna che sorprende lo spettatore per il gesto di indicare a chi guarda il Cristo crocefisso e per lo sguardo che non palesa segni di dolore, ma forse solo una rassegnata consapevolezza del destino che doveva compiersi per la salvezza degli uomini. Più in generale, trascurando gli aspetti iconografici di dettaglio, si pongono gli interrogativi sulle ragioni della sistemazione della Trinità all'interno delle eleganti architetture della cappella e sul senso del sarcofago e dello scheletro posti nel registro inferiore dell’affresco.
Quest'ultimo elemento iconografico potrebbe far pensare ad un’adesione alla tradizionale raffigurazione di un teschio ai piedi della croce innalzata sul Golgota (ove una leggenda vuole siano interrati i resti mortali di Adamo). Non si spiega tuttavia, in questo modo, il motivo per il quale vi è raffigurato un sarcofago sul quale giace uno scheletro ed il senso del monito che ricorda l’ineluttabilità dell’ora della morte.

Il dipinto può essere letto verticalmente, dal basso verso l'alto, come ascensione verso la salvezza eterna: in primo piano il sarcofago con scheletro, che ricorda la transitorietà della vita terrena, poi le due figure inginocchiate che pregano, poi la Madonna e San Giovanni nel ruolo di santi intercessori, poi ancora la Passione di Gesù, promessa di salvezza, ed infine la gloria del Padre.

Molteplici congetture sono state formulate sulla funzione che doveva avere l'affresco e sul suo significato complessivo. [2] Un’ipotesi verosimile è che si tratti di un memoriale funerario, vale a dire un'immagine destinata a suscitare la meditazione sulla salvezza eterna di chi visitava la chiesa, assieme al ricordo delle persone defunte. Il registro superiore è concepito come cappella di famiglia popolata dalla Trinità e dalle altre sante figure alle quali, durante la vita terrena, il defunto e sua moglie si sono rivolti pieni di fede. Sotto la cappella, all'interno della nicchia delimitata dalle colonnine, è posto – come in molti monumenti funerari – il sarcofago del defunto sormontato dalla raffigurazione di uno scheletro, immagine della caducità della vita. Sorprende tuttavia che non vi siano nel dipinto iscrizioni o stemmi che consentano l’identificazione del defunto.[3].

Note

  1. ^ La suggestione dello sfondo architettonico ha portato taluni studiosi, in passato, ad ipotizzare l’intervento dello stesso Brunelleschi nella realizzazione del dipinto; ora si tende a riconoscere nella cappella Barbadori realizzata dall'architetto fiorentino nella chiesa di Santa Felicita in Firenze il modello reale al quale Masaccio deve aver guardato
  2. ^ Un'ipotesi avanzata (seguendo la testimonianza del Vasari) è che il dipinto funzionasse come pala d'altare al quale era stato accostato un altare per le funzioni religiose in memoria dei defunti: Dio Padre che presenta il figlio crocefisso sarebbe allora un'immagine che simboleggia il sacrificio eucaristico che si compie sull’altare.
  3. ^ Su questa ipotesi interpretativa si veda François Bœspflug, La Trinitè dans l'art dOccident (14001460), Presses Universitaires de Strasbourg, 2006, pag 114 - 117

Voci correlate

Collegamenti esterni

Bibliografia

  • Gombrich, E. H., La storia dell'arte, Milano, Leonardo Arte, ristampa, 1997, pag. 229
  • Lieberman, R., Brunelleschi e Masaccio in Santa Maria Novella, "Memorie Domenicane", 12, 1981, pagg 127-39
  • AA. VV., La Trinità di Masaccio. Il restauro dell'anno Duemila, Firenze, Edifir, 2002
  • Bœspflug, F., La Trinitè dans l'art d'Occident (1400 – 1460), Chapitre IV, Strasburgo, Presses Universitaires de Strasbourg, 2006
Coordinate: 43°46′28.12″N 11°14′57.06″E / 43.774478°N 11.249183°E43.774478; 11.249183

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