Suicide (1977)

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Suicide
album in studio
ArtistaSuicide
Pubblicazione28 dicembre 1977
Durata31:15
GenereNew wave
Proto-punk
Synthpunk
EtichettaRed Star Records
ProduttoreMarty Thau, Craig Leon
Registrazione1977, Ultima Sound Studios, Blauvelt, New York
Recensioni professionali
RecensioneGiudizio
AllMusic[1]
Robert Christgau[2]C+
Ondarock[3]Pietra Miliare
Piero Scaruffi[4]9/10
Q[5]
The Rolling Stone Album Guide[6]
Select[7]
Spin[8]10/10
Spin Alternative Record Guide[9]9/10

Suicide è l'album di debutto dell'omonimo gruppo musicale statunitense Suicide, pubblicato nel 1977 dalla Red Star Records[10].

Composizione[modifica | modifica wikitesto]

I Suicide nel 1988

I Suicide avevano giù composto gran parte delle tracce del loro primo disco durante gli anni settanta, prima ancora di trovare un contratto per la Red Star.[11] I brani, che precorrono diversi stili musicali come la techno, l'industrial dance e il synth pop,[12] sono stati composti sfruttando le tastiere e la drum machine di Martin Rev. Essi sono accompagnati dalla voce dolente di Alan Vega, narrante liriche di amore e morte.[13]

Stando a una recensione del disco di Eddy Cilìa e Federico Guglielmi:[14]

«Vega e Rev, gli extraterrestri, andarono a realizzare la loro apocalisse nel posto più pericoloso del mondo: in una New York trasfigurata, in dissoluzione. Ma niente fantascienza: solo realtà. (...) Siamo ai confini del sostenibile, ma non al di qua. Siamo al di là, oltre. Siamo nella zona più scura e spaventosa della nostra immaginazione reale (...) C'è un'umanità, là dietro. È distorta, malmessa, sfregiata, ma è ancora umana

Il disco si apre con Ghost Rider, un brano rockabilly destrutturato e sincopato[3][4] che verrà reinterpretato da R.E.M., The Horrors, The Gories, Rollins Band, The Sisters of Mercy, Merzbow, Soft Cell e The Young Gods. Verrà anche campionato da M.I.A. per il suo singolo del 2010 Born Free.

La successiva Rocket U.S.A., che è stata definita «quasi una danza tribale in costante "devoluzione" o un remix proto-techno di I'm Waiting For The Man dei Velvet Underground»,[3] verrà reinterpretata da The Fleshtones, Loop e dai The Cars sull'album Move Like This. Seguono la litania di Cheree,[4] Johnny, un altra canzone dalle tinte rockabilly[3] e la sensuale Girl.[3]

Uno dei brani più noti e acclamati del disco, Frankie Teardrop, è stata definita dal critico Piero Scaruffi "la Sister Ray degli anni 2000".[4] Si tratta della storia di un giovane operaio ventenne chiamato Frankie, sposato e con un figlio di sei mesi. La vita per lui è dura, poiché lavorando in fabbrica non riesce a trovare il sostentamento per se stesso e la sua famiglia. Frankie raggiunge il limite e culmina nella disperazione: prende la pistola e spara a suo figlio, poi alla moglie. Dopo aver compiuto la strage, in preda alla follia, punta l'arma alla sua testa e si toglie la vita. Il brano si conclude con un monito da parte di Vega: «la storia di Frankie si ripete, sempre, con tutti noi».

Secondo la descrizione che ne dà Ondarock, la conclusiva Che, «con il suo organo fluorescente e quella circolarità infinitesimale lascia culminare il disco in un vuoto cosmico.»[3]

Pubblicazione ed esecuzioni dal vivo[modifica | modifica wikitesto]

Suicide venne pubblicato il dicembre del 1977. Venne ristampato con alcune tracce bonus nel 1981.[4] Dall'album vennero estratti i singoli Johnny (1977) e Cheree (1978).

Nel settembre del 2009, l'album è stato interamente eseguito dal vivo al festival musicale All Tomorrow's Parties come parte della serie di concerti denominata Don't Look Back. Nel maggio 2010, a Londra, il disco è stato nuovamente eseguito dal vivo nella sua totalità quando la band ha fatto da spalla agli Stooges durante l'esecuzione di Raw Power.

Copertina[modifica | modifica wikitesto]

La copertina del disco, che presenta uno sfondo bianco, raffigura il nome del gruppo e una vistosa macchia di sangue.

Accoglienza[modifica | modifica wikitesto]

Originariamente, l'album venne mal recensito dalla critica e la stampa americane, come confermano ad esempio i resoconti che ne fecero Robert Christgau[2] e Rolling Stone.[15] Nello stesso periodo, la stampa britannica aveva invece accolto molto più positivamente la nuova formazione: NME, Time Out e Melody Maker dedicarono delle recensioni entusiaste al debutto dei Suicide.[16]

L'album è stato classificato alla posizione 441 dalla rivista Rolling Stone nella lista dei 500 migliori album di tutti i tempi.

Suicide compare in un libro di Eddy Cilìa e Federico Guglielmi dedicato ai 500 dischi rock "fondamentali". Nella recensione del disco è scritto che «in venticinque anni, (Suicide) non ha perso un grammo della sua forza e della sua violenza oltraggiosa.»[14]

Tracce[modifica | modifica wikitesto]

  1. Ghost Rider – 2:33
  2. Rocket U.S.A. – 4:17
  3. Cheree – 3:41
  4. Johnny – 2:10
  5. Girl – 4:06
  6. Frankie Teardrop – 10:25
  7. Che – 4:51

Formazione[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Heather Phares, Suicide, su AllMusic, All Media Network. URL consultato il 5 aprile 2024.
  2. ^ a b (EN) Suicide: Suicide, su robertchristgau.com. URL consultato il 2 aprile 2024.
  3. ^ a b c d e f Francesco Nunziata, Suicide - Suicide :: Le Pietre Miliari di OndaRock, su Ondarock, 12 novembre 2006. URL consultato il 2 aprile 2024.
  4. ^ a b c d e Suicide & Alan Vega, su scaruffi.com. URL consultato il 5 aprile 2024.
  5. ^ Q, Suicide: Suicide, n. 354, gennaio 2016, p. 117
  6. ^ Coleman, 1992, p. 682
  7. ^ Witches, Crusties, XTC&... , Select, n. 94, aprile 1998, p. 90
  8. ^ Joe Gross, Retro Active, in Spin, vol. 14, n. 8, agosto 1998, p. 139. URL consultato il 29 luglio 2015.
  9. ^ Reynolds, 1995, p. 383
  10. ^ Eddy Cilia e Federico Guglielmi, New wave: 100 album fondamentali, in Mucchio Extra, Stemax Coop, #30 autunno 2008.
  11. ^ Nobahkt; p. 91
  12. ^ (EN) Free Music Archive: Suicide, su freemusicarchive.org. URL consultato il 2 aprile 2024.
  13. ^ Eddy Cilìa, Enciclopedia Rock - '70 (terzo volume), Arcana, 2001, pp. 530.
  14. ^ a b Eddy Cilìa, Federico Guglielmi, Rock. 500 dischi fondamentali, Giunti, 2002, p. 195.
  15. ^ Nobahkt; p. 96
  16. ^ Nobahkt; p. 88

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) David Nobahkt, Suicide: No Compromise, SAF Publishing Ltd, 2004.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

  Portale Punk: accedi alle voci di Wikipedia che parlano di musica punk