Satrico: differenze tra le versioni

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== Bibliografia ==
== Bibliografia ==
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==Voci correlate==
==Voci correlate==

Versione delle 04:53, 20 ago 2014

Satrico (in latino Satricum) era un'antica città del Lazio antico, situata nell'attuale Comune di Latina.

Storia

In età arcaica fu probabilmente la seconda città più grande del Latium vetus dopo Alba Longa[senza fonte].

Nel 489 a.C. fu una delle città attaccate dai Volsci condotti da Gneo Marcio Coriolano che, dopo aver preso Longula, presero anche Satrico[1].

Fu incendiata e distrutta una prima volta dai Latini nel 377 a.C. e poi nuovamente distrutta dai Romani nel 346 a.C.[2] Dionigi di Alicarnasso la cita nell'ambito delle 29 città latine alleate contro Roma.[3]

Era sede di un importante santuario dedicato alla Mater Matuta, che rimase frequentato anche dopo la distruzione della città, almeno fino al II secolo a.C. Il santuario era sede inizialmente di un culto praticato all'aperto, sull'acropoli cittadina. Nella seconda metà del VI secolo a.C. il tempio di Mater Matuta venne eretto in sostituzione di un primitivo edificio, e fu rimpiazzato da un secondo edificio di maggiore ampiezza nel V secolo a.C., che continuò ad essere restaurato nei secoli successivi e del quale restano importanti resti.[4]

Ubicazione

Campagna scavi archeologici a Satrico nel 1983.

Il sito, identificato con l’antica città di Satrico da H. Graillot nel 1885, si trova a circa 9 chilometri dal mare, lungo il corso del fiume Astura, ed occupa una serie di rilievi sulla destra dell’asta fluviale fra il territorio di Latina e Nettuno. L’area abitativa è concentrata sulla cosiddetta acropoli, ampia circa 4 ettari e protetta da ripide scarpate, e sul pianoro che si estende ad ovest di quest’ultima, di circa 40 ettari di superficie. Il pianoro è naturalmente protetto su tre lati; sul quarto, ad occidente, venne realizzato un aggere in epoca arcaica.

Il sito è stato oggetto di scavi che hanno interessato l'abitato antico, con il santuario della Mater Matuta, e le necropoli, riportando alla luce una grande quantità di oggetti, tra cui spiccano alcune stipi votive del santuario, e una nota epigrafe in latino arcaico (vedi: Lapis satricanus).

Note

  1. ^ Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, VIII, 36.
  2. ^ Liv. VI,33 e VII,27
  3. ^ Dion. Hal. V, 61
  4. ^ Knopp e Stibbe 1997, in EAA, s.v. Satricum.

Bibliografia

  • R.R. Knopp e C. M. Stibbe, Satricum, in collana Enciclopedia dell'arte antica classica e orientale, Roma, Istituto della enciclopedia italiana, 1997.

Voci correlate