Segin

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Segin
Segin
ClassificazioneGigante blu
Classe spettraleB3III
Distanza dal Sole410 ± 20 a.l.
CostellazioneCassiopea
Coordinate
(all'epoca J2000.0)
Ascensione retta01h 54m 23,73s
Declinazione+63° 40′ 12,37″
Dati fisici
Raggio medio7,2 R
Massa
Velocità di rotazione19 km/s
Temperatura
superficiale
15170 (media)
Luminosità
2500 L
Età stimata65 milioni di anni
Dati osservativi
Magnitudine app.+3,38
Magnitudine ass.-2,15
Moto proprioAR: 32.09 mas/anno
Dec: -18.94 mas/anno
Velocità radiale-8,1
Nomenclature alternative
Epsilon Cassiopeiae, Navi, 45 Cassiopeiae, HR 542, HD 11415, BD+62°320, FK5 63, HIP 8886, SAO 12031, GC 2289

Coordinate: Carta celeste 01h 54m 23.73s, +63° 40′ 12.37″

Segin (Epsilon Cassiopeiae / ε Cas / ε Cassiopeiae) è una stella situata nella costellazione di Cassiopea, a circa 410 anni luce dalla Terra[1].

Osservazione[modifica | modifica wikitesto]

ε Cassiopeiae è una stella dell'emisfero celeste boreale; è la più orientale e meno luminosa delle cinque stelle che compongono la W di Cassiopea. La sua declinazione è pari +63°, di conseguenza la stella diventa circumpolare più a nord della latitudine 27°N, mentre rimane invisibile più a sud del parallelo 27°S. Essendo di magnitudine 3,4, la si può osservare anche dai piccoli centri urbani senza difficoltà, sebbene un cielo non eccessivamente inquinato sia maggiormente indicato per la sua individuazione.

Il periodo migliore per la sua osservazione, dove nell'emisfero nord si presenta alta nel cielo nelle prime ore serali, è durante l'autunno boreale, mentre nell'emisfero australe la sua visibilità è limitata ai mesi primaverili, da settembre a dicembre.

Caratteristiche fisiche[modifica | modifica wikitesto]

Si tratta di una stella gigante blu di classe spettrale B, con una luminosità 2500 volte quella del Sole ed una magnitudine apparente di +3,38. Uno studio di Core et al. del 2003 indicherebbe che la stella ha le proprietà di una stella Be, ciò nonostante non è mai stata classificata in questa categoria.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ F. van Leeuwen, Validation of the new Hipparcos reduction, in Astronomy and Astrophysics, vol. 474, n. 2, novembre 2007, pp. 653–664, DOI:10.1051/0004-6361:20078357.arΧiv:0708.1752

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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