Pantea

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Pantea
Il filosofo Empedocle, di cui è allieva la protagonista Pantea.
Titolo originalePantea
Lingua originaleitaliano
Genereopera lirica
MusicaMichele Lizzi
LibrettoGerlando Lentini
Fonti letterarieMichele Lizzi
Gerlando Lentini
Attitre
Epoca di composizione1942
Prima rappr.5 aprile 1956
TeatroTeatro Massimo, Palermo
Personaggi
  • Pantea, allieva di Empedocle e promessa sposa di Senocrate
  • Senocrate, promesso sposo di Pantea
  • Empedocle, filosofo e maestro di Pantea
  • Teano, amica di Pantea
  • Popolo, (coro)

«Ermippo afferma per altro che una certa Pantea, agrigentina, sfidata da’ medici, era stata guarita da lui [Empedocle], e che per questo faceva il sagrificio, e che circa ottanta furono gli invitati.»

Pantea è un dramma lirico in tre atti di Michele Lizzi su libretto del poeta agrigentino Gerlando Lentini.

Fu la prima opera del musicista agrigentino, la cui idea nacque nel 1942 a seguito di una conversazione con lo stesso Gerlando Lentini, il quale ne fu poi anche librettista. Il tema di quest’opera è stato anche trattato, dallo stesso Lentini, nella raccolta Echi di primavera e nella novella Nillide.

Il dramma guadagnò fama nel 1955, con la vittoria nel “Premio Euterpe” indetto dal Comune di Napoli in occasione del Concorso delle Nove Muse.

Insieme a "L'amore di Galatea" e "La Sagra del Signore della Nave" essa costituisce una delle tre opere liriche scritte da Lizzi. L'opera, ambientata nell'antica Akragas, ha come protagonista la fanciulla Pantea, discepola del filosofo Empedocle e da cui è salvata dopo essere discesa negli Inferi.

Trama[modifica | modifica wikitesto]

Pantea è una giovane allieva del filosofo Empedocle, da cui ha appreso la dottrina della trasmigrazione delle anime. Nel primo atto, aspetta ansiosamente il futuro sposo Senocrate, vincitore nelle gare di carro a Pito, con cui ha un assente colloquio.[1] Nel secondo atto, Pantea confida all’amica Teano le sue inquietudini dovute alle sue convinzioni sulla reincarnazione, in contrasto con il tema allegro dello sposalizio. Durante i preparativi per il matrimonio, a causa delle numerose fisime, Pantea sviene come morta e scende nell’Ade. Nel terzo atto è riportata in vita con la maglia proprio da Empedocle, tuttavia l'esperienza dell'oltretomba lascia in lei un'ansia consapevole che la porterà a vivere con inquietudine il suo amore per Senocrate, come si nota nel clima di apprensione che avvolge il festante corteo nuziale.

Esecuzioni[modifica | modifica wikitesto]

«La mia realizzazione finale non vuole essere di distruzione ma di un'umana, non impossibile conciliazione tra due termini così opposti, quali la morte e la vita.»

La prima rappresentazione dell'opera avvenne il 15 aprile 1956 presso il Teatro Massimo di Palermo.

In occasione di ciò, era stato selezionato un cast di grande portata: a dirigere l’orchestra fu il Franco Capuana, direttore del San Carlo di Napoli dal 1930 al 1937, portando avanti un'esecuzione impeccabile che metteva in evidenza le complesse sfumature dell'opera. Nel ruolo di Pantea, Maria Curtis Verna si era distinta come un'artista eccezionale, trasmettendo con grande sentimento il conflitto interiore del personaggio.

Il protagonista maschile, Senocrate, era stato interpretato con vivacità da Mirto Picchi, mentre Plinio Clabessi aveva portato con serietà la figura di Empedocle. Altri interpreti, assegnati a ruoli minori, includevano Maria Martinuzzi, Maria Pintus, Amelia Pini, Rina Corsi, Manuel Spadafora, Sergio Tedesco ed altri.

Il coro, diretto da Giulio Bertola, aveva svolto un ruolo cruciale nell'unire le diverse parti del dramma. La regia era stata affidata a Enrico Fulchignani, con una piccola coreografia di Nives Poli e scenografie di Gino Morici. I costumi, ideati da Emma Calderini, erano stati realizzati dalla Casa d'arte Triolo.

L’opera ottenne un felice successo da parte della critica regionale e nazionale; in seguito, nel 1958, l'Azienda Autonoma di Soggiorno e Turismo di Agrigento progettò di rappresentarla prospiciente al Tempio della Concordia nella Valle dei Templi, ma senza un seguito.

Il 14 aprile 1958 fu rappresentata presso il Teatro Stabile di Catania, in cui venne sostituito il maestro di coro con Vittorio Barbieri e l’allestitore scenico con Pietro Zuffi. Nel 1959 il dramma andò in scena al San Carlo di Napoli, mentre invece il 4 giugno venne trasmesso sull’allora Rai 2. In suddetto contesto, la troupe era composta dal direttore Ugo Rapalo, Michele Lauro come maestro di Coro, Aldo Mirabella Vassalli in qualità di registra, mentre Pantea era interpretata da Anna de Cavalieri.

Interpretazione[modifica | modifica wikitesto]

«L'amore, la gioia, il dolore trovano una loro voce nell'espressione canora e strumentale mentre i colloqui dell'anima con se stessa, i sentimenti riflessi, cioè, impongono ben diverso approfondimento dell'espressione, una particolare intensificazione del prorompere della passione.»

Pantea ricorda “La figlia di Jorio”, opera composta nel 1954 da Ildebrando Pizzetti; da Pizzetti è ripreso soprattutto l’uso del declamato melodico. Era difficile interpretare una tragedia che era prettamente interiore, incentrata proprio sul personaggio di Pantea. Il dramma si snoda su tre personaggi principali: Senocrate, personaggio tipicamente classico con una visione armonica della vita; Pantea, protagonista femminile, che avverte la dicotomia tra l’armonia classica e l’inquietudine filosofica; infine Empedocle, il quale compare soltanto nell’ultimo atto ma è presente nel corso dell’opera con il suo pensiero.

Il coro, ripreso nella sua accezione greca, ha il ruolo di uno spettatore ideale ed è rappresentato da un popolo a tratti festoso, a tratti dolente.

La critica, sia nazionale che regionale, ha molto elogiato l’opera, ammirando in particolare modo il canto funebre del terzo atto, ed il tessuto orchestrale: il violoncello echeggia il tema di Pantea, intensificando lo struggimento e la tensione interiore; gli ottoni accompagnano invece le scene festanti e di gioia.

La staticità del libretto, evidente con il prevalere della speculazione filosofica sull’azione, fu risolta con una maggiore enfasi sull’orchestra e sul coro.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Il nome è un probabile omaggio a Senocrate di Agrigento, fratello del tiranno Terone elogiato da Pindaro nell'Ode Pitica VI per la vittoria negli agoni sportivi a Pito nel 490 a.C.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Gaspare Agnello, "Michele Lizzi, musicista del '900", Siculgrafica, Agrigento, 2012
  • Angela Bellia, "La riscrittura del mito nella musica e nel teatro tra cultura classica e contemporanea. Studi in onore del compositore Michele Lizzi (1915 - 1972)", Aracne, Roma, 2012
  • Settimio Biondi, "La cultura musicale agrigentina tra la fine dell'ottocento e i primi del novecento", Comune di Agrigento, Agrigento, 1984
  • Rita Capodicasa, "La Sagra del Signore della Nave: da Luigi Pirandello a Michele Lizzi", Edizioni Sinestesie, 2020
  • Lilia Cavaleri, "Due compositori agrigentini: Ignazio Lauria e Michele Lizzi", Centro Studi Giulio Pastore, Agrigento, 1995
  • Renato Chiesa, "La tragedia umana nella Sagra di Lizzi", in «Giornale di Sicilia», 13 marzo 1971
  • Giuseppe Di Salvo, "La Sagra del Signore della Nave di Michele Lizzi", in «Il settimanale di Bagheria», 10 aprile 2015
  • Enciclopedia della Musica, Ricordi, Milano, vol. III, p.31
  • Michele Lizzi, "Sagra del Signore della Nave. Atto unico", Curci, 2013
  • Gaetano Riggio, "Vita e cultura agrigentina del '900", Edizioni Sciascia, Roma, 1976
  • Paolo Puppa, "La Sagra del Signore della nave: dalla Festa dei Folli alla Fabbrica", The Yearbook of the British Pirandello Society, 1981
  • Sarah Zappulla Muscarà, "Pirandello e il teatro siciliano", Giuseppe Maimone Editore, 1986
  • Adriano Tilgher, "Sagra del Signore della Nave di Luigi Pirandello. Gli dei della montagna di Lord Dunsay" in «Il mondo», 4 aprile 1925
  • Riccardo Viagrande, "Ildebrando Pizzetti. Compositore, poeta, critico", Casa Musicale Eco, Monza, 2013

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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