Omobono Tenni
Omobono Tenni | |
---|---|
Nazionalità | Italia |
Motociclismo | |
«Mi ritirerò solo quando avrò trovato uno più veloce di me.»
Tommaso Omobono Tenni (Tirano, 28 luglio 1905 – Bremgarten bei Bern, 1º luglio 1948) è stato un pilota motociclistico italiano, soprannominato anche The Black Devil.
Biografia
Si trasferì con la sua famiglia nel 1920, quando aveva solo 15 anni, a Treviso. Qui iniziò un periodo di apprendistato in un negozio di motociclette. A 19 anni aprì il suo negozio di moto e iniziò la sua carriera da motociclista. Vinse la sua prima gara a Postumia il 24 maggio 1924 con una G.D. 125 e da questa data collezionò una serie incredibile di vittorie e record sul giro.
Entrò in Moto Guzzi nel 1933 e la sua prima gara con la Casa di Mandello fu il “Trofeo della Velocità” a Roma sul circuito Littorio con la Bicilindrica 500 dove fece una tremenda caduta a 180 km/h; si rialzò, ma un guasto alla Moto gli impedì di ripartire.
Poi vittorie e giri veloci: Verona, Pesaro, Treviso, Gran Premio d’Italia, Pescara, Circuito della Maddalena, la Milano-Roma-Napoli, Berna, Taranto.
Vinse il campionato italiano classe 500 con la Moto Guzzi negli anni 1934 e 1935
La sua vittoria più celebre fu al Tourist Trophy del 1937 sull’Isola di Man su una Moto Guzzi 250, diventando il primo motociclista non britannico a vincere quella che all'epoca era la gara più famosa al Mondo. Era la seconda volta che ci provava e la Stampa Inglese lo aveva accolto con un titolo “l’Uomo che viene dalla terra dei Cesari”. Dopo aver preso la testa della corsa, cadde al termine del primo giro, perdendo la prima posizione e 35 secondi. Lanciatosi in una rimonta forsennata, chiudendo il 4º giro con 29’8”, riconquistò il comando, ma al settimo e ultimo giro si dovette fermare per cambiare una candela. Nonostante tutto inflisse più di mezzo minuto al secondo arrivato, il campione inglese Stanley Woods, e 4 minuti e ½ al terzo. Chiuderà in 3h32m6sec alla media di 74 miglia ora (poco più di 120 km/h). Nello stesso anno, con la vittoria nel Gran Premio motociclistico di Svizzera, conquista il titolo di Campione d'Europa nella classe 250.
Si fece notare anche nelle corse automobilistiche, partecipando a varie competizioni tra le quali la Mille Miglia del 1936 che vinse nella sua categoria su una Maserati Tipo 4CS 1500[1], il Gran Premio di Montecarlo e il Gran Premio di Germania, sul circuito del Nurburgring, dove riuscì a segnare il miglior tempo sul giro.
Il 27 luglio 1939 fu vittima di un incidente di gara che lo tenne lontano dalle competizioni per molti mesi. Durante le prove sul Circuito del Lario, per evitare l'impatto con carretto trainato da un asino che transitava sul percorso di gara, sfuggito al controllo degli organizzatori, Tenni uscì di strada precipitando in una scarpata e fratturandosi il piede e il braccio destri. Dopo la pausa della Seconda guerra mondiale riprese nel 1945 con numerose vittorie importanti e conquistò il suo secondo campionato europeo, nel 1947, questa volta nella classe 500. Nello stesso anno vince per la terza volta il campionato italiano classe 500 sempre in sella alla Moto Guzzi.
Il 1º luglio 1948 morì durante le prove del Gran Premio di Berna alla curva Eymatt, la stessa curva dove alcune ore dopo perse la vita Achille Varzi.
La salma del campione fu trasportata da Berna agli stabilimenti Moto Guzzi di Mandello del Lario dov'era organizzata la veglia funebre. All'alba del 4 luglio la bara venne trasportata a Treviso da un camion della Moto Guzzi bardato a lutto, seguito dall'alto da aerei dell'Aero Club Treviso che lanciarono fiori per il tragitto da Castelfranco a Treviso, unitamente alle migliaia di tifosi che lo attesero sul ciglio della strada per l'ultimo omaggio.
La Moto Guzzi gli ha dedicato un monumento che campeggia nel Museo ed una versione speciale della V11 Le Mans, ed è da molti considerato il pilota che più ha dato lustro alla casa di Mandello. Ad Omobono Tenni è intitolato lo stadio di calcio di Treviso.
Note
- ^ Dal sito ufficiale Maserati – Specifiche tecniche della Maserati 4CS 1500, su maserati.it. URL consultato il 06-04-2010.