Marazzi Group

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Marazzi Group
StatoBandiera dell'Italia Italia
Forma societariaSocietà a responsabilità limitata
Fondazione1935 a Sassuolo (MO)
Fondata daFilippo Marazzi
Sede principaleSassuolo
GruppoMohawk Industries
SettoreManifatturiero
Prodottipiastrelle di ceramica e grès porcellanato
Sito webwww.marazzi.it

Marazzi Group è un'azienda italiana specializzata nella produzione e commercializzazione di lastre in grès porcellanato e ceramica per superfici verticali ad alta sollecitazione e superfici orizzontali ad alto traffico.[1] È tra i primi quattro produttori mondiali di piastrelle e sanitari.[2]

Dal dicembre 2012 è controllato dal gruppo americano Mohawk Industries con sede a Calhoun, in Georgia.[3]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

Gli inizi[modifica | modifica wikitesto]

Filippo Marazzi, proprietario di una drogheria nel centro di Sassuolo, intuì le possibilità di sviluppo del business delle piastrelle quando nella zona si trovavano solo pochi laboratori artigianali, e la ceramica era vista solo come un prodotto sanitario per rivestire il bagno e la parete della cucina dietro i fornelli. Nel 1935, a 60 anni, Marazzi lasciò la drogheria ai fratelli e mise in piedi una piccola fabbrica chiamata "la fabbrica di cartone" perché, a causa della mancanza di mattoni, il soffitto era formato da lamiere ondulate e le pareti costituite da cassette di cartone dove si raccoglievano gli scarti come pareti. All'interno vi installò le fornaci Hoffmann, quelle che all'epoca andavano per la maggiore. Qui Marazzi cominciò, con un tecnico ceramista, a produrre e a vendere nel Centro Italia.[4]

Organizzazione e ricerca[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni cinquanta fu il figlio Pietro, laureato in legge e da tempo in azienda, a prendere la responsabilità della fabbrica, dandole un'organizzazione aziendale. Acquistò i macchinari in Germania, assunse ingegneri, e nei primi anni sessanta creò un centro di ricerca vicino a Parma. Dai laboratori Marazzi uscì quindi una novità destinata a cambiare il ciclo produttivo della ceramica: la monocottura.[4] Fino ad allora, le fasi della produzione erano due: 12 ore per cuocere la base delle piastrelle e 12 ore per cuocerne lo smalto. Con questo nuovo sistema, invece, le piastrelle venivano cotte per 50 minuti in un forno a forma di tunnel. Nel frattempo, si sviluppò il distretto delle ceramica di Sassuolo, con decine di aziende (Ceramiche Ragno, Ceramiche Richetti, Iris, Emilceramica, Atlasconcorde, eccetera): diventò conosciuto come la "Piastrella Valley", un territorio compreso tra le province di Modena e Reggio Emilia in cui si concentrava l'80% della produzione di ceramiche italiane. A questo punto, la ceramica non era più solo utilizzata per la cucina e il bagno, ma iniziò ad essere utilizzata anche nei salotti.

L'internazionalizzazione[modifica | modifica wikitesto]

A partire dagli anni settanta, il Gruppo Marazzi cominciò a collaborare con esponenti dell'architettura e della moda (tra i quali Federico Forquet, Paco Rabanne, Biki), dopo che già nel 1960 Pietro Marazzi e Giò Ponti avevano presentato la piastrella quattro volte curva, poi passata alla storia come Triennale. L'azienda cominciò anche ad internazionalizzarsi, grazie a una politica di acquisizioni di aziende italiane ed estere, e con aperture di nuove sedi e stabilimenti all'estero; proprio in questi tempi, Pietro Marazzi morì in un incidente d'auto e gli subentrò il figlio Filippo, il quale portava lo stesso nome del nonno, non ancora trentenne ma che lavorava in azienda già dall'età di 22 anni. Fu infatti il giovane Filippo Marazzi a dare un forte sviluppo al processo di internazionalizzazione. Nel 1979 sbarcò in Spagna, dove si trovava già dal 1964 con una joint-venture, aprendo una propria fabbrica a Castellòn de la Plana: Marazzi Iberia. Nel 1982 aprì uno stabilimento a Dallas, nel Texas; per quanto la ceramica non fosse ancora diffusa nelle case statunitensi, investì 5 milioni di dollari nell'American Marazzi Tile: fu il punto di partenza di un forte sviluppo nel mercato di questo territorio. Nel 1989 acquistò la vecchia rivale di Sassuolo, numero due del settore, l'azienda Ceramiche Ragno della famiglia Giacobazzi, quasi raddoppiando in un solo colpo il fatturato.[5] Nel 1992 comprò la Hatria di Teramo nel settore igienico-sanitario. A metà degli anni novanta, vi fu una nuova acquisizione: la storica azienda francese Cerabati con il marchio Gres d'Artois. In seguito, rilevò un'azienda americana, questa volta in Alabama, la Monarch Tile; nel 2000 le Ceramiche Mix e nel 2001, dal gruppo Pastorelli, lo stabilimento dell'Italiana Pavimenti di Finale Emilia.[6] Aveva quindi messo radici in Germania, Russia, Giappone, Cina, Emirati Arabi.

Nel 2006 il Gruppo Marazzi si quota alla Borsa di Milano, per poi effettuare il delisting due anni dopo. A quel punto cambia anche l'azionariato della società: il 51% alla famiglia Marazzi (Filippo e la sorella Rosaria), il 49% ai fondi Permira e Private Equity Partners che hanno accompagnato l'azienda prima in Borsa e poi nel delisting. La società ha un fatturato di 970 milioni di euro, 5.800 dipendenti e 20 stabilimenti.[7]

La cessione[modifica | modifica wikitesto]

Nel 2012, Filippo Marazzi Jr. scompare dopo una lunga malattia. Nello stesso anno, a dicembre, il Gruppo Marazzi viene ceduto ad una multinazionale americana quotata a Wall Street, Mohawk Industries,[3] specializzata nei rivestimenti per l'edilizia con ricavi per 5,6 miliardi di dollari. Il Gruppo Marazzi è stato ceduto per 1,5 miliardi di dollari, all'incirca 1,1 miliardi di euro.[8]

Nell'aprile 2013, torna alla guida del Gruppo Marazzi Mauro Vandini, che fino al 2009 aveva già lavorato in azienda.[9] Nell'aprile 2017, la società acquisisce Emilceramica di Fiorano Modenese, una società fondata nel 1961, 500 dipendenti, due stabilimenti e quattro marchi (Emilceramica, Provenza, Viva, Ergo) distribuiti in 5500 punti vendita.[10] Nel 2017, sono stati aperte showroom anche a Londra e Parigi, ed è stato rinnovato lo stabilimento di Sassuolo.[11]

I marchi[modifica | modifica wikitesto]

  • Marazzi
  • Marazzi Tecnica
  • Marazzi Marmi
  • Masterker
  • Ragno
  • Mix
  • emil

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Pavimenti e rivestimenti in ceramica e gres | Marazzi, su marazzi.it. URL consultato il 27 dicembre 2019.
  2. ^ Ceramic World Review svela i maggiori produttori mondiali di piastrelle e sanitari, su ceramicworldweb.it. URL consultato il 27 dicembre 2019.
  3. ^ a b Le piastrelle Marazzi agli americani, su repubblica.it. URL consultato il 7 gennaio 2018.
  4. ^ a b Nicoletta Picchio, L'Italia che conta, in Il Sole 24 Ore, Milano, 2003.
  5. ^ Le Ceramiche Ragno, su industrieceramiche.com. URL consultato il 9 gennaio 2018.
  6. ^ Katia Giusepponi, La comunicazione economico-finanziaria delle grandi imprese, il caso Marazzi, Milano, Franco Angeli Edizioni, 2003.
  7. ^ Marazzi Group, su borsaitaliana.it. URL consultato il 9 gennaio 2018 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2018).
  8. ^ Ufficiale: Marazzi all'americana Mohawk, su gazzettadimodena.gelocal.it, 21 dicembre 2012. URL consultato il 9 gennaio 2012.
  9. ^ Marazzi, la storia e il futuro (PDF), su confindustriamodena.it. URL consultato il 9 gennaio 2018 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2018).
  10. ^ Marazzi si compra le piastrelle di Emilceramica, su repubblica.it, 3 aprile 2017. URL consultato il 10 marzo 2019.
  11. ^ Marazzi, un primato italiano legato all'innovazione tecnologica, su ceramicworldweb.it, 21 gennaio 2018. URL consultato il 10 marzo 2019.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Nicoletta Picchio, La Piastrella Valley si internazionalizza in L'Italia che conta, Milano, Il Sole 24 Ore, 2003. ISBN 88-8363-485-3.
  • Katia Giusepponi (a cura), La comunicazione economico-finanziaria delle grandi imprese: un'indagine empirica, Milano, Franco Angeli Edizioni, 2003. ISBN 88-464-4902-9.
  • Decio Giulio Riccardo Carugati, Marazzi, Milano, Electa, 2007. ISBN 978-88-370-5321-5.
  • Sandro Chesi, Pietro Marazzi. Un capitano dei... miracoli, dalla "fabbrica di cartone" all'impero ceramico, Reggio Emilia, Diabasis, 2009. ISBN 978-88-8103-622-6.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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