Malassezia furfur

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Malassezia furfur
Malassezia furfur al microscopio SEM.
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Fungi
Divisione Basidiomycota
Sottodivisione Ustilaginomycotina
Classe Exobasidiomycetes
Ordine Malasseziales
Famiglia Incertae sedis
Genere Malassezia
Specie M. furfur
Nomenclatura binomiale
Malassezia furfur
(C.P. Robin) Baill., 1889
Malassezia furfur isolato dalle squame della pelle di un paziente con pitiriasi versicolor.

Malassezia furfur, in precedenza denominato Pityrosporum ovale, è un lievito normalmente presente nella flora cutanea di oltre il 90% degli esseri umani adulti.[1] È in grado di comportarsi da patogeno opportunista e la sua presenza è considerata importante nell'eziologia di patologie cutanee come la pitiriasi versicolor e la dermatite seborroica.

Crescita[modifica | modifica wikitesto]

Cresce rapidamente, raggiungendo la maturazione in 5 giorni alla temperatura di 30-37 °C; la crescita diviene più lenta alla temperatura di 25 °C. Si nutre di acidi grassi a lunga catena, sostanze di cui il sebo è molto ricco.[2]

Morfologia[modifica | modifica wikitesto]

Le fialidi di Malassezia furfur hanno dimensioni 1,5-4,5 x 2,0-6,5 μm,[1] con piccolo collaretto all'estremità, assumendo la caratteristica forma "a bottiglia".

Patologia[modifica | modifica wikitesto]

Malassezia furfur è normalmente un commensale; diviene in grado di comportarsi da patogeno in seguito a una sua iperproliferazione (dovuta ad esempio ad eccessiva o alterata produzione di sebo, o alla eccessiva umidità di certe zone corporee[3]) o in pazienti immunodepressi. È principalmente noto per il suo ruolo eziopatogenetico nella dermatite seborroica e nella pitiriasi versicolor, infezione cutanea che si presenta con macchie ipocromiche, desquamazione e irritazione.

Altre manifestazioni patologiche associabili a Malassezia furfur sono follicoliti, sepsi da cateterismo in seguito a somministrazione endovena di lipidi con possibilità di sviluppo di polmonite, peritonite in pazienti in dialisi peritoneale continua. Più raramente il lievito è stato riscontrato in casi di artrite settica, mastite, sinusite e ostruzione del dotto lacrimale.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c Larone, p.136.
  2. ^ I.E., Ceppo anti-forfora nella nuova pillola, in la Repubblica, 23 novembre 2010, p. 41.
  3. ^ Tiziana Moriconi, Troppi funghi per la testa, in la Repubblica, 17 aprile 2018, p. 55.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

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