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Lucio Orbilio Pupillo

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Lucio Orbilio Pupillo (latino: Lucius Orbilius Pupillus; Beneventum, circa 113 a.C.Roma circa 13 a.C.) fu un grammatico e didatta latino, universamente noto come Orbilio: Orbilius Pupillus (traducibile con orfanello minorenne) non è nomen gentilizio ma un doppio cognomen indicante condizione familiare.

Il praenomen Lucio è testimoniato dal solo Svetonio.

Biografia

La principale fonte d'informazioni biografiche è il De grammaticis et rhetoribus di Svetonio. In essa l'autore, come sua abitudine, indulge in particolari curiosi e scandalistici, ma li accompagna con citazioni esterne di gran valore creando un ritratto coerente e caratteristico del personaggio.

Nato a Beneventum, Orbilio fin da ragazzo affrontò studi regolari con grande impegno. La sua giovinezza subì un grave trauma: nello stesso giorno perirono di morte violenta entrambi i genitori. Era il periodo della sanguinosa guerra tra Mario e Silla e della guerra sociale che provocò migliaia di morti in tutta la Magna Grecia orientale.

Egli dovette dunque ingegnarsi come passacarte e fattorino amministrativo (apparitor). Prestò servizio militare prima come ausiliario e poi come cavaliere in Macedonia. Terminata la leva militare riprese e completò gli studi umanistici.

Dopo aver a lungo insegnato in patria, a cinquant'anni passò a Roma durante il consolato di Cicerone (63 a.C.) e lì vi insegnò con più fama che guadagno: infatti, vecchissimo, ammette in uno scritto di abitare in un domicilio da poveraccio.

L'età non mitigò il carattere duro non solo contro i rivali letterari, che avversava in qualunque occasione, ma anche contro i suoi studenti, come ci lascia intendere Orazio che avendolo avuto come insegnante sessantenne gli affibbiò il soprannome di plagosus ("manesco") in Ep. II, 1, 68-71:

Non equidem insector delendave carmina Livi
esse reor, memini quae plagosum mihi parvo
Orbilium dictare; sed emendata videri
pulchraque et exactis minimum distantia miror.

E comunque non depreco e non voglio distrutti
i poemi di Livio che -ricordo- a me da ragazzo
Orbilio dettava a suon di botte, ma mi meraviglio
che siano creduti puri, leggiadri, praticamente perfetti

Tale attitudine non fu riservata però solo alla didattica, ma anche contro personaggi politici a cui non furono risparmiate allusioni sarcastiche: ce ne viene conferma da un aneddoto di Svetonio e da un verso del poeta Domizio Marso:

Si quos Orbilius ferula scuticaque cecidit

Se Orbilio ha fatto a pezzi uno a bacchettate o staffilate...

Morì quasi centenario, dopo aver perso la memoria, come ironizza Furio Bibaculo nel suo epigramma:

Orbilius ubinam est litterarum oblivio?

Dov'è mai Orbilio, che non ricorda più la letteratura?

Gli fu dedicata una statua a Benevento, dove appariva seduto, vestito di pallium e con ai lati due scrigni. Lasciò un figlio con il suo nome, anch'egli grammatico e insegnante.

Fu suo servo Scribonio di Afrodisia, il quale, affrancato da Scribonia, prima moglie di Ottaviano Augusto, divenne suo discepolo.

Opere

Di Orbilio non ci è rimasto praticamente nulla. Svetonio però riferisce la pubblicazione di uno scritto intitolato Περί ἄλγεος (Perì álgheos, in greco Il dolore), pieno di lamentele per le offese che i professori pativano a causa della negligenza o l'avidità dei genitori.

Ma tale titolo non è certo. I manoscritti di Svetonio riportano infatti la parola perialogos, insensata sia in latino che traslitterata in greco: si dovette pertanto correggerla basandosi sulle informazioni successive: "continentem querelas de iniuriis quas professores neglegentia aut ambitione parentum acciperent". Tra le ipotesi, oltre a quella nel testo (G. Brugnoli, 1960), si cita περιαλγής (perialghès ; Funaioli, 1907 sulla scorta di Toup), Paedagogus (F. von Oudendrop, 1751), o un ancor più improbabile περιαυτὸλογος (periautologos ; J.A. Ernesti, 1748).

Frammenti

Della sua opera ci sono giunti per tradizione indiretta solo tre frammenti che attestano l'interesse di Orbilio per le sinonimie:

Il primo è citato da Svetonio stesso:

Sunt qui litteratum a litteratore distinguant, ut Graeci grammaticum a grammatista, et illum quidem absolute, hunc mediocriter doctum existiment. Quorum opinionem Orbilius etiam exemplis confirmat: namque apud maiores ait cum familia alicuius venalis produceretur, non temere quem litteratum in titulo sed litteratorem inscribi solitum esse, quasi non perfectum litteris sed imbutum.

Ci sono quelli che distinguono letterato da istruito, come i Greci il grammatico dal grammatista, e l'uno lo definiscono assolutamente colto, l'altro mediocremente. Orbilio ne conferma l'opinione anche con esempi: e infatti afferma che i nostri avi, quando vendevano all'asta gli schiavi di qualcuno erano senz'altro soliti scrivere sul cartello non già letterato ma istruito, quasi per dire che lo schiavo non era un perfetto conoscitore della letteratura ma soltanto uno che sapeva leggere e scrivere.

Il secondo frammento è citato da Isidoro di Siviglia nel suo Differentiae verborum, 86, in riferimento a un frammento di Afranio:

Inter criminatorem et criminantem hoc interesse auctor Orbilius putat, quod criminator sit qui alteri crimen inferat et id saepius faciat, criminans autem qui crimen inferat et cum suspicione quoque id faciat, qua re quis magis noxius videatur

tra accusatore e incriminatore l'autorevole Orbilio sostiene che ci sia questa differenza: il criminator è uno che intenta un'accusa contro qualcuno e lo fa fin troppo spesso, il criminans invece chi intenta un'accusa e lo fa anche con un indizio, per cui risulta più pericoloso.

Il terzo è citato da Prisciano nelle sue Institutiones (VIII, 16), nella sezione sulle forme verbali, dove vengono citati alcuni casi in cui verbi normalmente deponenti (cioè di forma passiva ma di diatesi attiva) sono usati passivamente. A questi esempi sono accostati verbi di uguale comportamento in greco, a testimonianza della estrema sopravvivenza della diatesi mediopassiva anche in latino.

Orbilius: quae vix ab hominibus consequi possunt, ἀνύεσθαι

(Da) Orbilio: che a malapena possano essere conseguiti dagli uomini, ἀνύεσθαι (pron. anýesthai)

Curiosità

Finite nell'oblio le sue opere, la fortuna della figura di Orbilio fu per secoli legata a quella del più noto alunno, che ne consegnò ai posteri il brevissimo ritratto che lo rese l'archetipo dell'istitutore puntiglioso, retrivo e violento. Da questa sua reputazione furono tratti i seguenti quadretti letterari

De schrandre Orbilius, de Valla van zijn' tijd,
Die al zijn geestvermogens wijdt
Aan 't oordeelkundig onderzoeken
Van oude en nieuwe spelleboeken.

Hij, die de doling van een komma fiks betrapt,
En, wijl de letters 't woord en woorden zaken maken,
Eerst om de letters denkt, en eindlijk om de zaken;
Hij, wien geen streep, geen stip ontsnapt,

Die held, die door zijn edelmoedig pogen,
De taal dus keurig schift en zift,
Sloeg onderdaags de scherpziende oogen
Toevallig op een luifelschrift:

Wat ziet hij? ... hij staat stil, verbleekt, en zegt: ô Narren!
Waar zal 't in 't eind nog heen? ... ô wee!
Zoo durft men thans uw schoone taal verwarren,
Rampzalig vaderland! ... Ach! Koffie met een C![1]

Il bravo Orbilio, il Valla del suo tempo,
che dedica tutta l'energia della sua mente
a investigare con appropriato giudizio
vecchi e nuovi libri di sillabazione

lui che scopre severamente una virgola fuori posto,
e, mentre le lettere indicano la parola e le parole oggetti,
pensa prima alle lettere e dopo al loro senso;
lui a cui non sfuggono punti o linee,

quell'eroe, grazie ai suoi nobili tentativi
così elegantemente soppesa la lingua.
La sua vista acuta recentemente è caduta
per caso su un'insegna pubblicitaria:

Cosa vede? Si ferma, impallidisce e dice: "O folli!
Dove andremo a finire? Ahimè!!
a tal punto adesso osate confondere la nostra bella lingua,
O rovinata madrepatria… Oh! Caffè con la K!"

  • Il poeta francese Arthur Rimbaud: esempio di genio precoce, a quattordici anni appena compiuti era già abile versificatore in latino. Studente esterno al collegio di Charleville, il 6 novembre 1868 propone il suo primo saggio di poesia Ver erat. In esso immagina che il poeta Orazio, a sua volta giovane studente, approfitti di una malattia del maestro per una scampagnata primaverile.

Ver erat, et morbo Romae languebat inerti
Orbilius: diri tacuerunt tela magistri
Plagarumque sonus non jam veniebat ad aures,
Nec ferula assiduo cruciabat membra dolore.[2]

Era primavera, e a Roma languiva per morbo infermo
Orbilio: tacquero gli strali del crudele maestro
Non più giungeva alle orecchie il suon delle percosse
Né la sferza tormentava le membra con diuturno dolore.

Involontaria o intenzionale, l'identificazione dell'autore con il protagonista crea nello sviluppo successivo di questo poemetto un'impressionante profezia del futuro poeta simbolista e ribelle a ogni coercizione: Orazio si addormenta presso la riva di un fiume e in sogno viene incoronato d'alloro da uno stormo di colombe; gli appare poi Apollo in persona che gli scrive sul capo TU VATES ERIS ("Tu sarai poeta"). Le colombe si riveleranno essere le nove Muse.

  • Il poeta Giovanni Pascoli nel suo carmen latino Sosii fratres bibliopolae ("Casa Editrice Fratelli Sosii"), scritto nel 1899 e vincitore del Certamen Hoeufftianum di Amsterdam nel 1900, rievoca Orbilio assieme a Valerio Catone nello scenario di una famosa casa editrice Romana del I secolo a.C., mentre brontolano contro le nuove mode letterarie che stanno decretando il successo della poesia virgiliana e se ne vanno, uno da una parte, l'altro dall'altra, scuotendo la testa (vv.73-111).

Note

  1. ^ Da P.G. Witsen Geysbeek, Biographisch anthologisch en critisch woordenboek der Nederduitsche dichters, vol. 1 ABE-BYN, pp. 386-387
  2. ^ A. Rimbaud, Vers de Collège, a cura di Jules Mouquet, Paris, Mercure de France, 1932.

Bibliografia

I frammenti di Orbilio, come quelli degli altri grammatici di età repubblicana, sono stati raccolti da Gino Funaioli nel prezioso volume

Altre informazioni sono reperibili dall'edizione del De grammaticis et Rhetoribus presente in

  • C. Suetoni Tranquilli praeter Caesarum Libros Reliquiae. Pars 1, ed. G. Brugnoli, Roma 1960)

e nella più recente

  • Suetonius, De grammaticis et rhetoribus, ed. R. A. Kaster, Oxford, Clarendon Press, 1995, pp. 128-137.

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