Massacro di Auletta
Massacro di Auletta | |
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Data | 28 luglio 1861 |
Luogo | Auletta (Salerno) |
Stato | Italia |
Obiettivo | civili |
Responsabili | bersaglieri del Regio Esercito, squadra della Legione ungherese[1] |
Motivazione | rivolta legittimista filoborbonica |
Conseguenze | |
Morti | da 45 a 130, oltre 200 arrestati |
Il massacro di Auletta, avvenuto il 30 luglio 1861, fu una strage compiuta dal Regio Esercito ai danni della popolazione civile di Auletta, centro abitato della provincia di Salerno.
Storia[modifica | modifica wikitesto]
Il 28 luglio 1861, una nutrita colonna di legittimisti fedeli ai Borbone di Napoli, che si stava concentrando da giorni in località bosco Lontrano, entrò in Auletta, accolta festosamente dalla popolazione civile[2] lealista, mentre i pochi liberali presenti fuggirono a Pertosa e Caggiano, chiedendo l'intervento di truppe armate[1]. Similmente a quanto sarebbe avvenuto a Camerota nel luglio 1862 (vedi voce Giuseppe Tardio), dal palazzo del comune vennero rimossi e distrutti i ritratti di Vittorio Emanuele II e Garibaldi e vi fu innalzata la bandiera del Regno delle Due Sicilie. Contemporaneamente, nella locale chiesa di San Nicola di Mira viene celebrato un Te Deum a favore dei deposti sovrani, e le campane della chiesa vennero fatte suonare a distesa per invitare i cittadini alla rivolta[2].
I militari italiani, acquartierati nella vicina Pertosa, intervennero su Auletta con alcune decine di soldati della Guardia Nazionale Italiana e dei Reali Carabinieri, i quali vennero però respinti a fucilate. Resisi conto dell'importanza della rivolta, i vertici del VI comando decisero di stroncare sul nascere la ribellione ed inviarono un contingente di bersaglieri affiancati da una compagnia della Legione ungherese[1].
Espugnato il piccolo centro, al mattino del 30 luglio, e messi in fuga i guerriglieri, i militari si accanirono sulla popolazione civile, compiendo uccisioni ed anche saccheggi.[1][3].
Tra le 45 vittime accertate vi fu il parroco Giuseppe Pucciarelli[1][2], mentre altri quattro religiosi furono pestati a sangue in piazza e costretti ad inginocchiarsi davanti al tricolore sabaudo. Uno di loro, settuagenario, cercò di rialzarsi, ma venne ucciso da un sergente a colpi di calcio di fucile alla testa[1]. Secondo altre fonti i morti «sembra fossero 130»[4]. I luoghi di culto furono saccheggiati e duecento cittadini vennero arrestati e tradotti nel carcere di Salerno con l'accusa di rivolta e di cospirazione[2].
Note[modifica | modifica wikitesto]
- ^ a b c d e f Giacinto de' Sivo, p. 440.
- ^ a b c d Raffaele Avallone.
- ^ Pietro Calà Ulloa, p. 113.
- ^ Franco Molfese, Storia del brigantaggio dopo l'Unità, Milano, Feltrinelli, 1979, p. 399.
Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]
- Raffaele Avallone, Estate 1861, il massacro dei "briganti", in Corriere del Mezzogiorno, 7 marzo 2011. URL consultato il 14 marzo 2011.
- Giacinto de' Sivo, Storia delle Due Sicilie 1847-1861 (PDF), Vol. 2, libro XXXIII, paragrafo 7, Brindisi, Edizioni Trabant, 2009, ISBN 88-96576-11-3. URL consultato il 14 marzo 2011.
- Pietro Calà Ulloa, Lettere napolitane, Roma, Tipografia di Angelo Placidi, 1864. URL consultato il 14 marzo 2011. ISBN non esistente