Chiesa di Santa Maria a Sicola
Chiesa di Santa Maria a Sicola | |
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Stato | ![]() |
Regione | Campania |
Località | Napoli |
Coordinate | 40°51′36.95″N 14°15′06.97″E |
Religione | Cattolica |
Diocesi | Arcidiocesi di Napoli |
Fondatore | Pietro Leone Sicola |
Inizio costruzione | 1275 |
Completamento | 1275 |
La chiesa di Santa Maria a Sicola è un luogo di culto di Napoli, situata in vico Santa Maria Antesaecula, presso il rione di Forcella.
Storia
Nel 1275 Pietro Leone Sicola, nobile del sedile di Forcella e capo della cancelleria di Carlo I d'Angiò, fece costruire nella zona della Vicaria Vecchia un conservatorio femminile con annessa chiesa, chiamati "Santa Maria a Sicola" con riferimento al fondatore; in seguito, grazie ad una guarigione ritenuta miracolosa del re Ladislao I, l'istituto fu finanziato direttamente dalla famiglia reale, che destinò a tale scopo i proventi della gabella sulla neve.
Si ritiene che fu un papa Clemente (le cui fonti precedenti al Galante indicano erroneamente come Clemente III) a consacrare la chiesa, che fu cappella preferita di tutti i sovrani angioini e durazzeschi. Ne fu rettore da giovane Giovanni Pietro Carafa, che sarebbe poi divenuto papa Paolo IV.
Nel Seicento, a causa del disordinato sviluppo edilizio (anche se si parla principalmente di insalubrità dell'aria), la zona della Vicaria Vecchia fu ritenuta inidonea a continuare ad ospitare l'istituto. Così nel 1622 l'intero complesso fu trasferito nella Sanità e fu fondata la chiesa di Santa Maria Antesaecula con il relativo monastero, detta così dal momento che il nome Sicola fu corrotto in antesaecula, con allusione alle parole della Madonna: ab inizio et ante saecula creata sum (sono stata creata fin dall'origine e prima dei secoli).
Nel 1824 Ferdinando I delle Due Sicilie affidò la chiesa alla Congrega di San Nicodemo degli apparatori (detti anche paratori o paradori), cioè gli arredatori, che la ridecorarono con molti drappi e fastigi secondo la loro arte. Tuttavia gli storici ottocenteschi tra cui il Chiarini e il Galante non risparmiarono critiche nei confronti di quelle decorazioni, a loro dire oltremodo pompose e poco rispettose delle preesistenti opere artistiche. Il Galante cita sull'altare maggiore una tela di Francesco Curia, danneggiata dalle aggiunte che le recarono gli apparatori.
In grave stato di degrado e spogliata delle varie opere, è stata anche utilizzata come deposito.
Bibliografia
- Gennaro Aspreno Galante, a cura di Nicola Spinosa, Guida sacra della città di Napoli, Società Editrice Napoletana, 1985