Campi di concentramento della Repubblica Sociale Italiana

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Le baracche del Campo di transito di Bolzano nel 1945, prima della demolizione
Il campo di Fossoli, oggi
La Risiera di San Sabba, oggi

I campi di concentramento della Repubblica Sociale Italiana furono la rete di campi di prigionia e di transito attraverso cui tra l'8 settembre 1943 e il 25 aprile 1945 operò il meccanismo dell'Olocausto in Italia, finalizzato alla deportazione degli ebrei nei campi di sterminio, in primo luogo Auschwitz. La preesistente rete di campi per l'internamento civile nell'Italia fascista, istituiti tra il 1940 e il 1943 per la detenzione e il confino degli ebrei "stranieri" o antifascisti, fu parzialmente riadattata a servire al nuovo scopo di sterminio di tutti gli ebrei residenti nella Repubblica Sociale Italiana.

La vicenda[modifica | modifica wikitesto]

Prima dell'8 settembre 1943 operava nell'Italia fascista una fitta rete di campi per l'internamento civile degli ebrei "stranieri", antifascisti e di altri gruppi etnici considerati "non-italiani". Per quanto, soprattutto nei confronti degli slavi, si verificassero in alcuni campi delle condizioni di vita disumane, che portarono alla morte per stenti di migliaia di prigionieri, agli ebrei furono riservate condizioni di vita migliori. Agli internati ebrei era infatti concessa una certa libertà di movimento e autonomia organizzativa, e la possibilità di ricevere aiuti e assistenza dall'esterno, soprattutto attraverso la DELASEM. Il trattamento fu simile a quello di una prigionia, e non fu affiancato da violenze antisemite fisiche o morali aggiuntive. Soprattutto, essi non furono soggetti a deportazione.[1]

Tutto questo cambiò radicalmente dopo gli avvenimenti dell'8 settembre 1943, con l'avvio anche in Italia della "soluzione finale della questione ebraica", con il supporto congiunto delle truppe di occupazione tedesca e delle forze di polizia della neonata Repubblica Sociale Italiana. I campi di internamento civile dell'Italia meridionale, in primo luogo Ferramonti e Campagna, furono liberati dagli Alleati e agli ebrei ivi rimasti furono così risparmiati gli orrori dell'Olocausto.[2] Ben altra fu la situazione degli ebrei (italiani e "stranieri") nel Centro e Nord Italia, ora ugualmente soggetti a deportazione e sterminio.

Dopo i primi arresti e deportazioni compiuti direttamente dalle truppe di occupazione tedesche, dal 30 novembre 1943 anche le autorità di polizia e le milizie della Repubblica Sociale furono mobilitate per l'arresto di tutti gli ebrei, il loro internamento e la confisca dei loro beni.[3]

Così prescriveva l'ordine firmato dal Capo della Polizia Tullio Tamburini:[4]

(1) Tutti gli ebrei, anche se discriminati, a qualunque nazionalità appartengano, e comunque residenti nel territorio nazionale debbono essere inviati in appositi campi di concentramento. Tutti i loro beni mobili e immobili devono essere sottoposti a immediato sequestro in attesa di essere confiscati nell’interesse della Repubblica Sociale italiana, la quale li destinerà a beneficio degli indigenti sinistrati dalle incursioni aeree nemiche.
(2) Tutti coloro che, nati da matrimonio misto, ebbero, in applicazione delle leggi razziali vigenti, il riconoscimento di appartenenza alla razza ariana, debbono essere sottoposti a speciale vigilanza dagli organi di polizia.
(3) Siano pertanto concentrati gli ebrei in campi di concentramento provinciali, in attesa di essere riuniti in campi di concentramento speciali appositamente attrezzati.

Allo scopo di radunare gli ebrei arrestati furono istituiti 31 campi di concentramento provinciali, dove potessero essere raccolti gli ebrei del luogo, spesso riutilizzando senza soluzione di continuità le strutture di alcuni campi per l'internamento civile creati negli anni precedenti. Da questi campi, gli ebrei (imprigionati assieme ai prigionieri politici antifascisti) erano trasferiti alle strutture gestite direttamente dalla truppe tedesche: il Campo di concentramento di Borgo San Dalmazzo, il Campo di Fossoli, la Risiera di San Sabba e il Campo di transito di Bolzano. Da lì partivano i trasporti per i campi di concentramento e di sterminio in Germania e Polonia.

Il sistema dei campi provinciali non dette i risultati sperati dai fascisti, di fronte alla pronta dispersione degli ebrei in clandestinità e all'atteggiamento omertoso (se non solidale) di gran parte della popolazione italiana. I campi rimasero sottoutilizzati, tanto che la maggior parte di essi fu presto chiusa. Le operazioni di polizia per la cattura degli ebrei continuarono con accanimento, ma ci si appoggiò prevalentemente al sistema carcerario, da cui i prigionieri erano trasferiti a Fossoli e deportati. Complessivamente, i tedeschi deportarono (prevalentemente ad Auschwitz) 8.564 ebrei dall’Italia e dalle zone occupate dagli italiani in Francia e nelle isole di Rodi e di Kos; degli oltre ottomila deportati, solo 1.009 fecero ritorno.[5]

I campi della Repubblica Sociale Italiana[modifica | modifica wikitesto]

Campi di concentramento e transito gestiti dalle autorità tedesche[modifica | modifica wikitesto]

Campi di concentramento provinciali istituiti dalla Repubblica Sociale Italiana[modifica | modifica wikitesto]

La memoria[modifica | modifica wikitesto]

Della maggior parte dei campi di concentramento provinciali gestiti dalla Repubblica Sociale Italiana non restano che scarse tracce, nonostante in anni recenti si sia provveduto a collocare in alcuni di essi lapidi e monumenti che ne ricordino l'esistenza. I quattro campi gestiti direttamente dalla truppe tedesche invece sono a tutt'oggi più conosciuti come luoghi della memoria.[8]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Carlo Spartaco Capogreco, I campi del duce. L'internamento civile nell'Italia fascista, 1940-1943 (Einaudi: Torino, 2004).
  2. ^ Elisabeth Bettina, It Happened in Italy: Untold Stories of How the People of Italy Defied the Horrors of the Holocaust. Nashville: Thomas Nelson, 2009.
  3. ^ Susan Zuccotti, L'Olocausto in Italia, TEA, 1995 (ed. originale: The Italians and the Holocaust: Persecution, Rescue, and Survival. New York: Basic Books, 1987).
  4. ^ CDEC.
  5. ^ "L'Italia", Enciclopedia dell'Olocausto.
  6. ^ Alessandra Fontanesi, Il campo di concentramento di Reggio Emilia, in Ricerche Storiche, vol. 54, n. 130, ISTORECO Reggio Emilia, 2020, pp. 18-23.
  7. ^ I campi fascisti: Spotorno.
  8. ^ Andrea Ugolini e Francesco Delizia, Strappati all'oblio. Strategie per la conservazione di un luogo di memoria del secondo Novecento: l'ex Campo di Fossoli, Firenze: Altralinea, 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1972.
  • Susan Zuccotti, L’olocausto in Italia, Tea storica, 1995.
  • Liliana Picciotto, L'alba ci colse come un tradimento: gli ebrei nel campo di Fossoli 1943-1944, Milano: Mondadori, 2010.
  • Tristano Matta, Il Lager di San Sabba. Dall'occupazione nazista al processo di Trieste, Trieste: Beit casa editrice, 2013, ISBN 978-88-95324-30-2.
  • (EN) Alexis Herr, The Holocaust and Compensated Compliance in Italy: Fossoli di Carpi, 1942-1952. Houndmills, Basingstoke, Hampshire; New York, NY: Palgrave Macmillan, 2016.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]