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Battaglia di Benevento (275 a.C.)

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Battaglia di Benevento
parte delle Guerre pirriche
Mappa delle città principali coinvolte nella guerra
Data275 a.C.
LuogoBenevento
EsitoDecisiva vittoria romana
Schieramenti
Comandanti
Effettivi
17.000 uomini
1.200 cavalieri[1]
20.000 uomini
3.000 cavalieri
20 elefanti da guerra
Perdite
9.000 morti11.000 morti
1.300 prigionieri
2 elefanti da guerra morti
8 elefanti da guerra catturati
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La battaglia di Benevento ebbe luogo nel 275 a.C. presso la città allora chiamata Malevento, e fu l'episodio conclusivo delle guerre pirriche combattute da Pirro, re dell'Epiro, contro i Romani.

All'inizio del III secolo a.C., terminate vittoriosamente le guerre sannitiche, la politica espansionistica romana premeva sulle città della Magna Grecia ed in particolare Taranto, per la sua importante posizione strategica. Ben consapevoli che difficilmente avrebbero potuto contrastare a lungo la potenza di Roma, i Tarantini, a nome anche delle altre colonie della Magna Grecia, invocarono l'intervento di Pirro in loro favore. Quest'ultimo, già desideroso di vittorie, vide la possibilità di ampliare il proprio regno in Italia, nonché quella di conquistare la Sicilia per espandersi poi in Africa, ed accettò di buon grado. Il suo esercito passò nella penisola nel 280 a.C., e nello stesso anno inferse una prima sconfitta all'esercito romano, nella battaglia di Heraclea, in cui la carta vincente fu costituita dalla presenza degli elefanti da guerra indiani, sconosciuti ai Romani.

Acquisiti rinforzi da altre popolazioni greco-italiche che si unirono alla coalizione, Pirro ottenne un'altra vittoria nella battaglia di Ascoli di Puglia nell'anno seguente, ma le perdite furono talmente ingenti che dovette riparare in Sicilia per ricostituire gli effettivi.

Accantonata momentaneamente la campagna antiromana, si dedicò alla conquista dell'isola, da cui doveva però scacciare i Cartaginesi. Dopo una serie di eventi favorevoli fu costretto ad abbandonare anche la Sicilia e nel 275 a.C. tornò in Italia, dove si pose nuovamente alla testa di un'alleanza antiromana, che comprendeva anche i Sanniti. Ma l'esercito di Roma, che nel frattempo aveva riconquistato tutte le posizioni nell'Italia meridionale e minacciava nuovamente Taranto, lo aspettava proprio nel Sannio, a Maleventum. I Romani avevano infatti compreso che Pirro, anziché affrontarli direttamente, avrebbe tentato di costringerli a togliere l'assedio a Taranto marciando direttamente su Roma.

L'esercito romano era comandato dal console Manio Curio Dentato, che si era accampato su un'altura e contava su una forza di circa 17 000 uomini. Pirro disponeva invece di quasi 20 000 soldati, oltre ad alcuni elefanti da guerra. Nello schieramento del suo esercito erano presenti reparti di cavalleria macedone, greca e sannitica, mentre la fanteria era organizzata secondo il modello della falange macedone e comprendeva anche opliti greci, oltre a frombolieri, lanciatori di giavellotto e arcieri[2].

Pirro aveva diviso i suoi uomini in due armate: una era restata a fronteggiare un console in Lucania, con l'altra si era diretto nel Sannio, dove gli si erano aggregati pochi rinforzi. Poteva così disporre di forse 20 000 fanti, 3 000 cavalieri e una ventina di elefanti. Nel dettaglio: 3 000 fanti e 300 cavalieri tarantini; 3 000 fanti e 300 cavalieri apuli; 3 000 fanti e 300 cavalieri sanniti (esclusivamente irpini e caudini); i rimanenti erano veterani portati dall'Ellade nel 280 a.C.. Probabilmente fu in questa occasione che Pirro adottò lo schieramento alternato di speirai greche e coorti italiche citato da Polibio, per evitare lo sfondamento delle proprie linee avvenuto ad Ascoli di Puglia proprio là dove erano concentrati i suoi alleati italici.

I Romani avevano ormai imparato a conoscere gli elefanti da guerra, che nello scontro di Heraclea erano stati una delle principali cause della sconfitta, ed ebbero la meglio sulle truppe epirote e tarantine, grazie anche alla tattica attuata dagli arcieri, i quali, scagliando frecce infuocate, riuscirono a far imbizzarrire i pachidermi che crearono lo scompiglio tra le truppe di Pirro. Continui attacchi indebolirono e sfiancarono la cavalleria, mentre la fanteria riuscì a sopraffare la falange con fitti lanci ravvicinati di giavellotti, che aprivano dei varchi entro i quali i legionari, con il corto gladio, riuscivano a colpire il nemico armato di lance, assolutamente inutili nel corpo a corpo. Così aggredita, la falange venne definitivamente annientata dagli attacchi laterali della seconda e terza linea delle legioni.

La tradizione romana parla di 23 000 nemici uccisi e di 1 300 prigionieri, ma tace sulle proprie perdite. Furono abbattuti anche 2 elefanti da guerra, mentre altri 8 furono catturati. 4 furono portati vivi a Roma, dove suscitarono grande curiosità tra il popolo che non ne aveva mai visti[3].

La sconfitta strategica di Pirro

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Statua di Pirro (Museo Nazionale di Napoli)

Tatticamente la battaglia di Benevento può essere considerata uno stallo, ma strategicamente è stata una vittoria dei Romani: Pirro aveva infatti lasciato sul campo tutta la fanteria leggera, quasi tutta la cavalleria e oltre metà degli elefanti; in pratica la sua intera forza di manovra. Una spiegazione dell'esito negativo dello scontro per Pirro, che in precedenza aveva battuto le legioni romane nella battaglia di Heraclea e ad Ascoli di Puglia, può ricercarsi nel fatto che il re dell'Epiro a Beneventum non aveva più a piena disposizione, come all'inizio della campagna in Italia, le sue forze migliori, in particolare gli esperti falangiti, che avevano subito perdite pesanti non solo nelle campagne del 280 a.C. e 279 a.C. nella penisola, ma anche durante l'attraversamento dello stretto di Messina nel ritorno dalla campagna in Sicilia[4]. Pirro fu costretto a tornare in Epiro [5] , dove, dopo aver sconfitto Antigono II Gonata ed essersi di nuovo seduto sul trono di Macedonia, morirà poco dopo mentre tentava di conquistare il Peloponneso. Taranto rimase sotto assedio altri tre anni, capitolando nel 272 a.C.: Roma aveva completato la sottomissione della Magna Grecia e la conquista di tutta l'Italia meridionale.

Da Malevento a Benevento

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In seguito alla vittoria romana la città di Maleventum venne ribattezzata Beneventum (da cui l'odierna Benevento), nome più adeguato alla felice circostanza.

  1. ^ h2g2 - Pyrrhus the Eagle, King of Epirus: 319 - 272 BC - Edited Entry
  2. ^ Sostiene G. Brizzi, in Il Guerriero, l'oplita, il legionario, p. 48: "Non è un caso che Pirro abbia mescolato arcieri e lanciatori di giavellotto reclutati tra le popolazioni italiche sia agli elefanti, sia alla falange. Tra le funzioni svolte dalle truppe leggere figurava da tempo oltre alla ricognizione e all'inseguimento, anche la protezione delle truppe di linea contro le punzecchiature degli ausiliari nemici; compito che era tanto più essenziale in Italia, poiché mai, in passato, le armate ellenistiche avevano dovuto misurarsi con fanterie pesanti che fossero dotate nello stesso tempo di armi da getto; e, soprattutto, mai avevano dovuto affrontare strumenti che avessero un'efficacia paragonabile a quella del pilum romano. Mescolando ai suoi pezeteri truppe italiche, certo difficili da raccordare a una formazione serrata, Pirro mirava probabilmente non tanto a rendere più flessibile il proprio schieramento...; quanto a creare, grazie ai dardi di cui queste erano provviste, un'area di rispetto che proteggesse la sua preziosa falange dai missilia dei legionari".
  3. ^ Scrive G. Brizzi, in Il Guerriero, l'oplita, il legionario, pp. 48-49: "Malgrado il trionfalismo delle fonti romane, neppure quella di Benevento fu un'autentica vittoria. Secondo quanto è dato capire, in realtà, Pirro tentò di distruggere l'esercito di Manio Curio Dentato prima che si congiungesse con quello dell'altro console, ma senza riuscirvi; e, al termine di una giornata incerta, quando seppe che Lucio Cornelio Lentulo era vicino, decise di ritirarsi. Le forze che gli restavano, infatti, non erano più in grado di affrontare le due armate consolari riunite".
  4. ^ Le truppe di élite impegnate a Benevento sembrano essere state composte ormai in prevalenza da Italici, provvisti di un armamento inadeguato al combattimento in ordine chiuso; quella che fu costretta a cedere il campo non era più integralmente una falange di tipo macedone (cfr. G. Brizzi, Il Guerriero, l'oplita, il legionario, p. 49).
  5. ^ Scrive G. Brizzi, in Il Guerriero, l'oplita, il legionario, p. 49: "La situazione del suo esercito, gravemente logoro e, ad un tempo, la fronda sempre più pronunciata degli alleati greci e la sostanziale stanchezza degli Italici furono i fattori che indussero infine il sovrano epirota ad abbandonare la partita, ritirandosi dalla penisola".
  • Giovanni Brizzi, Il Guerriero, l'oplita, il legionario, Società Editrice il Mulino, Bologna, 2002.

Voci correlate

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Collegamenti esterni

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