Barlaam e Iosafat

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La Leggenda di Barlaam di Benedetto Antelami (Parma, Battistero)

Barlaam e Iosafat (o Josaphat), anticamente venerati come santi cristiani, sono i protagonisti di un romanzo agiografico, popolarissimo in età medievale, ispirato alla vicenda della conversione del Buddha. La leggenda del Buddha venne conosciuta dai cristiani nell'Iran orientale e nell'Asia centrale dove i cristiani vivevano a contatto con i buddisti, con i mazdeisti e i manichei, grazie anche alla diffusione di qualche testo scritto come il Lalitavistara.

La prima redazione del testo, risalente presumibilmente al VI secolo, fu scritta nell'iranica lingua pahlavi, quindi venne tradotto in siriaco e in arabo e da queste derivarono molte altre traduzioni, a partire dal greco. La successiva traduzione in latino, aprì le porte alla diffusione in tutta l'Europa del testo, convertito a sua volta anche in lingue volgari.[1] Il più antico manoscritto che ce la tramanda è del 1021 ed è conservato a Kiev; il suo parente più stretto è al Monte Athos; l'altro del 1064 è ad Oxford.[2]

Il racconto, giunto in Occidente nell'XI secolo ed attribuito a Giovanni Damasceno, conobbe una rapida diffusione e venne ritenuto storico, tanto che i nomi di Barlaam e di Iosafat vennero inseriti nel Martirologio Romano al 27 novembre.[3]

Contenuto[modifica | modifica wikitesto]

Parte I[modifica | modifica wikitesto]

Si narra di un re della Terra degli Indiani, di nome Abenner, pagano e idolatra, che impone ai Cristiani del suo regno di abiurare alla loro religione. Egli odia in particolare i monaci che inizia a perseguitare e mettere a morte. Tra di essi si trova anche un ex dignitario del re, di grande nobiltà d’animo che abbandona il lusso e la vita agiata e si unisce per l’appunto ai monaci e agli asceti. Il sovrano lo fa richiamare a corte per parlargli e per capire cosa gli è successo, e quale sia il suo nuovo credo. (Capitolo secondo). Al re nasce un bambino, bello e leggiadro che egli chiama Iosafat. Egli convoca a corte dei dottori “esperti nella sapienza stellare caldea”, per capire quale sarebbe stato il futuro del neonato. Essi, per compiacere il re, predicono magnificenza, ricchezza e potere, ma uno di essi gli predice che il neonato abbraccerà il culto cristiano. Allora il re fa costruire in una città isolata uno splendido palazzo, nel quale il figlio vivrà. Il suo obiettivo era che “nulla trapelasse al bimbo delle miserie della vita, né della morte né della vecchiaia né di malattia e povertà né altro fatto doloroso che potesse incrinare la sua felicità”. Nel frattempo continua la persecuzione ad opera del re contro i monaci cristiani. Ma nella corte c’era un funzionario che in segreto era cristiano. Egli un giorno incontra per caso un uomo con un piede terribilmente maciullato da una bestia feroce. Lo aiuta. E costui gli dice: “Io sono il Guaritore dei discorsi. Se avviene che si è riscontrata ferita o infermità in parole o conversazioni, con appropriati farmaci io saprò guarirla, sicché il male non abbia a diffondersi ulteriormente”.

I funzionari di corte sono invidiosi della stima che il re ha nei confronti di questo suo funzionario segretamente cristiano. E gli preparano un tranello. Invitano il re a rivelargli che lui , il re , vuole diventare cristiano, per vedere le sue reazioni. Il funzionario rivela la sua gioia per la scelta del re, in questa maniera rivela la propria adesione al cristianesimo. Ma il Guaritore dei discorsi lo aiuta a rabberciare la situazione. Nel frattempo il figlio del re che vive nel suo splendido isolamento comincia a desiderare di vedere ciò che esiste fuori dalle mura e dalle porte del suo palazzo, e parla al proprio re e padre in tal senso. Il re gli consente di uscire, e cerca di far di tutto perché il figlio non faccia brutti incontri, ma questo accade lo stesso: il giovane incontra un lebbroso, un cieco, e poi un vecchio. Viene dunque a contatto con la malattia e la morte. La cosa lo sconvolge. C’era un monaco, chiamato Baarlam, vecchio ed erudito nei divini misteri, che, saputa la storia del figlio del re per divina rivelazione, finge di essere un mercante, si presenta al pedagogo del giovane, e con un trucco, affermando di avere una pietra preziosa che solo la vista di un giovane può sostenere, si fa introdurre dal figlio del re. La pietra preziosa è la rivelazione cristiana che egli spiega al giovane stesso; questi ne viene subito ammaliato, poi gli chiede spiegazioni, e così il vecchio monaco ha modo di raccontare sia molte vicende bibliche, sia la vicenda di Cristo, la promessa di vittoria sulla morte, e quella della resurrezione.

Dopo le delucidazioni di Barlaam, sempre sollecitate dal desiderio di sapere del giovane, quest’ultimo si fa battezzare. C’è però un istitutore del giovane che si insospettisce per le frequenti visite di Barlaam. Quest’ultimo, venuto il momento di congedarsi dal giovane, che non vorrebbe farlo partire, se ne va, e il principe prosegue nella sua vita, a questo punto segreta, di cristiano, pregando di notte e dolendosi della assenza del suo maestro. Ma l’istitutore del ragazzo finisce per rivelare al re ciò che egli ha scoperto, e che, mosso dai rimorsi per ciò che sarebbe potuto accadere al giovane, per un certo tempo ha nascosto. Il sovrano decide così di far arrestare Barlaam, che però se n' è già andato.

Parte II[modifica | modifica wikitesto]

Accade allora che dei soldati del re catturano un gruppo di eremiti. E poiché essi non mostrano di aver paura né di lui né delle torture da lui minacciate, né della morte, alla fine, dopo aver loro tagliato le lingue, cavato gli occhi, amputato mani e piedi, il sovrano li fa giustiziare. Successivamente, il re si rivolge a un suo consigliere per trovare una soluzione. Il consigliere progetta di convocare a corte un asceta che apparteneva però alla religione politeistica del sovrano; a questo asceta si farà fare la parte di Barlaam; egli verrà messo a confronto con innumerevoli dotti, maghi, astrologhi non cristiani, e fingerà di abiurare il cristianesimo. Nel frattempo il sovrano decide di parlare al figlio e quest’ultimo conferma la propria piena adesione alla nuova religione. Il sovrano è preso dall’ira, dalla collera, dalla rabbia anche perché il figlio mostra un pieno disprezzo per quella vita così vana e fatua, volta all’inseguimento dei piaceri, che il proprio padre e sovrano conduce. D’altra parte il re stesso è costretto dalle parole del figlio a comprendere quanto sia effettiva la conversione del proprio unico erede. Arriva il giorno del confronto tra il finto Barlaam e gli esponenti della religione politeistiche. Ma la divina provvidenza ispira una visione al figlio del re svelando l’inganno architettato; d’altra parte, nel corso del confronto, l’asceta finto Barlaam, ispirato dalla provvidenza, fa un discorso di difesa della religione cristiana così convincente che tutti gli esponenti del paganesimo ammutoliscono e non sono in grado di replicare. Il re rimane interdetto: il suo inganno non ha funzionato. Il figlio può così trascorrere il proprio tempo, nel palazzo, in preghiere e digiuni invocando Dio affinché gli consenta di unirsi a Barlaam. Il re non demorde.

Nella città si doveva tenere una grande festa, con molti sacrifici, in onore degli dei. Ad essa partecipa anche un convinto assertore del paganesimo, difensore dell’idolatria, dedito a pratiche magiche: Theudas. Richiesto di un consiglio dal re, gli propone di far vivere accanto al giovane cristiano un gruppo di giovani e bellissime donne che accendano in lui il fuoco del desiderio e lo riportino alla “ragione”. Così accade. Il mago idolatra convoca gli spiriti maligni perché fiacchino il giovane, ma tutto è inutile. Theudas escogita un altro inganno: una di queste giovani donne dichiara il suo amore per Iosafat, fa mostra di conoscenza delle dottrine cristiane, gli chiede di unirsi a lui solo per una notte; solo così la fanciulla si sarebbe convertita al cristianesimo. E il giovane sta quasi per cedere, ma nella notte viene trasportato in luoghi meravigliosi, dove vivono pieni di letizia coloro che sono stati fedeli a Cristo; successivamente viene portato in luoghi desolati, tenebrosi, dove si consumano nel fuoco e pagano le proprie colpe i peccatori. Questa esperienza fortifica Iosafat, che respinge ogni tentazione. Il sovrano è preso da grande scoramento, comincia a tentennare; allora Theudas chiede un confronto diretto con il giovane, dal quale uscirà sconfitto in quanto adoratore degli idoli, e convertito al cristianesimo. Ora il re è completamente disorientato; un suo consigliere gli propone di fare di necessità virtù: suddividerà il regno, assegnerà una parte al figlio che di essa verrà nominato sovrano. Così accade. Iosafat, nonostante il desiderio di condurre vita monastica nel deserto, obbedisce al padre. Distrugge, nella capitale della sua parte di regno, tutti i templi e gli altari degli idoli, erigendo al posto loro delle chiese. Distribuisce inoltre le ricchezze regali ai poveri, tanto che la sua fama si sparge ovunque. Il re Abenner, suo padre, si convince della bontà della fede del figlio, va a colloquio con lui, ed infine viene da lui convertito, così che il giovane Iosafat si trova ad essere spiritualmente il “genitore di suo padre”. Il re gli lascia ogni potere, vive il resto della sua vita pentendosi dei propri peccati, dell’uccisione dei cristiani, e muore in stato di grazia.

Il giovane re decide però di portare a compimento il voto fatto a Dio di aderire alla vita monastica. Informa dunque la corte e il popolo che egli si ritirerà dal governo. Tutto questo getta la gente nella più grande confusione e sconcerto. Egli individua comunque come proprio successore il migliore dei suoi consiglieri, e una notte se ne va dal palazzo. Ben presto viene riconosciuto: tutta la gente lo segue, ma lui ingiunge al popolo di tornare indietro affinché egli possa portare a compimento il proprio voto. Così finalmente Iosafat può inoltrarsi nel deserto per trovare Barlaam. Egli vive, come gli anacoreti, una vita di stenti: si nutre di erbe, soffre la mancanza di acqua, è esposto alle intemperie. Il diavolo lo tenta con i ricordi della vita passata, cercando inoltre di suscitare visioni di belve, mostri e draghi che lo minacciano, ma il giovane non cede. Dopo due anni di vita eremitica, incontra un monaco che gli indica quale sia il rifugio di Barlaam. Così egli può finalmente ricongiungersi con il suo maestro. Essi proseguono assieme, nel cammino spirituale, nel quale il giovane sembra oramai essere così impegnato da suscitare la meraviglia di Barlaam stesso. Il vecchio eremita giunge al compimento dei suoi giorni, e parla a Iosafat annunciandogli la propria fine, e sollecitandolo a proseguire e a portare a compimento il cammino spirituale. Barlaam muore, e viene seppellito da Iosafat in una tomba vicino alla spelonca dove essi vivevano. La storia volge al termine: dopo molti anni anche Iosafat muore. Un eremita che dimorava non lontano lo seppellisce assieme a Barlaam. Inoltre informa il re della morte del sant’uomo. Il popolo tutto, udita la notizia, si reca in pellegrinaggio alla tomba dei due anacoreti, e si decide di traslarli in una delle chiese che Iosafat aveva fatto costruire. I loro corpi sono intatti. Durante questo trasferimento e dopo, accadono molti miracoli e molte guarigioni, e così i due santi continuano a proteggere dal loro nuovo sepolcro il popolo dei fedeli.

La storia venne in realtà ricalcata sul modello della vicenda della conversione del Buddha (il nome sanscrito Bodhisattva si trasformò in Budasaf e poi in Iosafat; dal nome dell'eremita Balahuar, sdoppiamento del Buddha stesso, si arrivò al nome di Barlaam): venne tradotta in greco e poi in latino, quindi in numerose lingue volgari. Divenne tanto popolare da essere inclusa da Jacopo da Varagine nella sua Legenda Aurea e da ispirare alcune opere di Bernardo Pulci e di Lope de Vega, oltre a numerose opere scultoree, come quella nel Battistero di Parma di Benedetto Antelami, miniature e vetrate, nonché alcune immagini sul mosaico di Otranto (precisamente i due elefanti indiani alla base dell'albero della vita).[4]

Culto[modifica | modifica wikitesto]

La memoria dei santi Barlaam e Iosafat nel Martirologio Romano ricorre il 27 novembre[5]. Il loro culto è ancora vivo presso la Chiesa greco-ortodossa che celebra la loro memoria il 26 agosto.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ "Le muse", De Agostini, Novara, 1964, Vol.II, pag.55-56
  2. ^ Alberto Melloni, Il Corriere della Sera, 7 febbraio 2013, elzeviro di pag.41
  3. ^ Silvia Ronchey: La Cattedrale sommersa. Alla ricerca del sacro perduto, Collana Saggi italiani, Rizzoli, Milano, 2017, pag. 244; isbn=978-88-17-09465-8
  4. ^ Silvia Ronchey, Il Buddha bizantino, in Storia di Barlaam e Iosafat. La vita bizantina del Buddha, a cura di S. Ronchey e P. Cesaretti, Einaudi, Torino 2012, pp. vii-cvii.
  5. ^ Martyrologium Romanum 27 Novembris Apud Indos, Persis finitimos, sanctorum Barlaam et Josaphat, quorum actus mirandos sanctus Joannes Damascenus conscripsit.

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