Utente:Maurizio Montone/Sandbox

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca

Real Albergo dei Poveri[modifica | modifica wikitesto]



Il Real Albergo dei Poveri di Napoli (nell'uso popolare Reclusorio, Serraglio, Palazzo Fuga) è il più esteso al mondo tra gli ospizi per poveri costruiti dall'epoca moderna ed anche la sede centrale dell'omonimo Ente di pubblica assistenza e beneficenza operante nel Mezzogiorno d'Italia dal 1751 al 1980.
Sul fronte d'ingresso è la dedicatio dell'opera dettata da Alessio Simmaco Mazzocchi (1684-1771) noto umanista ed epigrafista: REGIVM TOTIVS REGNI PAVPERVM HOSPICIVM (Real Ospizio per tutti i poveri del regno).
L'Istituzione e la relativa sede furono volute dal re Carlo di Borbone e dalla sua consorte Maria Amalia di Sassonia intorno al 1748-49. Scopo dell'Istituzione era raccogliere i tutti poveri dalle strade del regno delle Due Sicilie e distinguere il vero dal finto povero: ai veri poveri (per cause naturali, malattie fisiche e mentali, vecchiaia, vedove, donne sole, gli abbandonati e bambini incapaci di provvedere a se stessi ecc.) toccava l'assistenza e la carità secondo lo spirito cristiano, mentre ai finti poveri (per inettitudine o pigrizia) spettava il lavoro e la rieducazione nel Real Albergo dei Poveri sotto stretto controllo dell'Opera Pia.
Ferdinando Fuga, architetto fiorentino operante a Roma, fu incaricato di progettare l'edificio e dopo varie prove se ne iniziò la costruzione ai piedi della collina di Capodimonte a partire dal 1751. Per ospitare circa ottomila individui (tra uomini, donne, ragazzi e ragazze) egli realizzò un edificio colossale a pianta rettangolare comprendente una chiesa comune (al centro), e per ogni reparto servizi indipendenti in rispetto delle regole della Casa che volevano nulle le possibilità di incontro tra gli internati. Dei cinque cortili in linea previsti se ne realizzarono in parte solo tre. Infine col passare degli anni e con i cambiamenti della società fu ritenuto inutile proseguirne i lavori (1795). Gli spazi nel Real Albergo dei Poveri, insufficienti per rispettare il programma di riabilitazione, furono destinati ad altre funzioni. È da notare però che dal secolo XIX l'Opera Pia disponeva in città e nel regno di altre strutture (tra cui i Granili progettati dallo stesso Fuga), fondi agricoli nelle province dove educare al lavoro e alloggiare i poveri. In ogni modo l'Opera Pia fu sciolta nel novembre del 1980: subito dopo, a dicembre, il suo edificio crollò in alcune parti e dichiarato inagibile.

Fondazione e fini statutari[modifica | modifica wikitesto]


Nel secolo XVIII raggiunse l'apice il Pauperismo, una piaga sociale che afflisse non solo Napoli ma tutti gli stati europei, caratterizzato da enormi strati di popolazione in costante migrazione per la ricerca di mezzi di sussistenza. Questi arrivi imprevisti in massa non consentivano il regolare svolgimento della vita civile ed economica nel regno. Soprattutto nelle campagne gli spopolamenti si tradussero negativamente sulla produzione agricola che era il pilastro dell'economia meridionale. Intorno al 1748-49 si era già compreso che la natura del problema andava rintracciata nell'assetto socio-economico del regno (vedi gli scritti economici dell'illuminista napoletano Antonio Genovesi) e per una soluzione efficace occorreva che fosse lo Stato ad assumersi il controllo dell'economia e, quindi, anche dei capitali orbitanti nel mondo della beneficenza (il cosiddetto Patrimonio dei Poveri amministrato dalla Chiesa): negli stati cattolici la carità era un dovere religioso al quale nessuno poteva sottrarsi, nemmeno il re, ma bisognava trovare una finalità all'assistenza del 'povero'. Furono perciò emanati alcuni provvedimenti con i quali lo stato borbonico disciplinò il settore della carità e ne assunse il controllo con leggi giuste e severe per l'epoca che selezionavano i 'veri' dai 'finti' poveri: ai veri poveri (coloro effettivamente impossibilitati al lavoro) spettava la beneficenza ma ai finti il lavoro coatto come ordinato dalle leggi (Montone 2010).
Per la realizzazione di questo programma lo stato borbonico non poteva servirsi delle istituzioni di beneficenza già esistenti (la beneficenza sino ad allora amministrata da privati e da religiosi, spesso a proprio tornaconto). Questi enti gestivano un enorme flusso di denaro che sfuggiva al controllo dello stato per via delle esenzioni dai tributi e con ciò si spiega il proliferare degli istituti di carità in città e nel regno (Moricola 1994). Corporazioni di arti e mestieri, case religiose, privati e chiunque disponesse dei mezzi per avviare una 'industria' caritatevole si produsse a raccogliere donazioni che difficilmente giungevano al vero povero ma alimentavano solo l'arrivo in città di sterminate masse di derelitti, vagabondi, mendicanti e finti invalidi. In queste opere di carità nulla si apprendeva, se non l'accattonaggio.
La fondazione regia dell'Opera Pia, denominata Real Albergo de' Poveri, entrò ufficialmente in funzione con il Real Decreto del 25 febbraio 1751 ed operò senza sosta sino alla chiusura in seguito alla Legge Regionale n. 65 del 11 Novembre 1980 con la quale la Regione Campania trasferì beni e funzioni dell'Ente (incluso dal 1943 nei Collegi Riuniti "Principe di Napoli") al comune di Napoli che ne conserva anche l'apparato archivistico presso l'Archivio storico municipale in salita Pontenuovo, 31.
Quest'ente, nei secoli XVIII-XIX assorbì gradualmente la miriade di piccole associazioni di beneficenza del regno ed eresse uno dei più significativi monumenti della storia meridionale ed europea di Napoli: impiegato nei primi cinquant'anni di vita secondo i fini statutari poi, con la trasformazione della società nei secoli XIX-XX, fu progressivamente adeguato per esigenze pratiche e funzionali a nuovi usi che ne hanno modificato l'organizzazione degli spazi interni e la stabilità strutturale anche in aperto disaccordo con i principi della fondazione (che vincolavano l'immobile all'uso perpetuo della pubblica assistenza). Frazionato e concesso in affitto a privati, fu considerato come un 'contenitore' urbano da impegnare secondo le esigenze del momento.

Lo Statuto[modifica | modifica wikitesto]


Lo Statuto rappresentava l'insieme di regole generali che disciplinavano con rigore ogni aspetto della vita dell'Opera Pia e per evitare incomprensioni fu dato alla stampa e diffuso ad ogni personalità coinvolta nel programma di fondazione (amministratori, educatori, architetti, costruttori, sorveglianti, ecc.): perciò la pena riservata a chi contravveniva alle regole della Casa era punibile col carcere (Istruzioni, 1753-55). Ciò sottolinea alcuni aspetti ritenuti indispensabili dal padre fondatore quali il rispetto delle Leggi perché «Il fondamento di ogni ben regolata società sono le leggi, con la quale essa si governa» (Real Decreto..., 25 febbraio 1751).
In particolare, come stabilito nel Regolamento del Real Albergo dei Poveri, chiunque vivesse per strada in condizioni di apparente indigenza era sottoposto a controllo: la polizia verificava le effettive situazioni personali e procedeva alla schedatura e allo smistamento nella nuova Opera Pia di regia fondazione (o ne ordinava l'esilio se stranieri). Tra questi erano inclusi i vagabondi e gli oziosi, figure ritenute sovversive, artefici di crimini ed attività losche, che pur essendo in salute disprezzavano il lavoro. Non erano inclusi nell'editto di reclusione i poveri vergognosi e quelli che avevano il già permesso di mendicare in zone della città loro assegnate.
Quelli però scortati dalla polizia al Real Albergo dei Poveri erano esaminati da una commissione (un governatore, un medico ed altre figure) che aveva il compito di accogliere nella struttura solo coloro che conservavano un buon grado di abilità fisica e mentale che consentiva loro di imparare ed esercitare un mestiere. I bambini inferiori agli otto anni d'età, gli anziani, i malati mentali, i portatori di malattie fisiche e malformazioni, criminali e prostitute erano invece consegnati ad altre strutture d'asilo esistenti in città. Quando accettati nel Real Albergo dei Poveri, iniziava un vero e proprio percorso di istruzione e riabilitazione fondato sull'insegnamento dei precetti religiosi e la pratica quotidiana del lavoro (d'officina, manifatturiero, agricolo ecc.). Raggiunta la maggiore età i giovani che avevano terminato il loro percorso di apprendimento potevano aspirare all'inserimento nella società: l'istituzione forniva loro un lavoro esterno (in botteghe, carriere interne all'esercito o alla chiesa, o a servizio in case private) e una somma di denaro per iniziare una vita onesta e civile. Alle donne era inoltre versata una dote per il matrimonio offerta dalle Sorelle del Real Albergo dei Poveri, una cordata di nobili dame de regno con a capo la regina Maria Amalia di Sassonia (che aveva donato persino tutti i suoi gioielli e le sue rendite per l'iniziativa). Se invece non ritenuti meritevoli alla vita pubblica poiché poco inclini al lavoro ed insofferenti alle leggi, erano trattenuti qualche anno in più ma poi trattati come delinquenti ed inviati ai remi, costretti ai lavori forzati per la corona o tradotti in altri siti di proprietà dell'istituzione. Lo stesso destino toccava agli adulti: questi ultimi avevano pochi anni di tempo per redimersi poi scattava la pena. La possibilità di redenzione, infine, era offerta una sola volta e chi fosse stato ritrovato per strada difficilmente rientrava nell'Albergo.
Tale era, in sintesi, il vasto programma a monte della costruzione del Real Albergo dei Poveri come centro di formazione/selezione di sudditi virtuosi altamente specializzati nei lavori manuali. Poiché in tutto il regno il numero stimato di individui da 'educare' superava le decine di migliaia si pensò una struttura capace di accogliere circa ottomila ospiti divisi in quattro categorie: uomini, ragazzi, donne e ragazze (Montone 2010).

Il Progetto e la realizzazione[modifica | modifica wikitesto]


Tra il 1748-49 Ferdinando Fuga venne incaricato di progettare un generale Albergo dei Poveri con annesse officine, scuole, refettori e una chiesa a corpi indipendenti tra loro per evitare interferenze tra le classi di ospiti. In un primo momento ne fu decisa la costruzione nel borgo di Loreto (nelle adiacenze dell’omonima chiesa ed ospedale di s. Maria di Loreto) secondo un progetto ispirato ai modelli in uso a Genova e Torino ma, per motivi ancora sconosciuti, si abbandonò presto quest’idea nonostante fossero già stati acquistati i terreni (Pane 1956). Questo progetto era caratterizzato da un impianto quadrilatero con quattro cortili interni divisi tra loro da due corpi di fabbrica incrociati ortogonalmente tra loro: il braccio perpendicolare che si innestava a T con la facciata principale era destinato alla chiesa, divisa verticalmente da ballatoi sui quali trovavano posto le varie classi di reclusi. In ogni caso questa matrice progettuale, sebbene articolata in varie redazioni, fu profondamente trasformata con la scelta del sito ai piedi della collina di Capodimonte e più precisamente nel borgo di s. Antonio abate.
Il nuovo progetto di Fuga per l’Albergo dei Poveri in piazza Carlo III, più volte modificato tra il 1751-53, presenta delle analogie con il precedente ma si distingue per l’innovazione planimetrica di un organismo architettonico lineare composto da cinque corti (Pane 1966).

Uso degli spazi[modifica | modifica wikitesto]


Nel corpo centrale erano concentrate le attività dirigenziali dell’Amministrazione, di culto, di prima ricezione dei poveri con annessi locali per il bagno totale, di archivio e guardaroba, e infine le cucine (nel lato settentrionale). A corredo di questo importante nucleo vi era una serie di costruzioni - mai realizzate - indispensabili alla vita della fabbrica: due grandi forni per la panificazione, magazzini, il corpo di guardia, cisterne, stalle e infine gli orti dove si sarebbero dovuti apprendere criteri moderni per la coltivazione. Nei quattro corpi rimanenti erano ospitati i reclusi: rispettivamente gli uomini e i ragazzi a destra del corpo centrale, e le donne e le ragazze a sinistra come dettato dalle epigrafi poste nel vestibolo d’ingresso (tale ordine fu però invertito in un primo momento perché le donne arrivarono prima del completamento dell'ala loro destinata). Ai piani superiori si accedeva solo per la notte mentre tutta la vita giornaliera degli ospiti era impegnata nei primi due livelli, sedi delle attività produttive ed educative e nella chiesa (le funzioni religiose si svolgevano più volte al giorno).
Il progetto rimase pressoché invariato nella sua distribuzione generale perché, contemporaneamente, si era provveduto all’erezione di alcune parti considerevoli: i lavori iniziarono spediti a partire dal 1751 sebbene Fuga ancora proponesse varianti. Tra queste fu significativa la soprelevazione dell’intera fabbrica intorno al 1753 che produsse il ridisegno del pronao e l'inserimento dello scalone monumentale a doppia rampa in facciata; inoltre un piano seminterrato parzialmente impegnato da alcune funzioni tra cui, forse la più criticata, fu l’aver impiantato le prigioni al di sotto della chiesa nei locali disposti a raggiera: scelta però obbligata in quanto consentiva anche agli individui in punizione di ascoltare le funzioni religiose e partecipare almeno alla vita liturgica.
La chiesa rappresentava il caposaldo figurativo dell’intera struttura e ad essa si riservò, almeno da parte dell’architetto, il maggior impegno negli anni iniziali poiché costituiva la chiusura formale del progetto con la sua cupola di quasi 30 metri di diametro. Uno degli ultimi disegni noti elaborato alla fine degli anni Cinquanta del ‘700 riguarda infatti una sistemazione per questo corpo già in elevazione e corrispondente in parte ai resti architettonici della struttura. Più volte la critica ha sottolineato l’importanza della sperimentazione di Fuga della pianta radiale nell’Albergo dei Poveri che egli risolve introducendo con grande maturità soluzioni, che ricordano il repertorio pozziano, influenzate dal locale revival barocco (Cantone 1998, p. 688). Cinque navate, di cui quattro disposte diagonalmente per evitare il contatto visivo tra le classi di reclusi, con al centro l’altare; una quinta navata ortogonale all’ingresso era destinata ai fedeli esterni che potevano così, con il loro esempio, partecipare al processo di riabilitazione dell’individuo; opposta ad essa infine doveva sorgere l'abside e dietro ancora la sagrestia e altri ambienti in uso dai religiosi. Spazio particolare occupavano i confessionali adiacenti la chiesa del cui valore architettonico è stato ampiamente trattato in altri studi (Guerra 1995).

La realizzazione[modifica | modifica wikitesto]


Il progetto definitivo prevedeva un complesso edilizio che doveva estendersi su una vasta area con un prospetto di circa 600 metri di lunghezza e una larghezza di 135 metri (ad esclusione degli orti e locali annessi). Tuttavia ne fu deciso un ridimensionamento a costruzione inoltrata: prima si rinunciò ai due corpi estremi destinati ai ragazzi e ragazze, poi alla chiesa centrale (intorno agli anni '60 del '700). Intanto Carlo di Borbone era asceso al trono di Spagna (1759) ed il fervore per l'iniziativa si affievolì anche a causa della carestia del 1764 che pose altri problemi al regno. Morto il Fuga (1782) si pensava ancora a terminare le opere intraprese ma iniziarono a sorgere problemi di fatiscenza e di umidità che fecero disperdere i fondi nei lavori di manutenzione. Nel 1795 si decise definitivamente la chiusura del cantiere ed ordinato gli ultimi lavori di recupero nelle parti riguardanti gli alloggi dei ministri dell'albergo. In quest'occasione gli appaltatori dei lavori riedificarono gli ultimi tre piani negli alloggi dei ministri e completarono la facciata con l'inserimento del frontone triangolare con orologio (forse su progetto di Carlo Vanvitelli come risulterebbe da una nota d'archivio sul pagamento per alcuni disegni elaborati per la facciata dall'architetto) ed altri lavori di completamento sino alle coperture (realizzate insieme al piano attico in legno per economia). Per ritardi di pagamento e controversie tra l'amministrazione dell'Opera Pia e gli appaltatori, i lavori furono liquidati solo nel 1819 dallo stesso Vanvitelli all'epoca ancora architetto soprintendente ai lavori nel Real Albergo dei Poveri.
Nel corso dell'Ottocento vi furono tentativi di ripresa dell'opera, regolarmente falliti: tra questi il progetto dell'architetto Francesco Maresca del 1805 che su richiesta dell'istituzione ridimensionò gli spazi destinati agli ospiti relegandone una parte nei locali seminterrati che Fuga aveva chiuso dal 1753 perché insalubri per motivi di umidità. Ciò anche in risposta delle pressioni della polizia che si serviva dell'Albergo come carcere. La presenza di galeotti interruppe il percorso educativo dell'Opera ed iniziò ad affermarsi (anche per mancanza di officine) un clima di parassitismo contrario alle regole del Luogo. Per fronteggiare le spese dei lavori si pensò affittare a privati i migliori locali della struttura e questo progetto fu appoggiato dal re Ferdinando IV che concesse riduzioni fiscali alle imprese che spostavano nell'Albergo le loro attività. Ciò si risolse in una clamorosa truffa poiché molti affittuari impegnarono solo su carta gli ambienti loro destinati. In più il ritardo con cui l'amministrazione consegnò gli spazi ai vari affittuari fu oggetto di risarcimento. Alla fine le pretese affaristiche sull'uso dell'albergo risultarono una perdita nel già precario bilancio dell'Ente.
Nota a parte merita l'amministrazione di Antonio Sancio che tra il 1816 al 1831 riuscì a tenere fede ai fini dell'Opera e attuò il rilancio delle scuole-officine impegnando al loro interno i giovani reclusi ottenendo persino degli utili che ridistribuì agli operai (Filioli 1835).
A metà secolo XIX un violento terremoto danneggiò gran parte del corpo prospiciente la piazza (in corrispondenza degli oratori) e gli interni vennero puntellati sotto la direzione dell'ingegnere Luigi Giura comandante del Genio Civile del regno. Circa un decennio dopo, a lavori ultimati, crollò spontaneamente l'ala su via B. Tanucci: in questo caso si appurò in una perizia del Tribunale di Napoli che le cause erano relazionate alla cattiva esecuzione delle opere ed alle infiltrazioni provenienti dalle coperture piane non impermeabilizzate. Il perenne cantiere nel Real Albergo, tra alti e bassi, continuò le opere di recupero e sostituzione delle parti antiche sino ai primi del Novecento. Nel 1903 su invito di Giolitti, presidente del consiglio del regno d'Italia, una commissione d'inchiesta nazionale illustrò lo stato dei luoghi: dietro la facciata apparentemente ordinata del Real Albergo dei Poveri si nascondeva l'estremo degrado, la promiscuità e l'abbandono in cui vivevano i reclusi che era pari solo alle truffe organizzate dall'istituzione. Esaminati tutti i bilanci, gli appalti e le irregolarità, la gestione fu denunciata a stampa. Persino il numero di reclusi era falsificato (prassi sempre seguita come rilevò la commissione) per ottenere più fondi.
La situazione era conosciuta già prima dalla filantropa e scrittrice Teresa Filangieri Fieschi Ravaschieri che, poco dopo la stampa del suo voluminoso lavoro sulle opere di carità napoletane (1875-79), fondò a proprie spese l’Istituto materno poi adattato ad infermeria nel braccio dove doveva sorgere l’abside della chiesa: ciò per alleviare la vita dei bambini separandoli dagli ambienti malsani ai quali erano destinati ed anche perché all'interno del Real Albergo dei Poveri non esistevano locali adatti agli infanti in quanto non ne era stata mai prevista l'accoglienza.
Nel 1905 si pensò quindi ad un nuovo grande progetto di 'modernizzazione' tecnico-igienica dell'intera struttura guidato da personalità cittadine tra le più in vista (ingegneri, medici, amministratori, un senatore). Il Real Albergo dei Poveri, nelle intenzioni della Provincia di Napoli (che all'epoca era tra gli organi di controllo dell'Opera Pia), doveva anche essere adeguato ad ospedale per infermi ed ospizio per vecchi oltre che conservare i fini statutari. Organizzata la commissione, elaborato il progetto, raccolti parte dei fondi, iniziati i lavori fu tutto bloccato dopo poco. Non se ne seppe più nulla, tranne che in alcuni capitolati e misure di lavori si era proceduto alla sostituzione di qualche solaio, operato tagli nelle murature per 'arieggiare' i vani poco illuminati e umidi in quasi tutto il seminterrato; adeguato i servizi igienici, imbiancato le camerate (Montone 2010).
Il crollo spontaneo dell’angolo nord-est del fabbricato nel 31 ottobre 1924 e il terremoto del 23 luglio 1930 impegnarono il successivo decennio di lavori: a carico dell’Alto commissariato, da aprile 1927 ad agosto 1928, si ricostruirono i locali danneggiati e l’inchiesta sulle responsabilità del crollo attribuì le cause ai profondi tagli nelle murature per il passaggio delle condotte ed ai primi lavori di puntellatura. Recuperati i locali il regime fascista, con grande propaganda, si interessò al Real Albergo dei Poveri organizzandovi esposizioni nazionali con particolare attenzione ai poveri in esso ricoverati. Sembra che in quegli anni le cose funzionassero e che effettivamente si procedeva ad un programma di rilancio dell'Ente, sebbene all'interno rimasero prevalentemente anziani, donne, orfani e incapaci.
Dopo la II Guerra Mondiale, invece, inizia il rapido declino dell'Istituzione sia economico che immobiliare. Ciò ebbe ripercussioni anche sull'opera di Fuga – già monumento nazionale vincolato – che fu parcellizzato negli anni '60 da una miriade di contratti d'affitto con privati ed enti vari (tra cui l'Istituto di vendite giudiziarie, il Tribunale dei minori e riformatorio ecc.). All'ultimo piano sul fronte principale, ricostruito in epoca fascista ed aggiunto di un secondo livello attico, non vivevano più i ragazzi poveri come nel secolo precedente ma famiglie di senzatetto affidate al comune. Il corpo dei vigili del fuoco, che intanto aveva trovato alloggio nella parte settentrionale dell'edifico appositamente costruita sulle antiche murature dell'Albergo, dovette presto lasciare il suo avamposto per un incendio che distrusse gli uffici. Su via B. Tanucci infine continuarono a vivere almeno ottanta famiglie che, per incuria delle istituzioni, non hanno mai lasciato i loro 'appartamenti'. Anche dopo il sisma e i crolli del 1980 (Montone 2010). Il 15 dicembre 1980 il primo crollo con nove vittime riguardò l'ala attigua all'Orto botanico mentre profonde crepe si erano rilevate nell'intera struttura che venne dichiarata inagibile e definitivamente chiusa. Il 9 gennaio 1981 crollarono le volte di un'altra parte consistente dell'edificio (a destra del corpo centrale prospiciente piazza Carlo III): le indagini giudiziarie del Tribunale di Napoli relative al procedimento penale n. 563/83 verificarono che le cause di entrambi i crolli erano riconducibili ai lavori di sostituzione intrapresi tra il 1970-80 con solai in calcestruzzo mal ammorsati alle mura perimetrali di sostegno. In sostanza la vicenda ha posto l'interrogativo sull'intera stabilità strutturale dell'edificio sia nelle parti antiche che in quelle trasformate tra Otto e Novecento: altri crolli spontanei prima e dopo il terremoto del 1980 ne sono la prova (Vigo 2007). Tant'è che gli sforzi economici sostenuti a partire dal 2000 per il consolidamento e recupero dell'intero edificio si sono rivelati quasi inutili come confermano questi crolli interni di piccola entità e l'annuncio di un possibile crollo della stessa facciata principale (Repubblica Napoli, 11 novembre 2010).
Rimasto chiuso al pubblico per venti anni da quella data, dal 2000 il Real Albergo dei Poveri è in fase di recupero con la promessa di ritornare alla vita urbana con nuovi scopi e finalità: un enorme contenitore polifunzionale definito “città dei giovani” (Master plan per la realizzazione della Città dei Giovani, approvato il 28 gennaio 2005).
A queste funzioni ogni tanto se ne aggiungono di nuove come il trasferimento dello Stoà, il Centro di formazione del Comune, da Villa Campolieto all'Albergo dei poveri e la fila degli enti che vogliono spazio nella struttura è sempre più lunga. Tra questi il Napoli Teatro Festival che vorrebbe espandersi, la polizia (che nel 1980 disponeva di alcuni locali nel retro e ne ha chiuso il confine settentrionale), infine numerose associazioni (tra cui il Kodokan, palestra-associazione, che ha già nell'albergo la sua sede storica), i carabinieri, il teatro San Carlo, l'università Federico II e tanti altri ancora (la Repubblica, 12 novembre 2010).
Dimenticati i vincoli antichi sulla destinazione d'uso già per mano dell'Opera Pia, alcuni ricordano al comune di Napoli che: «I Comuni destinatari delle funzioni trasferite effettuano la ricognizione degli scopi delle IIPPAABB soppresse; ne assicurano la continuazione delle attività con gli adeguamenti alle nuove esigenze sociali, assicurando per quanto possibile il rispetto dei fini originari» (art. 4, Regione Campania, Legge Regionale n. 65 del 11 Novembre 1980). Perciò altri hanno chiesto per l'ex-Real Albergo dei Poveri una destinazione d'uso compatibile al suo organismo architettonico immettendovi una sola funzione: rifiutata l'ipotesi di destinare l'intero immobile come sede di Regione Campania o Università (come realizzato per strutture analoghe in altre città italiane), Museo (come per l'Albergo dei Poveri di Madrid adeguato a museo d'arte contemporanea 'Reina Sofia'), sono persino emerse richieste di un anacronistico revival di proseguimento dell'operato dell'istituzione e destinarne la fabbrica ad uso abitativo per i nuovi poveri (la Repubblica, 2 ottobre 2010).

La struttura dopo il 1980[modifica | modifica wikitesto]


Il comune di Napoli è entrato in possesso dopo il 1980 della struttura del Real Albergo dei Poveri individuabile al catasto nel F.56, Part. C.376. Estesa per quasi 103.000 metri quadri di superficie utile, dal fronte continuo di 354 metri, di profondità 145, altezza 50 metri su piazza Carlo III, cubatura 750.000 metri, presenta una pianta simmetrica, rettangolare, a tre corti. (Lucarelli 1999). Confina a sud-ovest con l'Orto Botanico, a nord-est con via B. Tanucci e nella parte settentrionale è chiusa dalla Questura di Napoli dove ha un autocentro di polizia e deposito mezzi pesanti.
L'ingresso principale è da piazza Carlo III: lo scalone immette, tramite il portale principale tripartito (con cornicioni di stucco e coronato da timpano), al vestibolo d'ingresso coperto da volte a crociera e caratterizzato sui lati corti dai portali che conducono a loro volta alle ali dei reclusi (PRO FEMINIS ET PVELLIS a sinistra, PRO VIRIBUS ET PVERIS a destra); frontalmente invece due nicchie (nelle quali dovevano porsi le sculture dei reggenti fondatori) segnano l’accesso alla sede amministrativa dell'Opera Pia e più avanti ancora al cortile centrale con l'autonoma infermeria su due livelli al di sopra del piano seminterrato.
Gli ornamenti sono limitati allo stretto necessario come richiedeva una struttura destinata ai poveri: all'interno stucchi nei locali adattati ad oratori, nella sala di concerto e nelle parti di rappresentanza; all'esterno la facciata, di colore originario giallo napoli tendente all'oro, è caratterizzata dal basamento rivestito in blocchi di piperno liscio che si interrompe all'altezza della quota di calpestio del piano terra, il marcapiano continuo (corrispondente al piano di calpestio del primo piano) e infine il coronamento con cornicione aggettante entrambi in stucco. Al di sopra, due piani aggiunti dopo il secolo XIX terminano l'attico della struttura. La monotonia in facciata è interrotta dalla presenza del risalto del corpo centrale e da paraste (in corrispondenza dell'attacco tra i maschi murari e i pilastri) e tra queste si aprono finestre con cornice in stucco.
Ciascuna ala sul fronte principale si divide orizzontalmente in quattro livelli, piano seminterrato, piano terra, piano primo e piano secondo. La parte in risalto nel corpo centrale, corrispondente alla sede dell'amministrazione e agli alloggi superiori per i ministri, da sette livelli ammezzati (attico compreso). Il corpo di fabbrica settentrionale è realizzato con discontinuità (primo o secondo livello).I bracci della chiesa interrotti al seminterrato con accenni di soprelevazione al primo piano.
Le strutture di fondazione non sono accertabili. I piani seminterrato e terra sono coperti con volte policentriche unghiate mentre il 1° livello a volta a botte (in tufo con malta cementizia, intonacate e con decorazioni a stucco) parzialmente distrutte tra il 1980-81. I livelli superiori realizzati in tecniche miste (solai in calcestruzzo, travi in legno, contro-soffitto piano) sino alle coperture quasi tutte piane (ad eccezione del corpo su fronte strada).
Le caratteristiche costruttive della fabbrica sono rapportabili all'insieme delle tecniche edilizie tradizionali con l'uso abbondante di materiali locali: tufo, mattoni, malte e pozzolana, lapillo battuto per l'impermeabilizzazione dei terrazzi, cotto o basoli in piperno per la pavimentazione. Frequenti sono le sostituzioni e le opere di risarcitura delle lesioni negli apparati murari con metodi antichi e moderni, di pavimentazioni con quadrelli d'argilla prima e gres porcellanato poi. Le sostituzioni dei solai con altri moderni in calcestruzzo risalgono 1895 con la costruzione del primo solaio sistema Hennebique. I cortili, prima lastricati in basoli, sono stati interrati e trasformati in giardini. (Montone 2010). Gli ambienti sono disposti a corpo triplo con al centro i corridoi che caratterizzano i percorsi interni formando un sistema ortogonale di assi viari la cui matrice è ripresa in tutti i piani. Essi si estendono in lunghezza per circa un chilometro ogni livello ed in origine erano separati nelle intersezioni da cancellate in ferro battuto per consentire una facile sorveglianza con pochi uomini. Le scale, a due rampe parallele con anima (o spina) sono inserite nella gabbia muraria (le maggiori 'a spina continua', le minori 'su pilastri'), e corrispondono al disegno di Fuga: realizzate con la stessa tecnica in muratura su sistemi voltati (volte a vela o a crociere sui pianerottoli, volte a botte rampanti nelle scale, ad arco policentrico); per le restanti parti, piperno per i gradini e prive di zoccolatura e corrimano. Altre scale di nessuna importanza sono state aggiunte dopo il secolo XIX quando si iniziò a separare gli ambienti per creare funzioni tra loro indipendenti.
Non sono presenti gli arredamenti originari, apparati scultorei, quadri ed altri inventariati nei documenti d'archivio poiché successivamente ai crolli del 1980 gli atti di sciacallaggio hanno depauperato la struttura di tutti gli elementi di pregio.

Testo in grassetto== Bibliografia ==

  • Real Decreto del 25 febbraio 1751 per la costruzione di un generale Albergo de’ Poveri, Nella stamperia di Angelo Vocola a Fontana Medina Impressore del Real Palazzo, Napoli, 1751.
  • Istruzioni formate per lo Regolamento del Real Governo pro tempore del Generale Albergo de Poveri, secondo lo stato attuale dell’opera, ed approvate da S. M. con dispaccio del dì primo di Luglio 1755, Napoli, 1755.
  • Giovanni Filioli, Del Reale Albergo de’ Poveri in Napoli, in «Annali Civili del Regno delle Due Sicilie», 7, fascicolo XIV, (marzo-aprile 1835), pp. III-XXXVI.
  • Commissione per lo studio di riordinamento del Reale Albergo, Disegno di riforma del R. Albergo dei Poveri: edilizia, igiene, educazione al lavoro, Napoli, E. Pietrocola, 1905.
  • Gino Chierici, L’Albergo dei Poveri di Napoli, in «Bollettino d’arte», XXV (1931), serie III, 1, Ministero dell’Educazione Nazionale, pp. 439-45.
  • Roberto Pane, Ferdinando Fuga, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1956.
  • Giulio Pane, Ferdinando Fuga e l’Albergo dei Poveri, in «Napoli Nobilissima», V (1966), fascicolo I, pp. 72-84.
  • Giuseppe Moricola, L’industria della carità: l’Albergo dei Poveri nell’economia e nella società napoletana tra ’700 e ‘800, Edizione Liguori, Napoli, 1994.
  • Andrea Guerra, L'albergo dei poveri di Napoli, in AA.VV., Il trionfo della miseria: gli alberghi dei Poveri di Genova, Palermo e Napoli, Electa, Milano, 1995, pp. 153-223.
  • Paolo Giordano, Ferdinando Fuga a Napoli. L'Albergo dei Poveri, il Cimitero delle 366 fosse, i Granili, Edizioni del Grifo, Lecce, 1997.
  • Gaetana Cantone, voce Ferdinando Fuga, in Dizionario Biografico degli Italiani, vol. 50, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana fondata da Giovanni Treccani, 1998, pp. 680-91.
  • Francesco Lucarelli, La vita e la morte, dal Real Albergo dei Poveri al Cimitero delle 366 Fosse, Edizioni Del Grifo, Lecce, 1999.
  • Maddalena Vigo, Le strutture dell’Albergo de’ Poveri dal primo Ottocento al terremoto del 1980, in CATERINA G.- DE JOANNA P., a cura di, Il Real Albergo de’ Poveri di Napoli. La conoscenza del costruito per una strategia di riuso, Napoli, Liguori Editore, 2007, pp. 77-183 .
  • Maurizio Montone, Pauperismo e Stato. Il real albergo dei poveri. Vita dell'opera (Napoli, 1751-1951), Istituto Italiano per gli Studi filosofici - La scuola di Pitagora Editrice, Napoli, 2010.

Nicoletta D'Arbitrio Luigi Ziviello, Il Real Albergo dei Poveri di Napoli, Un edificio per le arti della città, Dentro le mura, Per conto del Ministero per i Beni Culturali, Edisa Edizioni Savarese, 1999 Nicoletta D'Arbitrio Luigi Ziviello,Il Real Albergo dei Poveri di Napoli,Carteggi 1752 - 1896, con il contributo del Comune di Napoli, Assessorato alla vivibilità, pianificazione e gestione dell'assetto urbano, Edisa 2001 Nicoletta D'Arbitrio Luigi Ziviello, Il Reale Albergo dei Poveri di Napoli, Un Edificio per le arti della città, in Ferdinando Fuga a cura di Alfonso Gambardella, E.S.I. 2001

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]


Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]