Alessio Simmaco Mazzocchi

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Alessio Simmaco Mazzocchi. Monumento funerario nella Cappella di Santa Restituta nel Duomo di Napoli

Alessio Simmaco Mazzocchi (Villa Santa Maria Maggiore, 21 ottobre 1684Napoli, 12 settembre 1771) è stato un presbitero, filologo, biblista e archeologo italiano.

La nascita[modifica | modifica wikitesto]

Nacque da Lorenzo, farmacista, e Margherita Battaglia, morta poco dopo averlo dato alla luce, in un palazzo seicentesco oggi chiamato in suo onore Palazzo Mazzocchi (vedi approfondimento laterale).

Nell'opera "Calendario marmoreo", il Mazzocchi afferma di essere nato il 22 ottobre, giorno di San Simmaco, dal quale avrebbe preso il suo secondo nome. Dai registri parrocchiali risulta però che egli nacque il 21 di ottobre mentre fu battezzato il 22. Si ritiene perciò che egli considerasse giorno della sua nascita il giorno del battesimo, in quanto lo rese cristiano.[1]

Ultimo di ventuno figli[1], la famiglia era povera[2]. Prese la via del sacerdozio come altri suoi fratelli (Carlo, Giuseppe), mentre altri preferirono le libere professioni (Francesco, avvocato; Nicola, medico). Si conosce molto poco dei rimanenti fratelli.[1]

Gli studi e la carriera ecclesiastica[modifica | modifica wikitesto]

Compì gli studi elementari nella stessa città di nascita, seguito dal padre e da alcuni dei suoi fratelli maggiori.[1] A dodici anni, nel settembre del 1697[1], entrò nel seminario arcivescovile di Capua. Studiò qui fino all'età di quindici anni, quando, nel 1699, dietro consiglio del canonico Boccardo che ne aveva notato le straordinarie doti[1], si trasferì al seminario di Napoli. Qui si fece ancora una volta notare per le sue profonde conoscenze riguardo alla lingua greca, alla lingua latina, alla lingua ebraica e alla teologia.

Nonostante le sollecitazioni da parte dell'allora arcivescovo di Capua Carlo Loffredo, che ne aveva udito le lodi, il Mazzocchi preferì tornare a Capua soltanto nel 1702, poco dopo la morte del padre. A Capua ricevette gli ultimi ordini del suddiaconato, nel 1706, e, nel 1709, dopo essere stato ordinato sacerdote, tornò a Napoli dove, nel 1713, si laureò in teologia.[1]

Nel 1725, in occasione dell'anno giubilare, si recò a Roma, dove rivide il suo maestro ed amico Carlo Maiello e conobbe diversi eruditi del tempo, principalmente sacerdoti in relazione con la curia romana, fra cui monsignor Giuseppe Simone Assemani.[1]

Il 26 novembre 1732, ad appena quarantotto anni d'età, fu designato all'alto grado di Decano del Capitolo Metropolitano di Capua come si può leggere dai testi ufficiali:

«26 novembre 1732. Ha preso possesso del Decanato, rinunziatogli da Monsignor di Carra D. Giuseppe di Capua, il R.mo D. Alessio Simmaco Mazzocchi, uomo consumato nelle lettere, e degno anche per il suo santo costume di qualsiasi dignitate nella gerarchia ecclesiastica.»

Avendo acquisito fama di insigne biblista ed epigrafista,[2] dopo meno di tre anni Ferdinando IV e l'allora arcivescovo di Napoli cardinal Giuseppe Spinelli lo vollero a ricoprire la cattedra di Sacre Scritture e Teologia presso la Regia Università degli Studi[2] e ciò lo portò a rinunciare al grado di Decano di Capua per recarsi a Napoli. Da testi ufficiali del Decanato di Capua riguardo al 26 ottobre 1735 si legge:

«Avendo il R.mo Signor Decano, D. Alessio Simmaco Mazzocchi, renunciato il Decanato, si è licenziato da tutti i R.mi signori canonici. La gran perdita d'uomo sì raro è stata compianta non solo da tutti i Capitolari, ma altresì da tutto questo pubblico, per le sue singolari ed eccelse qualità di bontà e di sapere; di cui ne può essere testimonio la cagione della sua rassegna e partenza, perché Sua Maestà l'ha voluto nella città di Napoli per pubblico cattedratico della sacra scrittura nella Reale Accademia, ed il furto fattoci dall'E.mo Cardinale Spinelli Arcivescovo di Napoli, il quale gli ha conferito nella sua metropolitana un canonico presbiteriale prebendato.»

Il sovrano gli offrì anche l'arcivescovato di Lanciano, ma egli rifiutò la carica, preferendo dedicarsi ai propri studi.[2]

Divenne socio di varie accademie, fra cui l'Académie des inscriptions et belles-lettres di Parigi.[2]

Nel 1755, intorno ai settanta anni d'età, fu uno dei quindici prescelti per entrare a far parte dell'Accademia Ercolanese. I quindici membri di questa accademia avevano il compito di pubblicare e illustrare gli oggetti rinvenuti nelle città sepolte dall'eruzione del Vesuvio del 79 d.C. Tra i compiti svolti dal Mazzocchi vi fu la delicata decifrazione dei papiri scoperti tra l'ottobre 1752 e l'agosto 1754 nella Villa dei Pisoni, con l'aiuto del padre scolopio Antonio Piaggio.

Morì il 12 settembre 1771 a Napoli. L'unica carica ecclesiastica che coprì fino alla morte fu il canonicato della Cattedrale di Napoli, dove fu sepolto.[2]

La passione per l'archeologia[modifica | modifica wikitesto]

Il giovane Mazzocchi, colpito dalla lettura del libro "Apparato alle antichità di Capua" di Camillo Pellegrino,[3] si appassionò allo studio dei ruderi e dei testi antichi che frequentemente emergevano dalle campagne di Santa Maria Capua Vetere e Capua.

Famosi sono i suoi rinvenimenti e studi riguardo all'anfiteatro campano, tra i quali l'integrazione dell'epigrafe Colonia Iulia Felix ritrovata mutila durante gli scavi del settembre 1726 di fronte alla porta meridionale dell'anfiteatro[4]. Conservata oggi presso il museo campano, l'iscrizione[5] recava informazioni circa l'elevazione a colonia della città di Capua sotto l'imperatore Augusto:

(LA)

«COLONIA IULIA FELIX AUGUSTA CAPUA FECIT DIVUS HADRIANUS AUG RESTITUIT IMAGINES ET COLUMNAS ADDI CURAVIT IMP CAES T AELIUS HADRIANUS ANTONINUS AUG PIUS DEDICAVIT»

(IT)

«La Colonia Giulia Felice Augusta Capua fece, il divo Adriano Augusto restaurò e curò vi si aggiungessero le statue e le colonne, l'imperatore Cesare T. Elio Adriano Augusto Pio dedicò.»

L'epigrafe Colonia Iulia Felix

A seguito di queste scoperte scrisse l'opera "In multilum Amphitheatri Campani titulum" (Napoli, 1727) che ebbe un enorme successo in tutta Europa, tanto che alla fine del secolo successivo Karl Julius Beloch, nell'opera "Campanien" scrisse: "È pur sempre il miglior libro che possediamo sulla storia e la topografia dell'antica Capua".

Si impegnò sempre nel denunciare ed evitare ogni forma di abuso e danno nei confronti delle opere storiche.

Fu il primo a documentare la depredazione dell'anfiteatro campano di pietre, fregi e colonne a partire dal IX secolo per la costruzione di chiese e palazzi della nuova Capua.

In una lettera riportata nel I vol. dello studio di Demetrio Salazar "Sulla cultura artistica dell'Italia meridionale dal IV al XIII secolo" (1877), il Mazzocchi scrisse ad un notabile di San Prisco affinché impedisse la distruzione del mosaico del V secolo che adornava l'abside dell'altare maggiore della chiesa di San Prisco per adeguarla ai gusti del tempo:

«Illustrissimo Signore e Padrone. Così ammalato e con dolore, come mi trovo, mi piglio l'ardire di supplicare V.S. ill.ma a non fare ledere in parte veruna i mosaici della chiesa di S. Prisco i quali vagliono quanto cento altre chiese di gusto moderno. Questi musaici di S. Prisco sono stati la scuola in cui àn profittato mille uomini oltramontani che ne fanno la spiega. Non fate dire che questo secolo il quale in tutti i luoghi fa infinita stima di ogni resto di antichità, ed in particolare dei musaici sacri, solo costì si sia reso barbaro inumano e di genio gotico. Io per la vecchiaja ho dritto di avvertire cotesti malinclinati geni santopriscani. Tocca a voi che vi tengo per Pater Patriae di drizzarli, perché nel rinnovare la chiesa tentino tutt'altro forché il violare i mosaici»

Nonostante la lettera, comunque, il mosaico venne distrutto.

In una lettera, tratta dal periodico "La Campania Sacra" del 1887, il canonico della Collegiata di Santa Maria Capua Vetere, Alfonso Bascone, scrisse al cardinale arcivescovo di Capua, Alfonso Capecelatro:

«Ricordo che il Can. Teologo don Benedetto Lucarelli di s.m., uomo assai dotto, e di vita integerrima, trapassato in età d'anno 86, nel 1865, mi diceva (e me lo ripetette più volte, come lo disse anche ad altri) che sotto l'antico pulpito era un armadio, o vogliam dire un grosso stipo, che serviva d'archivio. Ivi si conservavano molte carte antiche, ed anche pergamene. Quei canonici che dettero fuoco nell'atrio della chiesa stessa, come un ingombro inutile, perché in parte rose ed obliterate, e scritte a caratteri gotici, forse da essi poco o niente conosciuti. Le quali cose, mi aggiungeva il lodato Can. Teologo, sapute dal celebre nostro Mazzocchi, gli dispiaquero tanto, che fece proponimento di non venire più in S.Maria, che pur era la sua patria.»

Opere principali[modifica | modifica wikitesto]

In vetus marmoreum sanctae Neapolitanae ecclesiae kalendarium commentarius, 1744

Nell'arco della sua carriera il Mazzocchi scrisse una ventina di libri editi a Napoli tra il 1727 ed il 1778, tra cui:

  • Spicilegio Biblico[6]
  • Selve Falegiche
  • Dissertazioni sull'Anfiteatro di Capua
  • Dissertazioni Tirreniche
  • Commentario sul Calendario Napoletano
  • Commentario sulle Tavole Eracleensi

Edizioni[modifica | modifica wikitesto]

Dissero di lui[modifica | modifica wikitesto]

Nella sua opera Compendio della storia della bella letteratura greca, latina, e italiana, Giuseppe Maria Cardella scrisse:[7]

«Si è da noi parlato colla debita lode di tanti valorosi uomini, che colle loro eruditissime opere sonosi assicurati una perpetua fama, non solo in Italia, ma ancora nell'Europa intiera. Ciò non ostante a proporzione che c'inoltriamo, nuovi sempre se ne presentano, che gareggiano coi sommi, e che con essi dividono i primi onori. Numerasi fra questi il celebre Alessio Simmaco Mazzocchi [...] Egli fu versatissimo nelle lingue Greca ed Ebraica, col sussidio delle quali, unito ad un acuto ingegno e ad un vasto sapere, si fece strada nell'immenso regno dell'antichità ed erudizione sacra e profana, e vi signoreggiò quasi da Dittatore. Infatti non vi fu parte della medesima, che fosse ignota al Mazzocchi, non difficoltà, che non ispianasse, non punto, che non illustrasse, e che con ricco apparato di scienza e di dottrina ampiamente non isvolgesse.»

Amedeo Maiuri lo definì la figura "più eminente nel campo degli studi di antichità nell'eruditissimo e umanissimo settecento napoletano".

Secondo Apostolo Zeno egli fu uno fra i dotti che "fan più di onore all'Italia e ne sostengono il letterario decoro'.

Nicolò Ignarra lo descrisse quale "ingegno nobile, acuto, eccellentissimo e talmente versatile che ovunque metteva le mani si dimostrava perfetto".

Secondo Johann Joachim Winckelmann egli fu "l'ornement des savans d'Italie" e Charles Le Beau lo definì "totius Europae litterariae miraculum" e disse di lui che era "attaché sans ostentation à la religion, occupé des devoirs de la pièté chrétienne, que ses travaux litteraires n'eurent crédit d'interrompre".

Il 25 gennaio 1885 a Capua, per l'occasione delle celebrazioni del secondo centenario della nascita di Mazzocchi, Raffaele Perla disse:

«[...] Mazzocchi non appartiene alla sua città soltanto; perché la sua città ereditò il suo nome, ma la sapienza del suo intelletto, i frutti della sua dottrina furono un legato che appartiene a tutta la dotta Europa, di cui giustamente il Le Beau in nome dell'Accademia di Francia lo proclamava miracolo. [...] Quest'uomo non a caso nacque fra noi. Dice il suo biografo che egli non ebbe maestri e che pur giovane ne sapeva assai più di coloro che ne insegnavano. Nella luce che seppe spargere su le rovine il felice interprete del monco titolo dell'anfiteatro campano, nell'entusiasmo di quegli studi e di quelle ricostruzioni, vi era una forza inspiratrice, che gli venne da quella terra, su cui spira ancora come un soffio dell'antica grandezza.»

Niccolò Capasso, dedicò una poesia al Mazzocchi:[8]

«Al Signor Canonico ALESSIO SIMMACO MAZZOCCHI per l'illustre suo Commentario sopra l'Anfiteatro Campano.

Ben da queste del tempo eccelse spoglie,
Ov' a l'occhio il pensier contende il vero,
Scorgi, ALESSIO, di Capoa il grande impero,
E più di lui, che tutto doma, e scioglie.

Ma qual di Febo diè su sparte foglie
La Vergine Cumana il senso intero,
Tal de la prisca età tuo 'ngegno altero
Da ciechi infranti marmi il ver raccoglie.

Or la superba mole, e i faldi monti
Indarno al Ciel la nobil Donna ergeo,
Se guasta l'armi del fier Veglio han l'opra;

Sol tuoi pensieri a chiare imprese pronti
Dolce di madre amor destar poteo,
Perché l'alte memorie obblio non copra.»

Monumenti e scuole dedicategli[modifica | modifica wikitesto]

  • Nella città di Santa Maria Capua Vetere
    • In via Mazzocchi si trova il palazzo Mazzocchi, luogo natìo dello stesso.
    • In via Giuseppe Avezzana si trova la Scuola Media Statale Alessio Simmaco Mazzocchi.
    • Nel duomo si trova un monumento erettogli nel 1914[2]
  • Nella città di Capua
    • In via Alessio Mazzocchi si trova l'Arco Mazzocchi, tra la chiesa di Sant'Eligio ed il confinante palazzo seicentesco. L'arco fu definito "Arcus Celebris" a ricordo del luogo in cui nel cinquecento venivano esposti i reperti archeologici della città e del territorio di Terra di Lavoro.
  • Nella città di Napoli

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i Alberto Perconte Licatese, Alessio Simmaco Mazzocchi, Edizioni Spartaco, 2001
  2. ^ a b c d e f g Alberto Perconte Licatese, Santa Maria di Capua. Storia e monumenti della città di Santa Maria Capua Vetere, VOL. II, 1983
  3. ^ Disponibile online, su books.google.it. URL consultato il 16 novembre 2011.
  4. ^ Mariano de Laurentiis, Descrizione dello stato antico, e moderno dell'anfiteatro campano, Angelo Coda, 1835, [1] p. 94-95
  5. ^ Iscrizione CIL X, 03832
  6. ^ (LA) Disponibile online, su books.google.com. URL consultato il 16 novembre 2011.
  7. ^ Giuseppe Maria Cardella, Compendio della storia della bella letteratura greca, latina, e italiana, Tomo III, Parte III, Pisa, Sebastiano Nistri, 1817. Pagina 168.
  8. ^ Niccolò Capasso, Varie poesie, Napoli, 1761. Pagina 65.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Guida d'Italia. Campania, Touring Club Italiano, Milano 1981
  • Alberto Perconte Licatese, Alessio Simmaco Mazzocchi, Edizioni Spartaco, 2001

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