Utente:L'alchimista/Ipotesi sulla funzione dei nuraghi

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Voce principale: Nuraghe.

Già dal XVI secolo vari studiosi hanno avanzato diverse ipotesi sulla funzione dei nuraghi, senza tuttavia trovare una risposta unanime ed esauriente alla questione. Visto l'enorme numero di nuraghi presenti in Sardegna, e la conseguente densità il problema è considerato fondamentale per la comprensione della civiltà nuragica nel suo complesso[1].

Prime ipotesi[modifica | modifica wikitesto]

Il primo studioso ad interessarsi del problema fu Giovanni Francesco Fara che nel XVI secolo riteneva i nuraghi semplici torri o tombe monumentali. Nel corso dei secoli le teorie si sono moltiplicate e i nuraghi sono stati considerati alternativamente case, ovili, luoghi sacri, tombe o osservatori astronomici.

La reale funzione delle costruzioni nuragiche è da secoli al centro di dispute tra storici e archeologi. Il primo a porsi il problema fu Giovanni Francesco Fara nel XVI secolo, il quale riteneva fossero semplici torri oppure tombe monumentali. Nel corso dei secoli sono stati considerati - alternativamente - come case, ovili, luoghi sacri, tombe o osservatori astronomici[2].

Vista la presenza numerica così importante delle costruzioni nuragiche in Sardegna, la questione della funzione dei nuraghi è ritenuta di primaria importanza nella comprensione della civiltà nuragica nel suo complesso ed è soprattutto a partire dal XX secolo che iniziano a fiorire le pubblicazioni scientifiche sull'argomento. Ecco le ipotesi più discusse:

Su Nuraxi a Barumini

Ipotesi militare[modifica | modifica wikitesto]

Agli inizi del XX secolo inizia a ritagliarsi un'importanza sempre maggiore l'ipotesi della funzione militare, che rimarrà di fatto quella più accreditata fino alla seconda metà del Novecento, appoggiata soprattutto da studiosi come Antonio Taramelli, Filippo Nissardi e Giovanni Lilliu. Le principali osservazioni a favore di un utilizzo difensivo del nuraghe sono relative alla struttura architettonica stessa di quest'ultimo. Giovanni Lilliu sostiene, per esempio, che lo spessore ragguardevole delle mura dovesse reggere all'urto dei "krioforoi", gli arieti di sfondamento usati dai cartaginesi nelle battaglie contro i sardi. Anche l'altezza era tale da poter usare i nuraghi come efficaci torri di avvistamento e addirittura, dislocandoli strategicamente, avere sempre il contatto visivo tra l'uno e l'altro o usarli per definire un confine. Lilliu pone inoltre l'attenzione su altri «espedienti singolari di grande efficacia difensiva ed offensiva che rivelano il carattere fortilizio del nuraghe» tra cui feritoie, angoli morti, piombatoi, scale retrattili, garette di guardia e botole.

Anche l'archeologo Ercole Contu sostiene che le torri isolate sarebbero state degli avamposti o vedette mentre i complessi più articolati delle fortezze.

Negli anni Settanta gli articoli di Carlo Maxia e Lello Fadda sulla rivista Frontiera (1973) e il libro La Sardegna nuragica di Massimo Pittau (1977) rappresentano i primi tentativi di dimostrare l'infondatezza della tesi del sistema organizzato di fortini, che Lilliu stesso rivaluterà pesantemente[3].

Lo stesso Pittau, il maggior sostenitore della tesi esclusivamente religiosa dei nuraghi ammette tuttavia che «in qualche particolare circostanza di guerra i Nuragici si siano rifugiati in qualcuno dei nuraghi complessi e vi abbiano tentato un'estrema difesa» facendo riferimento ai nuraghi di Cabu Abbas di Olbia e a Su Nuraxi[4].

Per l'archeologo Giovanni Ugas sia i nuraghi classici che i protonuraghi svolgevano principalmente due funzioni : le strutture più complesse, ad esempio i nuraghi polilobati, avevano una funzione residenziale per "re" o "capi tribù", le strutture più semplici, come nel caso dei nuraghi semplici monotorre, avevano invece una funzione d'avvistamento e di controllo del territorio e delle risorse [5].

Ipotesi religiosa[modifica | modifica wikitesto]

L'alternativa classica a quella militare è l'ipotesi di una funzione votiva e religiosa del nuraghe che propone come indizi principali le sepolture rinvenute in alcuni nuraghi (specialmente nei protonuraghi) delle quali vi sono in passato molte segnalazioni in letteratura (Gaio Giulio Solino, Simplicio, Alberto La Marmora, Giovanni Spano[6]) e che si ipotizza potessero essere imbalsamati, esposti e venerati come eroi[4].

A riprova dell'utilizzo sepolcrale ci sarebbero le conferme di carattere linguistico nei nomi di tantissimi nuraghi[4]. Oltre ai tanti nomi generici come "Sa Tumba" di Olbia, "Tumboni" di Girasole, "Su Tumbone", Florinas, "Su Masuleu", San Nicolò Gerrei, "Losa" di Abbasanta legati al culto dei morti sono "de su Perdonu" a Nulvi, "Purgatoriu", Dorgali, "de is Animas", Santadi, "S'Inferru, Sassari" che sarebbero da collegare alla successiva cristianizzazione della Sardegna e che, secondo questa tesi, avrebbe continuato a riconoscere nei nuraghi il loro significato votivo. Ancora più importante è il termine "Domo 'e s'Orcu" (casa dell'Orco), che, pur con le varie inflessioni subregionali denomina circa una quarantina di nuraghi e che richiamerebbe a Plutone, divinità latina dei morti[7].

Nuraghe Santu Antine, torre centrale

Ipotesi astronomica[modifica | modifica wikitesto]

Un'altra tesi presa in considerazione dei ricercatori è quella che vede nei nuraghi una funzione prevalentemente astronomica descrivendoli come dei veri e propri osservatori fissi della volta celeste, disposti sul territorio secondo precisi allineamenti con gli astri, e abitati da sacerdoti astronomi. Secondo lo studioso Mauro Peppino Zedda i nuraghi furono edificati come osservatori astronomici e le torri sarebbero state disposte secondo precise regole astronomiche e sarebbero state utilizzate per la misura del tempo e per l'osservazione della volta celeste avvalorarando l'ipotesi della funzione sacra di questi edifici i quali sarebbero viste come templi custoditi da sacerdoti astronomi. [8] Lo studioso sostiene che le torri del nuraghe trilobato Santu Antine siano state dei punti di osservazione per mezzo dei quali era possibile osservare il sorgere del sole sia al solstizio invernale sia al solstizio estivo, e dalle stesse si poteva osservare - sempre ai solstizi - il tramonto del sole. Secondo lo studioso il nuraghe Santu Antine è « l'apparecchio realizzato a secco tecnicamente più sofisticato di tutta la superficie terrestre».[9]. Grazie alla loro posizione - sostiene lo studioso - «gli antichi Sardi erano in grado di stabilire la scansione temporale delle stagioni e avevano riferimenti spaziali sulla terra».

Polivalenza[modifica | modifica wikitesto]

Nella diatriba tra le ipotesi più discusse si inserisce un ragionamento, semplice ma importante che possiamo riassumere in questa frase di Franco Laner:

«L'interrogativo conseguente è questo: qual è la funzione dei nuraghi? A me la domanda pare assolutamente mal posta, perché non è logico chiedersi quale sia stata la funzione di S. Antine di Torralba e, ipotizzando una risposta, estendere la stessa funzione a Su Idili di Isili. Insomma non è possibile che settemila costruzioni diverse avessero tutte la stessa funzione»

.

Secondo il Laner, si è voluta assegnare quindi al nuraghe, sbagliando, una ben determinata funzione che fosse valida nella totalità dei casi. In un altro passo del suo libro osserva come spesso la maggior parte dei sostenitori delle tesi precedentemente esposte parta dall'assunto, in effetti mai verificato e poco logico, che ad una particolare tecnica costruttiva (la tholos) debba corrispondere una funzione altrettanto precisa[10].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Alessandro Usai, Note sulla società della Sardegna nuragica e sulla funzione dei nuraghi, in Settlement and economy in Italy 1500 BC to AD 1500, Papers of The Fifth Conference of Italian Archaeology, Oxford
  2. ^ Ileana Benati, Il nuraghe: un'ipotesi simbolica, in «Heliopolis», 2009
  3. ^ Mauro Peppino Zedda, Archeologia del paesaggio sardo, Cagliari, Agorà Nuragica, 2009. ISBN 88-901078-3-9
  4. ^ a b c Massimo Pittau , La Sardegna Nuragica, 2a, Cagliari, Edizioni Della Torre, 2006. ISBN 88 7343 411 8
  5. ^ Giovanni Ugas, L'alba dei Nuraghi, Cagliari, Fabula, 2005, pag. 71-81. ISBN 88-89661-00-3
  6. ^ Giovanni Spano, Memoria sopra i nuraghi di Sardegna, Cagliari, Tipografia Arcivescovile, 1867
  7. ^

    «"orcus" non designava soltanto il regno dei morti, ma era anche uno dei nomi di Plutone, e così si spiega che nel dominio romanzo si usi come denominazione di un demone malvagio o di uno stregone. Questo è appunto il significato che órku ha in sardo, e si crede che abiti nei nuraghi, i quali si chiamano perciò in molti luoghi dòmo de órku»

  8. ^ Federico Bardanzellu, L'orientamento astronomico delle costruzioni megalitiche, in www.prehistory.it. URL consultato il 24 febbraio 2011.
  9. ^ Carlo Figari, Il mistero dei nuraghi nel moto del sole e della luna, in edicola.unionesarda.it, Unione Sarda. URL consultato il 24 febbraio 2011.
  10. ^ Franco Laner, Accabadora: tecnologia delle costruzioni nuragiche, Tipomonza, Milano, 1999

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]