Thabanchuia oomie

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Thabanchuia
Immagine di Thabanchuia oomie mancante
Stato di conservazione
Fossile
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Animalia
Phylum Chordata
Classe Amphibia
Ordine Temnospondyli
Sottordine Dvinosauria
Famiglia Tupilakosauridae
Genere Thabanchuia
Specie T. oomie

La thabanchuia (Thabanchuia oomie) è un anfibio temnospondilo estinto, appartenente agli dvinosauri. Visse nel Triassico inferiore (Induano, circa 252 - 251 milioni di anni fa) e i suoi resti fossili sono stati ritrovati in Sudafrica.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Questo animale, simile a una salamandra, era dotato di un corpo allungato a causa di un sovrannumero di vertebre presacrali. Le zampe erano molto corte, ma ben ossificate. Le vertebre erano dotate di centri vertebrali diplospondili (ovvero formati da due unità assai simili). I fossili di Thabanchuia rappresentano probabilmente esemplari immaturi, ma è chiaro che questo animale era totalmente acquatico. Era inoltre dotato di ceratobranchiali ossificati, e probabilmente anche gli adulti erano dotati di branchie.

Classificazione[modifica | modifica wikitesto]

Thabanchuia oomie è noto attraverso tre crani con materiale postcranico associato, provenienti dalla "zona a Lystrosaurus" del Sudafrica (inizio del Triassico inferiore). Thabanchuia è il membro meglio conservato dei tupilakosauridi, un gruppo di anfibi temnospondili che sopravvissero all'estinzione di massa del Permiano - Triassico. I tupilakosauridi furono gli unici sopravvissuti mesozoici della radiazione evolutiva degli dvinosauri, un gruppo di anfibi dalle abitudini acquatiche tipici del Paleozoico, affini agli archegosauri e alla base del clade degli stereospondili. Si suppone che Thabanchuia o una forma simile sia stata in grado di ricolonizzare le latitudini settentrionali partendo dal Gondwana, immediatamente dopo la crisi di fine Permiano.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Warren, Anne (1998). "Karoo tupilakosaurid: a relict from Gondwana". Transactions of the Royal Society of Edinburgh: Earth Sciences. 89 (3): 145–160. doi:10.1017/S0263593300007094.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]