Rifada

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La rifāda (in arabo ﺭﻓﺎﺩة?) era una funzione pubblica onorifica in vigore nel periodo preislamico tra i Quraysh della città di Mecca, nell'Hijaz.

Assieme alla siqāya - la funzione cioè delegata all'approvvigionamento delle bevande per i pellegrini che giungevano in città da ogni parte della Penisola araba per partecipare alla ʿumra - alla Ḥijāba (la custodia nel santuario urbano della Kaʿba, con le funzioni cerimoniali e devozionali delegate al culto di Hubal), alla Dār al-Nadwa (la presidenza del malāʾ, o consiglio dei capi-clan), alla Qiyāda (comando delle formazioni guerriere in caso di eventi bellici) e al Liwāʾ (l'onore di portare il vessillo tribale in guerra), essa faceva parte delle principali istituzioni pubbliche meccane, create da Qusayy, un antenato di Maometto.[1]

Consisteva nella fornitura di vivande per chi partecipava al pellegrinaggio della ʿumra, che in epoca preislamica aveva luogo nel mese lunare di Rajab.

Il piatto tipico - per cui Mecca seguitò nei secoli a vantare la primogenitura e l'eccellenza della preparazione - era il tharīd, un brodo di carne di animali sacrificali (per lo più dromedari ma, in subordine, anche di ovini) nel quale venivano cotti pezzi di focaccia di orzo e di verdure della zona.

Per garantire l'acquisto dell'occorrente non sappiamo con certezza se (e in che misura) venissero sottoposti a prelievi i pellegrini stessi e, comunque, gli abitanti di Mecca in genere o solo le famiglie più illustri e ricche che componevano il mala' cittadino (una sorta di assemblea dei capi-clan maggiormente impegnati e beneficati dai traffici da e per la Siria e lo Yemen e, in minor misura, l'Egitto e l'Abissinia).

Dopo l'ḥilf al-muṭayyabīn, la funzione fu gestito dal clan dei Banu ʿAbd Manāf ibn Quṣayy (il clan discendente da ʿAbd Manāf b. Quṣayy) e poi, già vivente il Profeta Maometto, da suo nonno ʿAbd al-Muṭṭalib, per passare quindi al nipote ʿAlī b. Abī Ṭālib. Questi lo cedette infine allo zio paterno al-ʿAbbās b. ʿAbd al-Muṭṭalib, antenato di riferimento della dinastia califfale abbaside.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ . Caetani, Annali dell'Islām, I, pp. 104-105.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Leone Caetani, Annali dell'Islām, 10 voll., I, Milano, Hoepli, 1905, p. 104.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]