Epicharmus

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Epicharmus
AutoreQuinto Ennio
1ª ed. originaleII secolo a.C.
Generepoema
Lingua originalelatino
(LA)

«Istic est is Iuppiter quem dico, quem Graeci vocant
aerem, qui ventus est et nubes, imber postea,
atque ex imbre frigus, ventus post fit, aer denuo.
Hac propter mi Iupiter sunt ista quae dico tibi,
qua mortalis aeque atque urbes beluasque omnis iuvat.»

(IT)

«Questo è quel dio che io chiamo Giove, che i Greci chiamano
aere, che è vento e nube, poi pioggia,
e da pioggia diventa freddo, poi vento, infine nuovamente aria.
Perciò secondo me sono Giove codeste cose che ti dico,
perché giova parimenti ai mortali, alle città e a tutte le bestie.»

L'Epicharmus era un poema di Quinto Ennio.

Era dedicato all'omonimo Epicarmo da Siracusa, commediografo vissuto tra il VI e il V secolo a.C. nella Sicilia greca, da Ennio considerato un poeta-filosofo.

Dell'opera, scritta in settenari trocaici, ci restano pochissimi frammenti tramandati in Cicerone[1] e Varrone,[2] in cui si tratta la teoria di Empedocle dei quattro elementi originari: acqua, terra, aria e fuoco.[3]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Academica Priora, II, 16, 51.
  2. ^ De Lingua Latina, V 60 e 64; De re rustica, I 4, 1.
  3. ^ Cfr. J. Vahlen, Ennianæ poesis reliquiæ, Leipzig, Teubner, 1854, pp. CCXVIII ss., XXXVII ss.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • J. Vahlen, Ennianæ poesis reliquiæ, Leipzig, Teubner, 1854, pp. CCXVIII ss., XXXVII ss.