Ubashi Khan

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Ubashi Khan
Khan
In carica1761 –
1771
PredecessoreDonduk Dashi Khan
Nascita1744
Morte1774

Ubashi Khan o Ubasha Khan (1744Pechino, 1774) fu l'ultimo khan dei calmucchi del Volga. I russi abolirono il khanato dopo che egli lasciò la regione del Volga con la maggior parte del suo popolo e si trasferì nella valle dell'Ili, allora sotto il dominio della dinastia Qing[1].

Regno[modifica | modifica wikitesto]

Come i suoi immediati predecessori, Ubashi era un vassallo dell'Impero russo. Il governo russo era consapevole della necessità di avere come alleati i calmucchi, che fornivano truppe di cavalleria e proteggevano i confini dell'impero, ma continuava a porre ostacoli al nomadismo. La politica di colonizzazione di Carerina II, che portò alla creazione di oltre cento insediamenti russi e tedeschi sul basso Volga in soli quattro anni, creò dissapori tra Ubashi e il governo zarista. I pascoli dei calmucchi erano minacciati dai nuovi insediamenti e con essi il loro sostentamento. I coloni e i cosacchi allontanavano le mandrie dalle fonti d'acqua e proibivano ai calmucchi di utilizzare le terre che avevano acquisito. Diverse linee di fortificazione russe delimitavano i pascoli a nord, sud e ovest e impedivano ai calmucchi di prendere possesso di nuove territori. Inoltre il governo russo, oltre ai circa 300 ostaggi nobili che già vivevano nella capitale russa o ad Astrachan', richiese come ostaggio il figlio di Ubashi. Tra il 1765 e il 1766 Ubashi si lamentò con il governo russo e giunse persino a compiere un'incursione contro un insediamento tedesco vicino a Caricyn.

Allo scoppio della guerra russo-turca del 1768-1774, Caterina II richiese ai calmucchi un numero di truppe superiore a quello che essi erano disposti a fornire, in considerazione di possibili incursioni da parte del khanato di Kazach. Nel 1769 Ubashi prese comunque parte alla guerra, ma fornì solo la metà delle truppe richieste.

L'esodo del 1771[modifica | modifica wikitesto]

Negli anni 1750, in più occasioni, numerosi profughi provenienti dall'Asia Interna in fuga dai conflitti interni degli zungari e dai massacri cinesi degli anni 1757-1758, fuggirono verso ovest. Le autorità russe cercarono senza successo di convertirli al cristianesimo e poi, nonostante le proteste cinesi che chiedevano il loro rimpatrio, li insediarono fra i calmucchi.

Tra il 1767 e il 1770 i calmucchi, che avevano mantenuto rapporti con la loro patria d'origine (gli oirati), decisero di migrare verso est a causa del peggioramento delle condizioni di vita. Il Dalai Lama fissò la data di partenza per il 5 gennaio 1771. Circa 31.000 tende partirono alla data stabilita. I numeri di coloro che intrapresero il viaggio sono stati stimati tra le 150.000 e le 400.000 persone, con circa sei milioni di animali[2]. Le misure adottate dai governatori di Astrachan' e Orenburg per impedire l'esodo arrivarono troppo tardi, ma 11.000 tende che si trovavano a ovest del Volga non poterono partire a causa dell'impossibilità di attraversare il fiume. A seguito di questi avvenimenti Caterina II abolì il khanato calmucco.

I calmucchi che erano riusciti a partire attraversarono le regioni dell'Ural e del Turgai, con grandi difficoltà dovute alla scarsità di cibo e di foraggio. Furono poi attaccati dai kazaki di Nurali (Piccolo žüz) e di Ablai Khan (Medio e Grande žüz) e dai kirghizi. Derubati delle loro mandrie, molti morirono di fame e di sete, furono uccisi o ridotti in schiavitù. Solo 66.000-85.000 sopravvissuti riuscirono a raggiungere il fiume Ili, dove ricevettero il sostegno della Cina della dinastia Qing, che assegnò loro dei pascoli nella regione del fiume Ruo Shui[2]. Ai capi calmucchi fu ordinato di recarsi a Jehol (attuale Chengde), dove furono ricevuti con onore dall'imperatore Qianlong. Nel 1774 e nel 1790, i capi calmucchi (tra i quali il figlio Ubashi) fecero piani, mai realizzati, per tornare sul Volga.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Perdue, 2009, p. 295.
  2. ^ a b DeFrancis, 1993.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Controllo di autoritàVIAF (EN71208849 · ISNI (EN0000 0000 4744 3301 · LCCN (ENno2008114968 · WorldCat Identities (ENlccn-no2008114968
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