Trono d'oro di Tutankhamon

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Trono d'oro di Tutankhamon
Autoresconosciuto
Dataca. 1330 a.C.
Materialelegno intagliato, lamina d'oro e d'argento, pietre dure, smalti colorati e faïence
Altezza102 cm
UbicazioneMuseo egizio, Il Cairo

Il trono d'oro di Tutankhamon è uno dei più importanti oggetti fra gli oltre 5000 reperti rinvenuti nella tomba del faraone Tutankhamon. Realizzato nel 1330 a.C., è oggi conservato presso il Museo egizio del Cairo.

La profonda e solida connessione che in quest'opera esiste fra la ricercatezza dei messaggi simbolici e la loro stessa perfezione dal punto di vista artistico, attesta la presenza, dal XIV secolo a.C., di botteghe specializzate che, con i mezzi che la tradizione metteva a loro disposizione, riuscivano a creare opere di elevatissima qualità.[1]

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

Il trono in esposizione

Si tratta di un trono da parata ligneo, accuratamente intagliato e rivestito di lamine dorata e argentea, entrambe sbalzate.[1] L'elevato valore tecnico-artistico di questo oggetto, già prezioso come solo prodotto d'arte orafa,[1] è alimentato dagli inserti di pietre dure e smalti colorati, questi ultimi prodotti con pasta vitrea fusa a caldo, le cui colorazioni vennero determinate dall'aggiunta di ossidi metallici.[1]

Si può dire che questo dorato seggio di legno è un emblema della potenza faraonica,[1] mostrando gli attributi e le virtù dei sovrani egizi, anche se, con grande probabilità, Tutankhamon non vi si accomodò mai.[1]

Schienale[modifica | modifica wikitesto]

L'elemento che più si distingue è il vistoso schienale,[1] in cui vediamo il giovanissimo faraone, seduto verso sinistra, mentre si fa ungere il corpo dalla consorte Ankhesenamon che mantiene nella mano sinistra un recipiente,[2] in un intaglio[2] che mostra una privata scena coniugale che vuole alludere, di proposito, all'intimità dei rapporti famigliari.[1]

Questo specifico riferimento fa comprendere che nonostante Tutankhamon avesse annullato l'operato religioso del suocero,[2] l'arte amarniana, nata, appunto, grazie alla riforma enoteistica di Akhenaton, ancora esercitava influenza.[1][2] La scena dello schienale è stata infatti concepita e realizzata con un grande realismo, nelle naturali posture e nella forma allungata dei crani dei due sposi.[1] È in linea, quindi, con la suddetta rivoluzione artistico-religiosa, che si faceva portatrice di una spudorata ricerca della verità, anche laddove i soggetti da rappresentare avevano parti dalle deformi fattezze.[3][4]

Lo schienale fotografato nel 1923 da Harry Burton

Risentono della riforma artistica amarniana anche i simboli presenti.[2] Non a caso vediamo, sopra le teste di Tutankhamon e della moglie, il disco solare che rappresenta il dio Aton, i cui raggi terminano con una mano ciascuno,[1][2] simboleggiando l'azione che il dio compie nel donare al popolo egizio la famiglia faraonica e, con essa, la civiltà.[1] In corrispondenza dei nasi degli sposi vediamo due ankh, ovvero i simboli egizi della vita,[1] offerti dal disco.

Le carnagioni dei due protagonisti vennero realizzate usando uno smalto rosso-bruno, mentre i luminosi copricapi blu furono dati dall'uso della faïence, ovvero ceramica smaltata, altrimenti detta maiolica.[1] Vennero realizzati con smalti corniola rosso-aranciata, verde malachite e brillante turchese le decorazioni dei collari, mentre per i contorni degli occhi fu impiegato lo smalto nero.[1]

La lamina argentea sbalzata, citata in precedenza, riguarda proprio le vesti[1] cerimoniali[2] del faraone e della regina, anche se in alcune parti fu incisa per dare un migliore effetto del panneggio e delle orlature.[1] Il fatto che fu impiegato l'argento per i dettagli delle vesti aiuta a comprendere la preziosità di questo trono. Infatti, nell'antico Egitto, era molto più raro dell'oro e di disponibilità davvero scarsa.[1]

Dettagli simbolici[modifica | modifica wikitesto]

Altri importanti simboli del potere del monarca sono leggibili nelle ali spiegate dell'avvoltoio e nello scarabeo sormontato dal disco solare, che costituiscono le decorazioni dei braccioli e rispettivamente simboleggiano Nekhbet, dea protettrice del faraone e dell'Alto Egitto, e Khepri, dea del sole mattinale.[1]

Le teste di leone lignee intagliate, ricoperte di lamina dorata e con occhi realizzati in pasta vitrea e pietre dure, sono un riferimento all'invincibilità del faraone, mostrandolo così come una divinità terrena.[1] Presentano delle unghie in lapislazzuli e simboleggiano la solidità morale del faraone e l'autorità che detiene sul territorio del suo regno.[1]

Gli urei coronati col disco solare, invece, di forma ricurva e presenti sul retro del trono, rimandano a Uadjet, dea della regalità e anch'essa protettrice del sovrano, oltre che del Basso Egitto.[1]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r s t u v Giorgio Cricco e Francesco Paolo Di Teodoro, Itinerario nell'arte. Versione verde, 4ª ed., Bologna, Zanichelli, 2021, p. 35.
  2. ^ a b c d e f g Carlo Bertelli, La storia dell'arte. Versione verde, Milano-Torino, Pearson Italia, 2012, p. 27.
  3. ^ Carlo Bertelli, La storia dell'arte. Versione verde, Milano-Torino, Pearson Italia, 2012, p. 26.
  4. ^ Giorgio Cricco e Francesco Paolo Di Teodoro, Itinerario nell'arte. Versione verde, 4ª ed., Bologna, Zanichelli, 2021, p. 31.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Giorgio Cricco e Francesco Paolo Di Teodoro, Itinerario nell'arte. Versione verde, 4ª ed., Bologna, Zanichelli, 2021, pp. 31, 35.
  • Carlo Bertelli, La storia dell'arte. Versione verde, Milano-Torino, Pearson Italia, 2012, pp. 26, 27.

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