Lingua piemontese: differenze tra le versioni

Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Vai alla navigazione Vai alla ricerca
Contenuto cancellato Contenuto aggiunto
Akur (discussione | contributi)
mNessun oggetto della modifica
Riga 158: Riga 158:
[[pms:Piemontèis]]
[[pms:Piemontèis]]
[[pt:Piemontês]]
[[pt:Piemontês]]
[[zh:皮埃蒙特語]]

Versione delle 07:25, 25 dic 2006

[1]

Piemontese
Piemontèis
Parlato inItalia Brasile
RegioniPiemonte eccetto Novarese e VCO
Locutori
Totale~3 milioni
Tassonomia
FilogenesiLingue indoeuropee
 Italiche
  Romanze
   Italo-occidentali
    Occidentali
     Galloiberiche
      Galloromanze
       Galloitaliche
Codici di classificazione
ISO 639-2roa
ISO 639-3pms (EN)
Glottologpiem1238 (EN)

Il Piemontese (nome nativo Piemontèis, codice ISO 639-3 pms) è riconosciuto fra le lingue minoritarie europee fin dal 1981 (Rapporto 4745 del Consiglio d'Europa) ed è inoltre censito dall'UNESCO (Red book on endangered languages) tra le lingue meritevoli di tutela. È una lingua neolatina occidentale, vicina al francese e all'occitano. Inoltre sembra costituire una transizione tra le parlate gallo-italiche dell'Italia del nord e le lingue gallo-romanze.
Si caratterizza per la ricchezza del consonantismo, tanto come del vocalismo, per le sue particolarità morfologiche, sintattiche e lessicali, che lo allontanano in maniera decisa dall'italiano.

Come lingua scritta, il Piemontese si usa fin dal XII secolo, ma una vera koiné si sviluppa solo nel seicento, epoca che vede la nascita di una letteratura a carattere nazionale che tocca poco per volta tutti i generi, dalla lirica al romanzo, alla tragedia, all'epica. Nel Novecento si è sviluppata anche una prosa critica e scientifica di alto livello.
La grafia piemontese si basa sulla tradizione del Settecento; nel Novecento ha goduto di una standardizzazione più precisa e completa, che ha dato un non piccolo contributo alla stabilità e all'unità della lingua, che soffre l'influenza dell'italiano e rischia di scomparire nel corso del XXI secolo, salvo che si intervenga con misure serie per garantirne la sopravvivenza.
La lingua piemontese è di origine neo-latina, ovvero romanza, formata dal latino che si è innestato sull’idioma celto-ligure nel momento dell’occupazione del Piemonte da parte dei Romani, con successivi apporti di vocaboli dal francese, dal provenzale e dalle lingue germaniche. Dalla lingua piemontese derivano, infine, diversi dialetti: il torinese, l'astigiano, il cuneese, l'alessandrino, il vercellese e il biellese.

Caratteristiche morfologiche e sintattiche

  • La frase piemontese affermativa usa obbligatoriamente il pronome verbale (con o senza presenza del pronome personale), il che dà origine ad una struttura grammaticale aliena tanto all'italiano quanto al francese (Mi) i son.
  • Per esprimere i casi locativo e dativo si aggiungono spesso particelle dative e locative ai pronomi verbali I-i son ansima; I-j diso; sebbene la pronunzia non varii la differenza tra locativo i e dativo j viene espressa nella forma scritta.
  • Nelle forme interrogative può essere utilizzata una particella interrogativa enclitica (e in questo caso in genere scompare il pronome verbale) Veus-to deje deuit a sosì?
  • Persiste in piemontese la desinenza sigmatica latina (-S) della seconda persona singolare verbale, che invece cade in italiano:
  • nella desinenza della seconda persona singolare del presente indicativo negli ausiliari e nei verbi irregolari: it ses; it vas; it l’has; it sas.
  • nella desinenza della seconda persona singolare del futuro di tutti i verbi: it cantras; it sernras...
  • nella desinenza della seconda persona singolare di ogni modo e tempo nella costruzione della forma interrogativa con il relativo pronome: it càntës-to?; it fas-to?; it parlàvës-to?...
  • I plurali femminili derivano dall’accusativo latino (come in francese, spagnolo eccetera) non dal nominativo (come in italiano e nei suoi dialetti).
  • Il gruppo latino delle occlusive -CT diventa –it-, come in francese: NOCTEM > neuit; LACTEM > làit.
  • Le consonanti occlusive latine P, T, C, diventano dolci o cadono: FORMICAM > furmìa; APRILEM > avril.
  • Le sillabe latine CE- CI- GE- GI- diventano sibilanti: CINERE > sënner; GINGIVA > zanziva; CENTUM > sent.
  • Salvo alcune eccezioni il singolare e il plurale dei nomi maschili sono identici: ël cit / ij cit; ël prèive / ij prèive.
  • Si usa la ë prostetica (inesistente in italiano) dinanzi a tutte le parole che iniziano per s + consonante o gruppi consonantici difficili, se la parola precedente termina con consonante: sinch ëstèile; quatr ëfnoj; i son ëstàit.
  • La preposizione articolata “nel” seguita dalla data o dall’epoca, si sostituisce con dël: nel 1783 = dël 1783; nel 2002 = dël 2002.
  • La negazione si pone dopo il verbo o l’ausiliare: i mangio nen; i l’hai nen mangià.
  • Nella proposizione comparativa, per esprimere il secondo termine di paragone si usa “che” e non “di”: cost lìber a l’é pì bel che‘l tò.
  • Spesso il pronome viene raddoppiato. Es: mi ha detto = am ha dime.
  • I complementi clitici nei tempi composti si pospongono al verbo: i l’hai faje; a l’ha dijlo.
  • Si preferisce porre il modo finito del verbo (forma esplicita) in luogo dell’infinito: so di scrivere male = i sai ch’i scrivo mal.
  • Esiste un imperativo negativo (assente in italiano, ove si usa la forma infinita) Fa pa lolì!
  • Si adoperano spesso gli infiniti sostantivati in luogo del sostantivo italianizzato: es: il battito del cuore = ël bate dël cheur; una bella parlata = un bel parlé; un’andatura sostenuta = un bel andé.
  • Le forme italiane “sono io, sei tu...” si trasformano in “a l’é mi, a l’é ti...”. Es: sono io che l’ho comprato = a l’é mi ch’i l’hai catalo.
  • In luogo del participio presente (che non esiste) e del gerundio, per evidenziare la continuità dell’azione, si suole adoperare l’espressione “esse ‘n camin che...”. es.: Dove stai andando? = Anté ch’it ses an camin ch’it vas? Il sole morente sul fiume = ël sol an camin ch’a meuir an sla rivera.
  • Le interrogative accompagnate da avverbio o pronome necessitano spesso dell’uso del pronome “che”. Altrettanto gli avverbi e i pronomi delle frasi affermative: chi cha l’é? = chi è?; quand ch’i rivo = quando arrivo; chi ch’a l’ha dimlo = chi me lo ha detto.
  • Quando il futuro è già evidenziato da un complemento di tempo il verbo resta al presente: doman i rivo = domani arriverò.
  • I numerali ordinali si fermano a sest o setim, oltre si usa la forma col che a fa neuv

Grafia e fonologia

L'alfabeto piemontese è costituito da 25 lettere, 4 in più rispetto a quello italiano (ë, j, n- e ò) con cui condivide la maggior parte delle caratteristiche; vi sono 7 vocali (a, e, ë, i, ò, o e u), le restanti lettere sono tutte consonanti; esiste anche il gruppo vocalico eu che è sempre tonico e si pronuncia con suono unico, esattamente secondo la pronuncia francese (es.: reusa, "rosa" in italiano; oppure cheur, "cuore" in italiano; oppure feu, "fuoco" in italiano; oppure cheuse, "cuocere" in italiano).

La pronuncia di ogni lettera è uguale a quella italiana con le seguenti eccezioni:

e senza accento, in sillaba chiusa (cioè in sillaba dove la e è seguita da consonante), si pronuncia aperta (es.: pento, diviso in sillabe pen-to, "pettine" in italiano; oppure mercà, diviso in sillabe mer-cà, "mercato" in italiano), mentre in sillaba aperta (cioè in sillaba che finisce con la e), si pronuncia chiusa (es.: pera, diviso in sillabe pe-ra, "pietra" in italiano; oppure lese, diviso in sillabe le-se, "lèggere" inteso come verbo in italiano);

è con accento grave, ha sempre suono aperto (es.: enèrgic, "energico" in italiano; oppure përchè, perché in italiano e si noti come in piemontese la parola finisce correttamente con accento grave, a differenza dell'italiano dove si scrive con accento acuto; oppure cafè, caffè in italiano), maggiormente aperto rispetto alla pronuncia della e aperta in italiano;
é con accento acuto, ha sempre suono chiuso (es.: , "fare" in italiano; oppure caté, "comprare" in italiano; oppure lassé, "lasciare" in italiano);

ë detta semimuta, ha uno suono stretto, appena pronuciato, simile a quello della pronuncia francese dell'articolo "le" (es.: fërté, "strofinare" in italianto; oppure chërde, "credere" in italiano; oppure fëtta, "fetta" in italiano), viene detta anche tersa vocal piemontèisa, che tradotto in italiano vuol dire "terza vocale del Piemontese";

o senza accento, si pronuncia come la u in italiano (es.: Piemont, "Piemonte" in italiano; oppure conté, "raccontare" in italiano; oppure sol, "sole" inteso come sostantivo in italiano; oppure mon, "mattone" in italiano);

ò con accento grave, si pronuncia come la o aperta in italiano, in piemontese è sempre tonica (es.: dòp, "dopo" in italiano; oppure còla, "colla" in italiano; oppure fòrt, "forte" in italiano);

u senza accento, si pronuncia come la u in francese o come la ü in tedesco (es.: butir, "burro" in italiano; oppure muraja, "muro" in italiano; oppure curt, "corto" in italiano; oppure tuf, "afa" in italiano);

c ha sempre suono dolce davanti ad i oppure e (es.: cel, "cielo" in italiano; oppure ciòca, "campana" in italiano); per rendere il suono duro davanti ad i oppure e si interpone la lettera h (es.: schers, "scherzo" in italiano; oppure chitara, "chitarra" in italiano); davanti alle altre vocali ha sempre il suono duro (es.: còl, "collo" in italiano; oppure cossa, "zucca" in italiano); a fine parole se ha suono duro si aggiunge la lettera h (es.: strach, "stanco" in italiano; oppure rich, "ricco" in italiano), se invece ha suono dolce si raddoppia la c (es.: sbrincc, "spruzzo" in italiano; oppure baricc, "strabico" in italiano), si noti che questo è uno dei quattro casi in cui nel Piemontese si scrivono consonanti doppie, a cui comunque corrisponde la pronuncia di una singola consonante;

g ha sempre suono dolce davanti ad i oppure e (es.: ogetiv, "oggettivo" in italiano; oppure giust, "giusto" in italiano); per rendere il suono duro davanti ad i oppure e si interpone la lettera h (es.: ghërsin, "grissino" in italiano; oppure ghignon, "antipatia" in italiano); davanti alle altre vocali ha sempre il suono duro (es.: gat, "gatto" in italiano; oppure angol, "angolo" in italiano); a fine parole se ha suono duro si aggiunge la lettera h (es.: lagh, "lago" in italiano; oppure borgh, "borgo" in italiano), se invece ha suono dolce si raddoppia la g (es.: magg, "maggio" in italiano; oppure assagg, "assaggio" in italiano), si noti che questo è uno dei quattro casi in cui nel Piemontese si scrivono consonanti doppie, a cui comunque corrisponde la pronuncia di una singola consonante;

j si pronuncia come la i iniziale di "ieri" in italiano (es.: braje, "pantaloni" in italiano; oppure cavej, "capelli" in italiano), ha talora valore etimologico e di solito sostituisce il gruppo gl in italiano (es.: feuje, "foglie" in italiano; oppure fija, "figlia" in italiano);

n può avere due pronunce dentale, come correntemente in italiano, o faucale, cioè con suono nasale simile alla pronuncia della sola n nella parola italiana "fango", il primo sempre quando si trova all'inizio di una parola (es.: nas, "naso" in italiano; oppure nos, "noce" in italiano), il secondo sempre quando si trova alla fine di una parola (es.: pan, "pane" in italiano; oppure can, "cane" in italiano); quando a fine parola si vuole indicare la pronuncia dentale la n viene raddoppiata (es.: ann, "anno" in italiano; oppure pann, "panno" in italiano; oppure afann, "affanno" in italiano), si noti che questo è uno dei quattro casi in cui nel Piemontese si scrivono consonanti doppie, a cui comunque corrisponde la pronuncia di una singola consonante;

n- ha pronuncia esclusivamente faucale, cioè con suono nasale simile alla pronuncia della sola n nella parola italiana "fango", si usa talvolta quando una parola termina con vocale subito dopo una n (es.: lun-a, "luna" in italiano; oppure sman-a, "settimana" in italiano; oppure galin-a, "gallina" in italiano);

s ha suono duro, con pronuncia detta sorda, ad inizio di parola (es.: supa, "zuppa" in italiano; oppure sòco, "zoccolo" in italiano), o dopo consonante in centro di parola (es.: sensa, "senza" in italiano; oppure forsa, "forza" in italiano); ha suono dolce, con pronuncia detta sonora, a fine di parola (es.: nas, "naso" in italiano; oppure tornavis, "cacciavite" in italiano), o tra due vocali in centro di parola (es.: reusa, "rosa" in italiano; oppure frisa, "briciola" in italiano); per le eccezioni di quest'ultimo caso, cioè per avere suono duro a fine parola o tra due vocali, si raddoppia la s (es.: rossa, "rossa" in italiano; oppure fossal, "fosso" in italiano; oppure bass, "basso" in italiano; oppure poss, "pozzo" in italiano), si noti che questo è uno dei quattro casi in cui nel Piemontese si scrivono consonanti doppie, a cui comunque corrisponde la pronuncia di una singola consonante;

z si usa solo per le eccezioni del primo caso della voce prendente, ovvero per una s con suono dolce, o pronuncia detta sonora, in posizione iniziale o postconsonantica (es.: zanziva, "gengiva" in italiano; oppure monze, "mungere" in italiano);

v ha una pronuncia simile alla u della parola italiana "paura", quando si trova in posizione finale di parola (es.: ativ, "attivo" in italiano; oppure luv, "lupo" in italiano; oppure euv, "uovo" in italiano); negli altri casi mantiene la stessa pronuncia della v in italiano (es.: lavé, "lavare" in italiano; oppure savèj, "sapere" in italiano).

Esistono anche gruppi di lettere con specifiche caratteristiche di pronuncia:

s-c si pronuncia con la successione dei due suoni distinti di s e c (es.: s-cet, "schietto" in italiano; oppure s-cianché "strappare" in italiano); tale scrittura sottolinea che in Piemontese non esista il gruppo sc della lingua italiana;

e dittonghi:

ua, ue e ui con a, e ed i toniche, cioè accentate, si pronunciano come in italiano, ovvero con la pronuncia della u come in italiano (es.: quàder, "quadro" in italiano; oppure guèra, "guerra" in italiano; oppure quìndes, "quindici" in italiano);

ùa, ùe, ùi e iù'; con la u tonica, si pronunciano come in piemontese, ovvero con la pronuncia della u come in piemontese (es.: crùa, "cruda" in italiano; oppure sùit, "asciutto" in italiano; oppure fiùsa, "fiducia" in italiano).

Accentazione

Si segna l'accento tonico sulle sdrucciole (stiribàcola), sulle tronche uscenti in vocale (parlè, pagà, cafè), sulle piane uscenti in consonante (quàder, nùmer), sul dittongo ei se la e è aperta (piemontèis, mèis), sul gruppo ua quando la u vale ü (batüa), e su gruppi di i più vocale alla fine di una parola (finìa, podrìo, ferìe). L'accento si segna anche in pochi altri casi isolati dove non occorrerebbe per regola o per indicare eccezioni (tèra, amèra dove la e di sillaba aperta dovrebbe essere chiusa mentre è aperta) e può facoltativamente segnarsi sulla e delle finali -et, -el per indicarne il grado di apertura (bochèt, lét). L'accento serve inoltre a distinguere alcune coppie di omografi (sà =verbo, sa "questa", là= avverbio, la = articolo).

Grammatica

Articolo

Di solito posto davanti ad un sostantivo, talvolta aiuta a definirlo per caso o genere; può essere determinativo o indeterminativo, maschile o femminile, singolare o plurale.

Tipo Genere Caso Articolo Esempi
Determinativi Maschile Singolare ël ('l)
lë (l')
ël can; ciamé'l can
lë scolé; l'aso
Plurale ij ('j)
jë (j')
ij can; ciamé'j can
jë scolé; j'aso
Femminile Singolare la
(l')
la farfala; la stòria
l'ungia
Plurale le
(j')
le farfale; le stòrie
j'unge
Indeterminativi Maschile Singolare un ('n)
në (n')
un can; ciamé'n can
në scolé; n'aso
Plurale ëd ('d)
dë (d')
ëd can; ciamé'd can
dë scolé; d'aso
Femminile Singolare una
na (n')
na farfala
na stòria; n'ungia
Plurale ëd ('d)
dë (d')
ëd farfale; ciapé'd farfale
dë stòrie; d'unge

Collegamenti esterni


Template:NavPiemonte

  1. ^ Riconoscendo l'arbitrarietà delle definizioni, nella nomenclatura delle voci viene usato il termine "lingua" in accordo alle norme ISO 639-1, 639-2 o 639-3. Negli altri casi, viene usato il termine "dialetto".