Lubiąż

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Lubiąż
frazione
Lubiąż – Stemma
Lubiąż – Veduta
Lubiąż – Veduta
Abbazia cistercense di Lubiąż
Localizzazione
StatoBandiera della Polonia Polonia
Voivodato Bassa Slesia
Distretto Wołów
ComuneWołów
Territorio
Coordinate51°16′N 16°29′E / 51.266667°N 16.483333°E51.266667; 16.483333 (Lubiąż)
Abitanti2 300 (2006)
Altre informazioni
Cod. postale56-110
Prefisso(+48) 71
Fuso orarioUTC+1
TargaDWL
Cartografia
Mappa di localizzazione: Polonia
Lubiąż
Lubiąż

Lubiąż (tedesco Leubus) è una frazione del comune di Wołów, del distretto omonimo, del voivodato della Bassa Slesia (Polonia sud-occidentale). Si trova approssimativamente 14 km a sud-ovest di Wołów e 42 km ad ovest del capoluogo regionale, Breslavia. Sorge sulla riva orientale del fiume Oder. Ha una popolazione di 2.300 abitanti.

La frazione è nota principalmente per la sua grande abbazia. Essa fu costruita dai Benedettini nel 1150 e occupata dai Cistercensi nel 1163 e fino al 1810.[1] Costruita nel corso di secoli, l'abbazia – la più grande abbazia cistercense del mondo – è classificata nella classe più alta ("0") dei punti di riferimento del patrimonio culturale dell'umanità.

Lubiąż è nota in Polonia anche per il suo ospedale psichiatrico regionale.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'abbazia

La frazione si trova presso uno dei più antichi attraversamenti fluviali della Slesia. Questo attraversamento era protetto da un castello, che fu probabilmente distrutto nel 1108, e popolato da Polacchi,[2] che vivevano in un mercato chiamato Lubies, che fu documentato nel 1175.[3] Dall'XI secolo appartenne a vari principati slesiani governati da duchi del ramo slesiano della dinastia Piast.

Lo Irrenheil-Anstalt Leubus nel 1870

A metà del XII secolo un'abbazia fu fondata sul luogo del precedente castello. Le fonti discordano sulla data e la natura esatta della fondazione. Mentre alcune fonti asseriscono che il monastero fu fondato intorno al 1150 dai Benedettini e subito dopo passato ai Cistercensi, altre sostengono che il monastero fu fondato dai Cistercensi intorno al 1163. L'atto di fondazione fu ratificato nel 1175 da Boleslao I l'Alto, che scelse l'abbazia come luogo di sepoltura per lui e la sua dinastia. Il monastero fu colonizzato da monaci cistercensi provenienti da Pforta nel Margraviato di Meißen,[4] rifugio di Boleslao durante il suo soggiorno in Germania.[5] Nello stesso documento il duca permetteva al monastero di colonizzare il suo territorio con Tedeschi e di escluderli dalla legge polacca, facendone il primo liogo dell'Ostsiedlung in Slesia.[6] La cittadina tedesca di Leubus[7] fu fondata sul luogo del precedente mercato polacco,[7] il luogo germanizzato[6] e ricevette la legge comunale tedesca nel 1249.[7]

La regione passò alla Corona di Boemia nel 1329 e diventò così parte del Sacro Romano Impero. Il 30 giugno 1432 gli Hussiti invasero la frazione, devastando e bruciando il monastero. Nel XVII secolo l'area fu pesantemente colpita dalla Guerra dei trent'anni. Nel 1632 fu saccheggiata dai Sassoni e nel 1639 fu occupata dalle forze svedesi. Nel 1740 la Slesia (e così Leubus) passò dall'Austria al Regno di Prussia. La legge municipale fu perduta nel 1740 e irrevocabilmente nel 1844. Dal 1871 fino al 1945 Leubus appartenne all'Impero tedesco, alla Repubblica di Weimar e infine alla Germania nazista. Passò poi alla Polonia insieme al resto della Slesia (vedi Cambiamenti territoriali della Polonia dopo la seconda guerra mondiale). Gli abitanti tedeschi furono espulsi,[senza fonte] la frazione ripopolata dai Polacchi e rinominata Lubiąż.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Leubus, in Catholic Encyclopedia, New York, Robert Appleton Company, 1913.
  2. ^ Hugo Weczerka, Handbuch der historischen Stätten - Schlesien, Alfred Kröner Verlag, Stoccarda, 2003, p. 279.
  3. ^ Heinrich Adam, Die schlesischen Ortschaften - ihre Entstehung und Bedeutung, Verlag von Pribatsch Buchhandlung, Breslavia, 1888, p. 9.
  4. ^ Weczerka, p. 277.
  5. ^ Norbert Conrads, Deutsche Geschichte im Osten Europas: Schlesien, Siedler Verlag, Berlino, 1994, p. 61.
  6. ^ a b Conrads, p. 115.
  7. ^ a b c Weczerka, p. 279.

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