Hercules (1655)

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Hercules
Descrizione generale
Tiponave mercantile
Cantierecantiere navale di Zaandam
Varo1655
Entrata in servizio1655
Destino finalepersa per naufragio il 2 luglio 1659
Caratteristiche generali
Dislocamento540[1]
dati tratti da Galle. A Port City in History[2]
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La East Indiaman Hercules era una nave mercantile olandese, andata persa per naufragio il 20 maggio 1661 nella nel porto di Galle, a Ceylon, dopo aver urtato una roccia sommersa vicino a Closenburg.[3]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La East Indiaman Hercules fu costruita a Zaandam nel 1655, per la Compagnia olandese delle Indie orientali.[4] Si trattava di uno yacht appositamente costruito per percorrere le rotte regionali all'interno dell'Asia.[2] In quello stesso anno salpò per l'Asia rimanendo in quella regione fino a quando non andò persa sei anni dopo.[2]

La mattina presto del 22 maggio 1661, una piccola flotta di quattro navi era pronta a salpare dalla baia di Galle, nello Sri Lanka, per raggiungere Batavia.[5] Si trattava delle navi Elburg, Tholen, Angelier ed Hercules che stavano aspettavano da alcuni giorni il vento favorevole a prendere il largo.[6] Quella mattina le condizioni sembravano essere favorevoli, e il più alto funzionario della VOC in città, il comandante IJsbrand Godske, doveva dare il segnale per la partenza delle navi.[6] All'epoca altri due funzionari della Società, che ricoprivano una posizione superiore a Godsken, vale a dire Rijcklof van Goens e Adriaan van der Meijden, erano a Galle.[6] Alle sei del mattino Godsken fece il giro per informare entrambi dell'imminente partenza delle navi.[6] Il sovrintendente Van Goens approvò la decisione e Godsken poi si recò alla casa di Van der Meijden, il governatore di Ceylon, ma era ancora a letto e Godsken non poté parlargli.[6] Per evitare di perdere tempo Godsken decise, in consultazione con l'ammiraglio Adrian Roothaes, di far salpare le quattro navi.[6]

All'arrivo alla spiaggia fu chiarito alle navi che potevano alzare le ancore e che un pilota portuale le avrebbe portate al sicuro fuori dalla pericolosa baia di Galle.[6] In quell'area vi erano diverse barriere coralline nascoste appena sotto la superficie dell'acqua, e le navi che entravano o uscivano dal porto dovevano avere un pilota portuale al timone.[2]

Dopo che il flute Elburg e lo yacht Tholen erano stati condotti senza problemi fuori dalla baia, il pilota Bastiaen Andriesz tornò e si preparò a portare gli yacht Hercules e Angelier fuori dalla baia insieme.[7] Un testimone oculare a bordo dell'Angelier raccontò le fasi del naufragio:

«Quando l'equipaggio dell'Angelier ebbe levato l'ancora ed era impegnato a alzare le vele, all'improvviso un forte vento al traverso colpì la nave. Riuscimmo a riallacciare le vele e a gettare l'ancora. Sull'Hercules invece, a mezzo colpo di pistola da noi, le cose sono andate storte. Ho visto che la fune dell'ancora era rotta. Questo mi sembrò strano, dato che questa fune non era malconcia e nessun'altra nave nella baia in quel momento aveva lo stesso problema. Tentarono comunque di gettare la seconda ancora, ma in questo caso l'estremità della fune non era fissata all'albero e persero anche la seconda ancora. Senza ancore la nave era ormai in balia degli elementi. La prua della nave virò in direzione della terraferma e pochi istanti dopo si frantumò sugli scogli.[2]»

Dopo il disastro, il pilota venne interrogato e spiegò che il vento al traverso colpì la nave mentre stavano salpando l'ancora; nel panico che ne seguì, la fune dell'ancora si incastrò tra la nave e il timone, con un risultato catastrofico.[2] L'intero carico andò perso: 1700 pacchetti di cannella fine e un carico di riso.[2] La perdita dello Hercules fu un duro colpo per la Verenigde OostIndische Compagnie, tanto che fu avviata una indagine interna per accertare l'esatta causa del disastro.[6] Alla fine dell'indagine lo skipper 'Hercules fu ritenuto responsabile del danno e dovette pagare le spese.[6]

Con il nuovo piano di sviluppo del porto di Galle si rese necessaria una Valutazione di Impatto Archeologico.[7] Il Dipartimento di Archeologia condusse questa AIA (Archaeological Impact Assessment) con lo speciale aiuto del Western Australian Maritime Museum.[7] Il compito venne svolto dal MAU e la baia di Galle è stata completamente rilevata utilizzando un sonar a scansione laterale e un magnetometro a protoni.[8] I siti archeologici trovati durante il progetto del porto di Galle sono stati nuovamente esaminati e registrati. Sono stati registrati i confini esatti dei siti e i dettagli archeologici e ambientali[7]. Il sito VOC Hercules (1661), indicato come Sito F nei piani di rilevamento del Galle Harbour Project (1998), è stato accuratamente rilevato e mappato nuovamente.[7] In questo sito sono stati trovati cannoni di ferro, la campana della nave e pochi altri manufatti.[7] Quattro nuovi cannoni sono stati trovati da questo sondaggio oltre ai 31 cannoni trovati proprio in questo sito durante il sondaggio del 1992.[9] Tutti i cannoni sono stati numerati e tracciati su una mappa utilizzando un GPS.[7] La maggior parte di loro sono stati trovati adagiati sulle rocce.[7] Molte concrezioni e proiettili di cannone sono stati trovati vicino ad alcuni dei cannoni.[7] È stato effettuato un piccolo scavo di prova vicino al confine sud-ovest del sito, proprio sul bordo delle rocce. [7] La fossa di scavo è stata indagata vicino al grappolo di cannoni e ad alcune concrezioni con palle di cannone.[7] L'obiettivo era quello di scoprire eventuali resti del relitto sotto gli strati di sabbia.[7] Lo scavo è proseguito verso mare per pochi metri ma non sono state trovate parti in legno o resti oltre alle concrezioni.[7]

Note[modifica | modifica wikitesto]

Annotazioni[modifica | modifica wikitesto]


Fonti[modifica | modifica wikitesto]

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • (EN) Wendy van Duivenvoorde, Dutch East India Company Shipbuilding: The Archaeological Study of Batavia and Other Seventeenth Century VOC Ships, College Station, Texas A&M Unioversity Press, 2015.
  • (EN) Sjoerd J. van der Linde, Monique H. van der Dries, Nathan Schlanger e Corijanne G. Slappendel, European Archaeology Abroad: Global Settings, Comparative Perspectives, leiden, Sidestone Press, 2012.
  • (EN) Robert Parthesius (a cura di), Excavation report of the VOC-ship Avondster (1659), n. 1, Centre for International Heritage Activities, 2007, ISBN 978-90-79062-01-0.
  • (EN) Robert Parthesius, Dutch Ships In Tropical Waters: The Development of the Dutch East India Company (VOC) Shipping Network in Asia 1595-1660, Amsterdam, Amsterdam University Press, 2010.
  • (EN) Robert Parthesius e Jonathan Sharfman, Maritime and Underwater Cultural Heritage Management on the Historic and Arabian Trade Routers, Cham, Springer, 2020.
Periodici
  • (EN) Jeremy Green e Robert Parthesius, Galle. A Port City in History (PDF), n. 2, Australian National Centre for Excellence in Maritime Archaeology, 15 november 1997.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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