Eccellenza (trattamento)

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Il trattamento di eccellenza è un trattamento di antica origine, adottato dalle consuetudini e convenzioni protocollari in campo amministrativo, giudiziario, politico-militare, religioso e nobiliare di numerosi paesi.

Esso è utilizzato in presenza delle cariche cui è rivolto con l'espressione "vostra eccellenza", "sua eccellenza", le "loro eccellenze" e, per gli stranieri ed in ambiente diplomatico, "Your Excellency". Il trattamento, nelle comunicazioni scritte, viene normalmente abbreviato con "V.E." o "S.E." o "Y.E.".[1] È nota anche la variante ecclesiastica "sua eccellenza reverendissima" per vescovi e arcivescovi.

Generalità

Nel cerimoniale diplomatico, si riserva tale trattamento agli ambasciatori residenti. L'appellativo è anche utilizzato, nelle cerimonie ufficiali, per rivolgersi ad un capo di Stato o ad un ministro.[2][3]

Nella tradizione nobiliare, il trattamento di eccellenza veniva riconosciuto dal sommo pontefice e dai sovrani ai capi delle più importanti casate, talora ad alcune consorti, al principe assistente al Soglio pontificio ed a numerosi altri componenti della corte pontificia.

Nella Chiesa cattolica, il trattamento di eccellenza è inoltre riservato ai vescovi ed arcivescovi, eccezione fatta per i cardinali, i quali hanno diritto al trattamento di eminenza. Va precisato che tali trattamenti vanno accompagnati dall'aggettivo "reverendissima".

Lo stesso argomento in dettaglio: Vescovo § Appellativi.

La normativa in Italia

Il trattamento in Italia è ancora utilizzato per i prefetti in sede; inoltre, è tradizione riservare tale trattamento al primo presidente e al procuratore generale della Cassazione, ai presidenti delle Corti di Appello ed ai procuratori generali.

L'assegnazione del trattamento venne disciplinata dal R.D. 16 dicembre 1927, n. 2210: l'art. 4 del decreto statuiva infatti che i personaggi compresi nelle prime quattro categorie dell'ordine delle precedenze

«...rivestono la dignità di grandi Ufficiali dello Stato ed hanno il titolo di Eccellenza.»

Sulla base di questa normativa beneficiarono del privilegio anche i presidenti delle Corti di Appello, i gradi vertice (compresi generali di corpo d'armata, generali di squadra aerea e ammiragli di squadra) delle forze armate, i prefetti in sede ed il capo della Polizia. In conseguenza, il trattamento entrò nella prassi sino a quando il D.L.Lgt. 28 giugno 1945, n. 406 ne stabilì l'abolizione con questa frase:

«il titolo di Eccellenza, attribuito con RD 16.XII.1927, n. 2210 e successive modificazioni e integrazioni, è abolito.»

Tale decreto, però, non fu mai convertito in legge: ciò diede adito a comportamenti diversi per cui la Presidenza del Consiglio diramò la Circ. 23.V.1950 n. 39568 con la quale precisava che il titolo era stato abolito con il D.L.Lgt. del 1945 e che comunque il trattamento di eccellenza non veniva menzionato negli atti ufficiali dello Stato.

Ovviamente la circolare non ottenne alcun effetto chiarificatore, lasciando invariata l'anomalia di una legge mai abrogata, sostituita in pratica da una circolare: oggi non sbaglia giuridicamente né chi conferisce o accetta tale trattamento né chi, uniformandosi alla circolare del 1950, ignora sotto qualsiasi forma tale appellativo.[4]

Nel 1996 uno scritto del ministro dell'Interno di allora, Giorgio Napolitano, impartì al riguardo disposizioni precise concernenti la stesura di proprie lettere: l'uso di S.E. non poteva essere rivolto a giudici e prefetti.

Correttamente, possono essere appellati "eccellenza" gli ambasciatori titolari di ambasciate, i vescovi, e i sommi gradi dell'Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme e del Sovrano Militare Ordine di Malta.

Uso ecclesiastico

Per effetto del decreto Sanctissimus della Sacra Congregazione del Cerimoniale del 31 dicembre 1930[5] la Santa Sede concesse ai vescovi cattolici il trattamento di "Eccellenza Reverendissima" (in latino Excellentia Reverendissima). Negli anni successivi alla Prima guerra mondiale il trattamento di "Eccellenza", proprio degli ambasciatori e già dato ai nunzi apostolici era già stato riferito ai vescovi. L'aggettivo "Reverendissima" serviva a distinguere il titolo ecclesiastico dal titolo di "Eccellenza" dato a personalità civili.

L'istruzione Ut sive sollicite della Segreteria di Stato della Santa Sede del 31 marzo 1969, rese opzionale l'aggettivo "Reverendissima" e confermò il trattamento di "Eccellenza" per i vescovi, per il decano del Tribunale della Rota Romana, per il segretario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica e per il vicecamerlengo.[6]

Secondo la lettera del decreto del Sanctissimus del 31 dicembre 1930, anche ai patriarchi era riservato il trattamento di "eccellenza reverendissima", ma in pratica la Santa Sede continuò a rivolgersi a loro con il trattamento di "beatitudine", che fu formalmente sanzionato con il motu proprio Cleri sanctitati del 2 giugno 1957.[7]

Note

  1. ^ In apertura di lettera, sulla base dei rapporti intercorrenti tra chi scrive ed il destinatario, si potrà esordire con appellativi quali: "Eccellenza", o "Cara eccellenza", o "Gentile eccellenza", ovvero si potrà ricorrere ad un titolo accademico magari più gradito all'interessato
  2. ^ Ad esempio, il protocollo della Santa Sede e quello del gran magistero del SMOM prevedono l'uso del trattamento per i Capi di Stato in visita al sommo pontefice ed al principe sovrano e gran maestro
  3. ^ ampl. cfr. Cassani Pironti, F., Ordini in ordine, Laurus Robuffo, Roma, 2004, pag. 127 ss.
  4. ^ Santantonio, M., Il cerimoniale nelle pubbliche relazioni, Gesualdi ed., Roma, 1998,
  5. ^ (LA) Decreto Sanctissimus, AAS 23 (1931), p. 22
  6. ^ (LA) Istrizione Ut sive sollicite, AAS 61 (1969), p. 334
  7. ^ (LA) Motu proprio Cleri sanctitati can. 283, § 1, n. 10, AAS 49 (1957), p. 443

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