Assassinio di Mahatma Gandhi

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L'assassinio di Mahatma Gandhi avvenne il 30 gennaio 1948 a Nuova Delhi presso la Birla House, oggi conosciuta come Gandhi Smirti. Il colpevole fu Nathuram Godse, un nazionalista indù membro del partito estremista Hindu Mahasabha e miliziano della Rashtriya Swayamsevak Sangh, gruppo paramilitare fondato sull'ideologia hindutva.[1]

Monumento che segna il luogo in cui è stato ucciso Mahatma Gandhi

Mohāndās Karamchand Gāndhī dedicò la sua vita al Movimento d'indipendenza indiano contro il Raj Britannico, attraverso la pratica del Satyāgraha cioè la lotta nonviolenta, da sempre principio cardine del gandhismo. Fu quindi precursore del movimento Quit India, la disobbedienza civile nei confronti del governo coloniale attuata durante gli anni della Seconda guerra mondiale.[2] Inoltre Gandhi aveva da sempre aperto al dialogo con i musulmani, ribadendo la necessità di una stretta collaborazione tra tutti i gruppi etnoreligiosi dell'India.

Tali posizioni ideologiche incontrarono l'opposizione dell'estrema destra, i cui obiettivi erano la creazione dell'Hindustan unito (Akhand Bharat) e il progetto della sfera di influenza della Grande India.[3][4] Tra i fondamentalisti indù che avversavano la filosofia di Gandhi si annoveravano gli affiliati della Rashtriya Swayamsevak Sangh, all'epoca capeggiati dal leader Madhav Sadashivrao Golwalkar, un simpatizzante del nazifascismo. Appartenente alla RSS, nel 1944 Nathuram Godse tentò già per ben due volte di assassinare il "padre della nazione". Tuttavia si dice che durante gli anni scolastici Godse nutrisse un profondo rispetto per Gandhi, tantoché nel 1930 prese parte addirittura al suo movimento di disobbedienza civile. Venuto poi in contatto con gli ideali nazionalisti di Vinayak Damodar Savarkar, sviluppò un forte risentimento nei confronti del leader pacifista.[5] Nel maggio del '44 il nazionalista radunò un gruppo di fanatici che cercarono di assassinare il leader spirituale, tuttavia gli attentatori furono fermati dalla folla e dovettero scappare. Il secondo tentativo fu intrapreso nel mese di luglio a Panchgani, una località di montagna vicino a Pune dove Gandhi si trovava in convalescenza dopo aver contratto la malaria. Durante un incontro di preghiera serale, Nathuram Godse si precipitò verso Gandhi brandendo un pugnale. L'attentatore fu sopraffatto e disarmato da alcuni presenti, mentre gli altri giovani fondamentalisti che lo accompagnavano fuggirono. L'attacco di Godse causò un leggero panico nell'incontro di preghiera, ma Gandhi rimase calmo. Egli chiese a Godse di trascorrere otto giorni con lui in modo che i due potessero discutere e capirsi. Godse tuttavia rifiutò l'invito e fu libero di andarsene poiché la sua magnanima vittima decise di non sporgere denuncia. A partire dal 1934 furono altri cinque i casi in cui varie persone tentarono di nuocere alla vita di Gandhi. L'ultimo tentativo fallito si verificò appena dieci giorni prima dell'effettivo assassinio da parte di Godse, quando una bomba esplose a pochi metri dal punto in cui Gandhi sedeva mentre stava conducendo un incontro di preghiera.[6][7]

Il 30 gennaio 1948 intorno alle ore 17:15, Gandhi e le sue due nipoti lasciarono Birla House, con l'intento di condurre i suoi fedeli a una vicina pagoda estiva in cui spesso indiceva le sue preghiere serali. Nathuram Godse si avvicinò al fragile politico, debilitato dal lungo periodo di digiuno autoimpostolo, poi sparò tre colpi a distanza ravvicinata da un revolver di piccolo calibro che nascondeva tra le mani. Gandhi venne colpito nella parte superiore della coscia, all'addome e nel petto. Mentre cadeva a terra, Gandhi si portò una mano alla fronte eseguendo il gesto indù del perdono. Il maestro fu rapidamente ricondotto alla Birla House e adagiato su un divano, con la testa appoggiata sulle ginocchia della nipote Mani. Fu proprio lei che pochi minuti dopo si vide costretta a comunicare alla folla la terribile notizia della morte di Gandhi.[8] Immediatamente dopo l'omocidio, Godse tentò di spararsi ma non ci riuscì, fu quindi preso e portato via dalla polizia mentre la folla indignata minacciava di linciarlo. Nel frattempo, il corpo di Gandhi fu disteso sulla terrazza dell'edificio, avvolto in un telo di cotone bianco che lasciava scoperto il suo volto. Un singolo riflettore era puntato sul cadavere mentre tutte le altre luci vennero spente. Poco più tardi alla radio il primo ministro indiano Pandit Nehru annunciò all'intera nazione quanto accaduto, gettando nello sconforto centinaia di milioni di persone.[9]

Il corteo funebre di Gandhi

Con la rapida diffusione riguardo la notizia dell'assassinio di Gandhi, violente rivolte scoppiarono in tutto il Paese, soprattutto a Mumbai dove la situazione divenne critica. Intanto Nehru dichiarò una giornata di lutto nazionale. I giornali di tutto il mondo riportarono la sconvolgente notizia, mentre i maggiori leader espressero la loro tristezza per l'accaduto.[10]

Il rogo funebre di Gandhi si tenne già sabato 31 gennaio e tra le ceneri fu rinvenuto anche un proiettile. Il 12 febbraio le ceneri del Mahatma furono infine disperse nel Gange alla presenza di due milioni di seguaci. Intanto venne scoperto un complotto degli estremisti indù per eliminare anche il premier Nehru. Si registrarono così arresti di massa tra gli esponenti del partito Mahasabha. Si trattava quindi di un’operazione complessa e molto ben organizzata che non avrebbe previsto soltanto l’assassinio di Gandhi, ma aspirava probabilmente a concretizzare un colpo di Stato, che avrebbe portato i nazionalisti indù al potere con la conseguente istituzione di un regime dittatoriale e violenti pogrom anti-islamici diffusi in tutta l'India.[11]

Nathuram Godse durante il processo per l'assassinio di Gandhi

Godse non negò mai di aver ucciso Gandhi, si rifiutò di fornire prove a sua discolpa, asserì di non essere pentito di quanto compiuto ed espose il proprio movente in una lunga deposizione. Egli sosteneva che il massacro e la sofferenza procurati durante la Guerra indo-pakistana del 1947-1948 che causò la scissione del Pakistan avrebbero potuto essere evitati se Gandhi e il governo indiano avessero agito per fermare l'uccisione dei fedeli indù e sikh. Affermò inoltre che il governo indiano rivide la sua decisione politica dopo che Gandhi digiunò per fare pressione sulle autorità affinché effettuasse l'ultimo pagamento al Pakistan, precedentemente congelato a causa del Conflitto del Kashmir. Difatti Godse riteneva che Gandhi dovesse essere ritenuto il "padre" del Pakistan piuttosto che dell'india. Infine affermò che fosse necessario rimuovere il leader pacifista dal panorama politico affinché l'India potesse cominciare a prendersi cura dei propri interessi nazionali.[12]

La corte speciale chiamata a giudicare il caso fu costituita il 4 maggio 1948. La registrazione delle dichiarazioni dell'imputato iniziò l'8 novembre e proseguì fino al 22 dello stesso mese. Nella sua dichiarazione scritta composta da ben novantadue pagine, che ebbe la possibilità di leggere ad alta voce, Godse si prese la piena responsabilità dell'atroce delitto e negò il coinvolgimento di qualsiasi altro imputato nella cospirazione per uccidere Gandhi. La sua dichiarazione risultò più simile a un attacco ideologico ai principi e ai valori di Gandhi che una dichiarazione di difesa. Benché si sia assunto la completa colpevolezza del crimine commesso, furono posti sotto processo anche Vinayak Damodar Savarkar, Narayan Apte a altri cinque nazionalisti, con l'accusa di aver progettato l'omicidio insieme a Godse.[13] La storica sentenza fu emessa il 10 febbraio 1949, Savarkar fu infine scagionato per insufficienza di prove dirette a suo carico. Fu stabilito chiaramente che invece Nathuram Godse è colpevole di aver causato intenzionalmente e consapevolmente la morte di Gandhi. Non furono indicate circostanze attenuanti che avrebbero potuto agire a suo favore. Gli altri quattro imputati: Vishnu Karkare, Madanlal Pahwa, Shankar Kistayya e Gopal Godse; furono condannati all'ergastolo. Godse e Apte furono invece condannati alla pena di morte. La loro esecuzione venne messa in atto il 15 novembre 1948 presso la prigione di Ambala, nell'attuale Stato federato di Haryana.[14]

  1. ^ Uccisione della "Grande Anima", su lnx.itcsbt.it.
  2. ^ Gli ideali di Gandhi, su geopop.it.
  3. ^ Il dissenso degli ultranazionalisti, su internazionale.it.
  4. ^ Akhand Bharat e Grande India, su carnegieendowment.org.
  5. ^ L'odio di Godse, su livemint.com.
  6. ^ Attentati falliti, su mkgandhi.org.
  7. ^ Gandhi e Godse, su legionmagazine.com.
  8. ^ Esecuzione del delitto, su britannica.com.
  9. ^ Sviluppi immediati, su historytoday.com.
  10. ^ Prime reazioni, su history.com.
  11. ^ I giorni successivi, su corriere.it.
  12. ^ Il movente, su testbook.com.
  13. ^ Savarkar: avversario politico di Gandhi, su openthemagazine.com.
  14. ^ Il processo, su cjp.org.in.

Voci correlate

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