Arcieparchia di Tripoli dei Maroniti

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Arcieparchia di Tripoli dei Maroniti
Archieparchia Tripolitana Maronitarum
Chiesa maronita
 
ArcieparcaYoussef Antoine Soueif
Presbiteri170, di cui 116 secolari e 54 regolari
887 battezzati per presbitero
Religiosi60 uomini, 140 donne
 
Battezzati150.800
StatoLibano
Parrocchie126
 
ErezioneXVII secolo
Ritorito antiocheno
IndirizzoRue Al-Moutran, Karm Sada, B.P. 104, Tripoli, Liban
Dati dall'Annuario pontificio 2023 (ch · gc)
Chiesa cattolica in Libano

L'arcieparchia di Tripoli dei Maroniti (in latino: Archieparchia Tripolitana Maronitarum) è una sede della Chiesa maronita in Libano. Nel 2022 contava 150.800 battezzati. È retta dall'arcieparca Youssef Antoine Soueif.

Territorio[modifica | modifica wikitesto]

L'arcieparchia estende la sua giurisdizione sui fedeli maroniti nella parte nord-occidentale del Libano.

Sede arcieparchiale è la città di Tripoli nel Libano, dove si trova la cattedrale di San Michele.

Il territorio è suddiviso in 126 parrocchie.

Storia[modifica | modifica wikitesto]

La sede risale al XVII secolo.

L'arcieparchia fu eretta canonicamente nel sinodo maronita del Monte Libano del 1736. Inizialmente comprendeva tutto il territorio costiero da Tripoli a Laodicea.

Nel 1840 acquisì una decina di villaggi, sottratti da Propaganda Fide all'eparchia di Gibail e Botra.

Il 16 aprile 1954 cedette i territori che si trovavano in Siria a favore dell'erezione dell'amministrazione apostolica di Laodicea (in seguito divenuta eparchia di Laodicea).

Cronotassi dei vescovi[modifica | modifica wikitesto]

Si omettono i periodi di sede vacante non superiori ai 2 anni o non storicamente accertati.

  • Isacco † (25 marzo 1629 ordinato - ? deceduto)
  • Mikhaïl Hasrouni † (prima del 1661 - dopo il 1673)
  • Gabriel †
  • Youssef Bin Barbour Assem’ani al Hasrouni † (prima del 1675 - 11 dicembre 1695 deceduto)
  • Yaaqoub Awwad el-Hasrouni † (1698 - 21 febbraio 1706 confermato patriarca di Antiochia)
  • Elias El Gemayel † (1706 - 1716 deceduto)
  • ...
  • Basilio † (prima del 1733 - dopo il 1736)
  • Germano † (menzionato nel 1746)[1]
  • Tobie El-Khazen † (1755 - 28 marzo 1757 confermato patriarca di Antiochia)
  • ...
  • Raffaele Haklani † (prima del 17 luglio 1779 - dopo il 1787)
  • Ignazio Gazeno † (prima del 1795 - dopo il 1809)
  • Youssef Hobaish † (30 gennaio 1820 consacrato - 3 maggio 1824 confermato patriarca di Antiochia)
  • Paul Moise Musa † (2 marzo 1826 - ?)
  • Youssef El-Khazen † (1830 - 19 gennaio 1846 confermato patriarca di Antiochia)
  • ...
  • Estephan Auad (Stefano Evodio) † (15 dicembre 1878 - gennaio 1908 deceduto)
  • Antoun Arida † (7 giugno 1908 - 13 marzo 1933 confermato patriarca di Antiochia)
  • Antoine Abed † (23 aprile 1933 - 15 settembre 1975 deceduto)
  • Antoine Joubeir † (4 agosto 1977 - 2 luglio 1993 ritirato)
  • Gabriel Toubia † (2 luglio 1993 - 6 aprile 1997 deceduto)
  • Youhanna Fouad El-Hage † (7 giugno 1997 - 4 maggio 2005 deceduto)
  • Georges Bou-Jaoudé (Aboujaoudé), C.M. † (28 dicembre 2005 - 1º novembre 2020 ritirato)
  • Youssef Antoine Soueif, dal 1º novembre 2020

Statistiche[modifica | modifica wikitesto]

L'arcieparchia nel 2022 contava 150.800 battezzati.

anno popolazione presbiteri diaconi religiosi parrocchie
battezzati totale % numero secolari regolari battezzati per presbitero uomini donne
1950 77.000 1.330.000 5,8 136 120 16 566 47 64 135
1969 135.000 ? ? 156 116 40 865 63 136 93
1978 190.000 ? ? 210 119 91 904 115 45 124
1990 97.316 ? ? 101 93 8 963 8 51 125
1999 100.000 ? ? 141 105 36 709 46 132 124
2000 100.000 ? ? 153 113 40 653 49 130 120
2001 100.500 ? ? 152 108 44 661 52 162 122
2002 100.350 ? ? 153 113 40 655 50 162 122
2003 101.350 ? ? 145 95 50 698 56 162 122
2004 101.350 ? ? 171 118 53 592 59 167 122
2009 139.300 ? ? 180 120 60 773 66 140 125
2014 147.800 ? ? 190 130 60 777 66 140 126
2017 147.800 ? ? 191 131 60 773 66 140 126
2020 147.800 ? ? 189 129 60 782 66 140 126
2022 150.800 ? ? 170 116 54 887 60 140 126

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Breve Non possumus in: Iuris pontificii de propaganda fide, vol. III, p. 289.

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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