Achille Starace

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Achille Starace

Achille Starace (Sannicola, 18 agosto 1889Milano, 29 aprile 1945) è stato un politico e dirigente sportivo italiano. È stato segretario del Partito Nazionale Fascista e presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano.

Biografia

Nato da una benestante famiglia della piccola nobiltà salentina, rinunciò agli studi a Venezia per intraprendere la carriera militare: partecipò con coraggio alla prima guerra mondiale, dove divenne ufficiale dei bersaglieri ed ottenne due croci al valor militare, oltre a numerosi riconoscimenti anche dall'esercito francese. Si sposò presto, lasciando la moglie sempre a Gallipoli, per tutto il seguito della carriera; pare che questo particolare sia poi stato spunto di malevole insinuazioni circa la sua potenza virile, fatte circolare da altri gerarchi con probabile intento di danneggiarlo dal punto di vista della reputazione privata e politica.

Dopo aver aderito in gioventù alla Massoneria, nel primo dopoguerra Starace divenne un fedelissimo di Benito Mussolini, tanto che sarebbe stato sarcasticamente definito, anche dalla sua stessa figlia, come «l'uomo che respirava per ordine del duce».

Da Mussolini ricevette l'incarico di radicare il fascismo nel Trentino Alto Adige. Negli anni del primo dopoguerra Starace fu fondatore del Fascio di Trento nel 1920, vicesegretario del Partito Nazionale Fascista nel 1921, ispettore per la Sicilia nel 1922 e deputato nel 1924.

Nel 1935 partecipò come volontario alla guerra d'Etiopia, sulla cui esperienza pubblicò due anni dopo il libro La marcia su Gondar.

Fu anche presidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, dal 1933 al 1939, in un periodo in cui il movimento sportivo era strumentalizzato dal regime per fini propagandistici.

La sua fedele acquiescenza nei confronti dell'uomo di Predappio, gli consentì di fare carriera, secondo molti ben oltre le sue capacità: ancora vicesegretario nel 1926, dal 1931 al 1939 si impose come segretario nazionale del partito fascista, prendendo il posto di Giovanni Battista Giuriati. Alle obiezioni mosse da altri gerarchi, che ne segnalavano il modesto acume, Mussolini rispose espressivamente: «... un cretino, sì, ma obbediente!».

In questa veste (di obbediente) operò per diffondere una capillare presenza del partito nella vita della società, coinvolgendo nella fascistizzazione le masse, in organizzazioni ed in manifestazioni che includevano ed inquadravano «fascistamente» i cittadini, dalla scuola elementare all'università, al dopolavoro.

Starace nella vita quotidiana italiana

Volute con convinzione da Starace, furono infatti rese obbligatorie alcune forme con le quali il fascismo (o perlomeno Starace) si proponeva di caratterizzare la vita pubblica degli italiani. Queste pratiche quotidiane venivano rese obbligatorie e diffuse attraverso i fogli d'ordine del PNF, che furono raccolti dal giornalista Asvero Gravelli nel Vademecum di stile fascista.

Una delle più note è la sostituzione della stretta di mano (considerata una «mollezza» anglosassone) col saluto romano, codificato fin nell'angolatura del braccio teso, che doveva ergersi a 170 gradi dal busto, con le dita della mano aperta unite. La "vecchia" stretta di mano divenne uso da perseguire, ed in uno dei suoi innumerevoli fogli scrisse: «"Dedito alla stretta di mano", ecco la nota caratteristica da segnare nella cartella personale di chi persista in questa esteriorità caratteristica di scarso spirito fascista.».

Seguirono l'uso del più virile «voi» al posto del «lei» nella lingua parlata e scritta e l'obbligatorietà dell'uso della divisa al sabato (il «sabato fascista») e alle feste. Starace istituì anche, per i gerarchi del Partito, periodiche manifestazioni ginnico - acrobatiche che prevedevano per i partecipanti l'esibizione in esercizi di prestanza e agilità sul tipo del salto nel cerchio di fuoco.

Motto fascista ancora parzialmente visibile su una casa di Caggiano

Stabilì le articolate forme del collettivo «saluto al Duce» (che lo stesso interessato avrebbe definito «una litania cui manca solo di risponder amen») e prescrisse che la parola «duce» si dovesse scrivere con tutte le lettere maiuscole. Più ancora, suggerì di decorare le facciate libere delle case con scritte riproducenti motti, slogan fascisti o il nome del Duce; intervenne perché nell'erigendo quartiere romano di San Basilio, una delle case popolari in costruzione (in realtà un gruppo di tre palazzine) avesse una pianta riproducente la parola «DVX», così che fosse «leggibile» dagli aerei in transito.

Propose anche di istituire l'obbligo di concludere tutte le lettere private con la frase «Viva il DUCE», ma Mussolini, ragionevolmente intuendo quale effetto sarebbe potuto scaturire nel caso di lettere non allegre, ad esempio di messaggi di condoglianze («Tizio è morto, viva il DUCE»), categoricamente lo proibì, malgrado le insistenze. Fu invece d'accordo nell'iniziativa che prevedeva di lasciare le luci dello studio di Palazzo Venezia accese tutta la notte, così che i passanti potessero immaginare che Mussolini stesse lavorando anche di notte, qualunque ora fosse. Per non affondare nel ridicolo, però, pare che Mussolini incaricò un commesso di spegnere le luci dopo la mezzanotte.

Con la fase dell'autarchia, Starace sviluppò il progetto (già abbozzato da altri) di incrementare l'uso dell'orbace, una lana grezza e assai resistente prodotta in Sardegna, al posto dei tessuti tradizionali. La campagna dell'orbace, quanto meno, alimentò utilmente l'economia rurale dell'isola. Di orbace furono infatti le uniformi della Milizia e delle organizzazioni giovanili del regime.

Starace promosse inoltre una campagna per l'italianizzazione dei termini stranieri di uso comune. Astrusi sostantivi italiani rimpiazzarono quindi i corrispondenti stranieri, imponendosi ad esempio l'uso di «mescita» per bar, di «coda di gallo» per il cocktail, di «pallacorda» per il tennis, di «cialdino» per cachet, «arzente» per cognac e così via. Si arrivò al punto che il titolo del brano musicale Saint Louis Blues divenne «Le tristezze di san Luigi».

Starace ed i gerarchi

Nel partito, Starace aveva da presto registrato posizioni di netto contrasto (ma si potrebbe definire reciproca disistima, se non rancorosa avversione) con Roberto Farinacci. Nel primo importante dissidio interno, fra i due il Duce scommise sul più devoto e gli affidò ruoli di crescente importanza nella costituzione della costituenda Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale, di cui Starace sarebbe divenuto Luogotenente Generale.

Nel suo cammino all'interno del partito, la conquista della «poltrona» di segretario del partito, somiglia ad una conquista militare che ottenne lasciando dietro di sé molti gerarchi politicamente «uccisi» o «gravemente feriti». Non tutti infatti poterono riprendere le posizioni ricoperte prima del suo passaggio. Non si riebbe Mario Giampaoli, federale di Milano, la cui carriera non sarebbe stata rilevante come le premesse potevano aver suggerito, mentre accusò un grave colpo quella di Renato Ricci, che si trovava a governare l'Opera Nazionale Balilla; Starace gli scippò il controllo sull'inquadramento delle leve giovanili, inventando la Gioventù Italiana del Littorio intorno alla quale si stringevano (o co-stringevano) i Figli della Lupa e le Giovani Italiane.

Molti studi hanno cercato di scorgere nelle azioni di Starace un segnale indicatore di quanto la carriera sia stata effetto non sollecitato della pura «fede» fascista, anzi mussoliniana, e quanto invece questa devozione dell'intera persona alla causa potesse essere consapevole strumento di raggiungimento di quegli obiettivi che aveva riconosciuto alla sua portata. Divenne, cioè, Starace importante perché «fedelissimo» o fu tale per diventare importante?

Di recente, inoltre, alcuni studi hanno cercato di scorgere quali qualità personali Mussolini abbia scorto in Starace, tali da affidargli la guida del partito per quasi 10 anni, e cosa invece sia cambiato in questa considerazione allo scoppio della guerra.

Gli ultimi anni

Con l'emanazione delle leggi razziali del 1938, Starace si mostrò obbedientemente antisemita. Tra il 1939 e il 1941 diresse la Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (o MVSN), e si schierò a favore dell'alleanza con la Germania. All'inizio della guerra, in divisa da Miliziano andò a combattere sul fronte albanese, dove nel 1941 fu ferito. Il rimpatrio coincise con le dimissioni dalle cariche, comunicategli da Mussolini per lettera.

Dopo l'8 settembre 1943 aderì alla Repubblica Sociale Italiana, nella quale, tuttavia, restò emarginato da ogni incarico politico di rilievo.

Mussolini, anzi, si stancò presto delle sue lagnanze, espresse in missive inviate quasi quotidianamente come al tempo in cui, da segretario del Partito, inviava giornalieri rapporti. Lo fece addirittura arrestare ed internare nel campo di concentramento di Lumezzane con il sospetto che Starace fosse invischiato in qualche oscura trama massonica insieme a Badoglio. Liberatolo dopo qualche mese, Mussolini diede ordine che non gli fosse consentito avvicinarlo e che non gli venissero inoltrate le suppliche che Starace continuava a scrivere.

Starace restò quindi politicamente isolato e privo di grandi risorse economiche, nel suo modesto appartamento di Milano, sostenuto a distanza dalla figlia e ridotto a coltivarsi un piccolo orto per mangiare.

Il 29 aprile del 1945, finì insieme al «suo» Duce ed al «suo» fascismo: la mattina di piazzale Loreto, uscì come tutti i giorni per la consueta passeggiata, in tuta ginnica, forse ignaro degli accadimenti o forse pensando di non correre rischi. Fu invece riconosciuto da alcuni partigiani che, quasi increduli, lo catturarono e lo condussero presso il Politecnico, dove fu sommariamente processato. Fu poi condotto a piazzale Loreto dove fu fucilato alla schiena davanti ai cadaveri appesi di Mussolini e gli altri gerarchi. Prima della raffica fu costretto, per sberleffo, a fare un'ultima volta il saluto romano e, pare, urlò «Fate presto!». Secondo un'altra versione mori' col saluto romano e gridando :"viva il duce"[1]. Il suo cadavere finì esposto insieme a quello di Mussolini.

Il lato tragicomico del fascismo

A fianco come sempre al suo Duce, Starace in una singolare foto del 1938 in cui i due, dato anche il biancore delle uniformi, sembrano vigili urbani intenti al presidio del traffico

È ovvio indicare in Starace il catalizzatore principale delle energie della satira e dei lazzi popolari durante il fascismo. Le citazioni della prolifica penna staraciana sono innumerevoli, e la maggior parte di esse, intendendo per un momento astrarsi dalla tragicità dei momenti storici, sono a sé bastanti per rendere nozione di quanto Starace si fosse allontanato dal senso pratico nel suo perseguire un percorso propagandistico per il regime:

«Chissà perché ci si attenda ancora a considerare la fine dell'anno al metro del 31 dicembre, piuttosto che a quello del 28 ottobre. L'attaccamento a questa consuetudine è indice di mentalità non fascista.»

«Alla parola "comizio" d'ora innanzi prego di sostituire la parola "raduno di propaganda". Il comizio ci ricorda tempi superati per sempre.»

L'aneddotica è vastissima. Invitato una volta ad un convegno di medici, Starace vi arrivò con un'ora di ritardo ed agli innascondibili brontolii dei convegnisti (non si sarebbero potute elevare proteste, dato il suo ruolo) replicò disarmante: «Fate ginnastica e non medicina. Abbandonate i libri e datevi all'ippica». Quest'ultima frase divenne immediatamente un modo di dire assai diffuso, tuttora utilizzato quando si desideri sollecitare qualcuno a cambiare programma o interessi.

Galeazzo Ciano, spiegava l'odio che gli italiani riservavano a Starace precisando, salacemente ma non senza centrare il punto, che gli italiani «possono perdonare a chi fa loro del male», ma non «a chi rompe loro le scatole».

Si diceva infatti, a proposito del «bestiario» simbolico del fascismo: «La lupa, che è vorace; l'aquila, che è rapace; l'oca, che è Starace».

Dopo la sua morte prese a circolare un sorta di filastrocca, che recitava: «È morto Starace, vestito d'orbace, di nulla capace, requiescat in pace». Un'altra variante di questa filastrocca, recitava: «Qui giace Starace /vestito d'orbace / in pace rapace / in guerra fugace / a letto pugnace», che richiama l'esortazione da lui rivolta ai compatrioti, secondo la quale «tutti gli organi del partito funzionano: devono funzionare perciò anche gli organi genitali»[2]

Altri progetti

Predecessore Presidente del CONI Successore
Leandro Arpinati 19331939 Rino Parenti

Note

  1. ^ Fondazione Luigi Cipriani cronologia 1945
  2. ^ Marta Boneschi. Senso - I costumi sessuali degli italiani. Mondadori, p.124
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