Acanthus

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Acanto
Acanthus hungaricus
Classificazione scientifica
Dominio Eukaryota
Regno Plantae
Divisione Magnoliophyta
Classe Magnoliopsida
Ordine Lamiales
Famiglia Acanthaceae
Genere Acanthus
L., 1753
Specie

vedi testo

Acanthus L., 1753 è un genere di piante della famiglia delle Acanthaceae, originario delle regioni mediterranee.

Etimologia[modifica | modifica wikitesto]

Il nome deriva dal greco ἄκανθος (àcanthos) che significa spina (ackè), per via delle estremità appuntite delle foglie e delle capsule che racchiudono i semi, in particolare nell'Acanthus spinosus. Acanto fu una Ninfa che accolse Apollo e fu da questo mutata nel fiore omonimo.

Descrizione[modifica | modifica wikitesto]

L'Acanto è una pianta erbacea perenne cespugliosa con grandi foglie lucide e oblunghe frastagliate di fiori bianchi e azzurri in un'alta spiga elegante e slanciata che appare in estate. Cresce spontaneamente sulle colline dell'Italia centrale ed insulare; viene inoltre coltivato in giardino per la notevole bellezza del fogliame e la grazia della fioritura.

Tassonomia[modifica | modifica wikitesto]

Comprende le seguenti specie:[1]

Foglia di acanto

Tra le specie coltivate come piante ornamentali citiamo l'Acanthus mollis con grandi foglie lobate pennato-partite, dal margine dentato, molto eleganti, lunghe fino a 80 cm, di colore verde-scuro, lucide sulla pagina superiore, con fiori dalla corolla bianco-rosea, riuniti in lunghe infiorescenze a spiga alte oltre 1 m, che da maggio a luglio si ergono sopra il fogliame.

Uso[modifica | modifica wikitesto]

Come pianta ornamentale per decorare gli angoli ombrosi e freschi dei giardini. Per le sostanze mucillaginose in esso contenute un tempo era prescritto contro le infiammazioni intestinali, gli eritemi, le punture dei ragni e la tubercolosi. Dioscoride consigliava impacchi di radice per trattare le scottature e avvolgere le articolazioni lussate.
Le foglie fresche e triturate si utilizzano sotto forma di cataplasma per curare le infiammazioni della pelle; invece sotto forma di infuso si utilizza come emolliente.

Le informazioni riportate non sono consigli medici e potrebbero non essere accurate. I contenuti hanno solo fine illustrativo e non sostituiscono il parere medico: leggi le avvertenze.

Coltivazione[modifica | modifica wikitesto]

Desidera esposizioni ombreggiate e fresche, terreno umido ma ben drenato, teme il gelo intenso.

Si moltiplica per divisione dei cespi in primavera, o con la semina.

Architettura[modifica | modifica wikitesto]

Lo stesso argomento in dettaglio: Acanto (ornamento).
Capitello ornato con foglie d'acanto

Linee ispirate alle foglie di Acanthus spinosus e di Acanthus mollis furono molto utilizzate come ornamento (analogo alle palmette) dei capitelli nell'antica architettura greca (ordine corinzio) e romana (ordine composito).

La relazione tra l'ornamento e la pianta di acanto è stata messa in discussione dallo storico Alois Riegl nel suo libro Stilfragen, dove si sostiene che l'ornamento architettonico fosse in origine quello delle palmette e che solo in seguito assunse le forme dell'Acanthus spinosus.[2]

Simbolismo[modifica | modifica wikitesto]

Era considerato simbolo di verginità in quanto pianta spontanea che cresce in terra non coltivata.

Raffigurazioni delle sue foglie adornavano le vesti delle personalità più importanti.

Nel cristianesimo primitivo e poi in quello medievale l'acanto era simbolo della Resurrezione.[3]

Letteratura[modifica | modifica wikitesto]

Acanthus mollis in fiore

Al fiore di acanto Giovanni Pascoli ha dedicato una poesia dal titolo omonimo, nella collezione Myricae:

Fiore di carta rigido, dentato
i petali di fini aghi, che snello
sorgi dal cespo, come un serpe alato

da un capitello

fiore che ringhi, dai diritti scapi
...

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (EN) Acanthus, su The Plant List. URL consultato il 4 febbraio 2015.
  2. ^ (EN) A. Riegl, tr. E. Kain, Problems of style: foundations for a history of ornament (Princeton, 1992), 187-206.
  3. ^ Alfredo Cattabiani, Florario, Milano, Arnoldo Mondadori, 1996, ISBN 88-04-44268-9. p. 591

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