Società Idroelettrica Pont Saint Martin

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Società Industriale Elettrochimica di Pont Saint Martin
StatoBandiera dell'Italia Italia
Forma societariaSocietà per azioni
Fondazione1887 a Pont-Saint-Martin
Chiusura1916 (modifica della denominazione in “SIP” Società Idroelettrica Piemonte)
SettoreProduzione, distribuzione e vendita di energia
Prodottielettricità

La Società Idroelettrica Pont Saint Martin fu un'azienda di produzione e distribuzione di energia elettrica italiana, attiva dal 1887 al 1916.

Nascita[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1887 entrò in funzione lo stabilimento della Società “Elettrometallurgica di Pont Saint Martin” per il trattamento elettrolitico del rame. La società, insediata sul sito di un'importante ferriera attiva nel secolo precedente, fu trasformata nel 1899 in “Società Industriale Elettrochimica di Pont Saint Martin” con l'intervento della “Schuckert”, che apportò capitale privato svizzero e tedesco, e del Credito Italiano che subentrò nella società attraverso la “Società forni elettrici”.

Con un consiglio d'amministrazione di otto componenti, solo la metà dei quali italiani, si trattava di una società basata su avviate tecnologie straniere e modelli consolidati che inizialmente operò nel settore elettrochimico, in particolare nella produzione di carburo di calcio, ma che integrò la sua attività con la vendita a terzi di parte dell'energia prodotta e non impiegata direttamente nella fabbrica di carburo. Con funzioni puramente locali, la Pont Saint Martin si concentrò prevalentemente nelle zone del distretto industriale di Biella, escludendo almeno inizialmente un'espansione regionale; ma a dispetto di quanto pianificato, ed a causa di una crisi che nel 1901 colpì il mercato del carburo di calcio, abbandonò rapidamente nei primi anni del novecento le attività chimiche per dedicarsi alla produzione e distribuzione di energia elettrica.

La svolta si ebbe tra il 1901 ed il 1902, quando la “Pont Saint Martin” costruì nei pressi di Pont Saint Martin un nuovo stabilimento dotato di un'importante centrale elettrica alimentata dalle acque della Dora Baltea che produceva un quantitativo di energia elettrica di gran lunga superiore alle esigenze reali per la produzione di carburo richiesto dal mercato.

Il totale delle quote azionarie era così ripartito: 52,5% di proprietà degli svizzero-tedeschi della Schuckert, 42,5% Credito Italiano, il restante 5% ad un gruppo francese, [1].

I membri del primo consiglio di amministrazione erano i seguenti: Enrico Rava (Presidente), Hugo de Glenk (Vicepresidente), Ferdinando Lori, Luigi Zunini, Guglielmo Pfizmayer, Charles Shlumberger-Vischer, Alberto Vonwiller, Alexander Wacker.

Cambio di Produzione[modifica | modifica wikitesto]

Per recuperare l'investimento fu presa quindi la decisione di utilizzare l'impianto per la produzione e la distribuzione dell'energia elettrica in eccesso. Tuttavia le difficoltà iniziali nella realizzazione degli impianti di distribuzione, in parte dovute all'inesperienza della società che nasceva come elettrochimica, in parte dovute alla conformazione del territorio prevalentemente montuoso, comportarono consistenti perdite che la costrinsero ad un prestito obbligazionario di due milioni di lire e ad una riduzione di capitale da 4 a 2,5 milioni di lire tra il 1904 ed il 1905.

Al momento dell'ingresso della “Pont Saint Martin” nell'industria elettrica molti aspetti non furono valutati in modo appropriato dal gruppo dirigente che considerava questa scelta come un temporaneo ripiego in previsione di un rapido ritorno della società al settore elettrochimico. In realtà con questa scelta fu intrapreso un percorso che allontanò gradualmente l'impresa dal settore elettrochimico a causa di una serie di mutamenti del mercato e della società stessa.

Dopo le perdite iniziali, la “Pont Saint Martin” ritrovò in breve tempo la stabilità economico-finanziaria e iniziò a dare priorità alla produzione d'energia elettrica, che risultava più vantaggiosa del carburo di calcio. Anche il carattere locale della società venne meno con il cambio di settore produttivo, in quanto la domanda della zona del Biellese era insufficiente a coprire l'oneroso investimento effettuato; così per smaltire il surplus di produzione d'energia elettrica la società ampliò il suo raggio d'azione fino ad alimentare le industrie torinesi.

Abbandono Settore Elettrochimico[modifica | modifica wikitesto]

La produzione elettrochimica fu definitivamente abbandonata nel 1913 dopo le due nuove crisi di sovrapproduzione del carburo di calcio verificatesi tra il 1907 e il 1908.

L'abbandono del settore elettrochimico portò ad una profonda ristrutturazione dell'impresa, ci fu un cambio radicale dei vertici societari con l'entrata di nuovi capitali francesi e tedeschi e le azioni dell'elettrochimica furono cedute in un primo momento alla “Società italiana dell'Elettrocarbonium” e l'anno seguente a terzi. La nuova strategia aziendale fu sempre più rivolta all'ampliamento della rete di distribuzione elettrica, ma si trascurò nel contempo l'ampliamento degli impianti produttivi e di conseguenza la continua crescita della domanda di energia elettrica, non opportunamente coperta dall'incremento dalla capacità produttiva, portò ben presto la società in difficoltà finanziarie, a causa dei costosi rifornimenti esterni di energia necessari per coprire la domanda.

A causa di questi costosi e continui rifornimenti ai quali si ricorse per compensare la carenza produttiva di energia elettrica, la società iniziò un progressivo indebitamento con la “Banca Commerciale Italiana” (COMIT). Nel 1915, anche per la politica di italianizzazione delle imprese voluta dal governo Italiano, si giunse ad un nuovo rimpasto dei vertici societari che aumentò l'influenza della COMIT al suo interno.

Uscirono in un primo tempo dal consiglio di amministrazione l'amministratore delegato Luigi Zunini e Ferdinando Lori, mentre morì Eugenio Rava; entrò in qualità di consigliere Paul Heina, amministratore e direttore della Société industrielle d'energie électrique di Parigi. I sindaci Carlo Kapp e Francesco Magrini vengono eletti rispettivamente amministratore delegato e consigliere; Arnaldo Marin e Raffaele Panzieri diventano sindaci. Giulio Pohl subentrò come sindaco a Vittorio Cantoni; nell'anno successivo si dimise per "ragioni personali" il presidente Enrico Rava, sostituito nella carica da Carlo Kapp, mentre il vicepresidente Alberto Vonwiller e il consigliere Charles Schlumberger-Vischer non accettarono la rielezione; Rudolf Cohen entrò invece nel consiglio di amministrazione. Il ricambio nel gruppo di controllo fu dunque radicale e sembrò essere in relazione alla progressiva svolta della politica aziendale sempre più rivolta all'attività idroelettrica, con l'originaria componente elettrochimica avviata ad un inesorabile declino. Non a caso la quota azionaria della Società italiana dei forni elettrici era ormai passata di mano e precisamente alla Société industrielle di Parigi, la quale sottoscrisse anche il 49,7 per cento dell'aumento di capitale del 1910 (da 2,5 a 3,5 milioni di lire) mentre un altro 49,8 per cento fu sottoscritto dalla Kontinentale. I francesi si fanno rappresentare, oltre che da Heina, dal Kapp che già rappresentava interessi elettrici tedeschi in Italia, confermando quindi l'ipotesi che dietro la Société di Parigi vi fossero in realtà capitali d'origine tedesca.

In ossequio alle disposizioni per l'italianizzazione dei gruppi di controllo delle imprese, il 16 dicembre 1915 si dimisero Carlo Kapp (presidente e amministratore delegato), Rodolfo Cohen (vicepresidente) e Guglielmo Pfizmajer (consigliere), cui seguirono rispettivamente Ettore Conti, Franco Magrini, Guglielmo Galletti e Aldo Roncaldier, mentre fu eletto consigliere delegato Giuseppe Gadda. Guido Senigaglia sostituisce Giulio Pohl come sindaco effettivo. I mutamenti furono la testimonianza di due fatti nuovi verificatisi nel gruppo di controllo: la crescita di influenza della Banca commerciale italiana, verso cui era aumentato l'indebitamento soprattutto attraverso la Società per lo sviluppo delle imprese elettriche in Italia, e l'ingresso di un gruppo di finanzieri milanesi che si erano costituiti in Società nazionale per imprese elettriche allo scopo di subentrare nelle partecipazioni tedesche in campo elettrico.

Periodo Bellico[modifica | modifica wikitesto]

Il periodo bellico aumentò notevolmente la domanda di energia elettrica, sottolineando così ancor di più i limiti produttivi della società che iniziò ad essere sempre più dipendente per gli approvvigionamenti di energia dalla società elettrica Alta Italia dalla quale si riforniva abitualmente e con la quale stipulò delle intese per l'approvvigionamento d'energia elettrica.

Questa manovra, assieme ai consistenti lavori per lo sviluppo di trasformatori atti a ricevere l'energia elettrica acquistata, come la sottostazione di Biella-Vernato, ridussero gli sprechi di energia consentendo di ridurre le perdite e riportare la società ad una certa stabilità economico-finanziaria. Tuttavia il nuovo assetto societario non durò molto, anche perché la prima guerra mondiale aveva mostrato la decisiva importanza del settore elettrico e aveva spinto i grandi gruppi bancari ad entrare nel settore che stava diventando di vitale importanza per il paese.

Acquisizione e Nascita della Sip[modifica | modifica wikitesto]

Gli interessi attorno alla società diventarono sempre più forti, in particolare quelli della “Banca Commerciale Italiana” che tentò di acquisirne il controllo tra il 1916 e il 1918, tentativo ostacolato da un nutrito gruppo di industriali biellesi capitanati da Eugenio Rivetti e da Giuseppe Besozzi insieme a Gian Giacomo Ponti, i quali nel 1918 riuscirono ad avere la meglio.

Il gruppo di industriali biellesi ottenne una risicata maggioranza, mentre alla COMIT restava un consistente pacchetto di minoranza. Con l'acquisizione del gruppo da parte di Gian Giacomo Ponti la società eliminava definitivamente ogni legame o riferimento con l'industria chimica ed iniziava un percorso che nei successivi venti anni, grazie soprattutto all'abilità personale dell'imprenditore, l'avrebbe trasformata da un'avventura industriale di modesto successo a uno dei maggiori gruppi italiani del settore elettrico.

Come si vedrà, la sconfitta della Comit sarà di breve durata sia per il cospicuo pacchetto direttamente ed indirettamente ancora controllato dall'istituto milanese, sia perché il successivo eccezionale sviluppo dell'impresa dovrà sempre più affidarsi alle risorse finanziarie della banca. Il primo atto con cui Ponti sancì il definitivo cambio di rotta dell'impresa fu la modifica della denominazione da “Società Industriale Elettrochimica di Pont Saint Martin” a “SIP” (Società Idroelettrica Piemonte) e l'aumento del capitale sociale da 3 a 15 milioni di lire.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ (Caligaris Giacomina: L'industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1993)

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • 1999 - Storia delle telecomunicazioni italiane e della Sip 1964-1994 / Renato Abeille; introduzione di Piero Brezzi. Franco Angeli editore
  • 1993 (2ª edizione) SIP: impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane / Bruno Bottiglieri. Franco Angeli editore
  • Antinori Albino: Le Telecomunicazioni Italiane 1861 -1961, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1963.
  • Bianucci Piero: Il Telefono, la tua voce, Firenze, Vallecchi, 1978.
  • Bottiglieri Bruno: SIP Impresa, tecnologia e Stato nelle telecomunicazioni italiane, Milano, Franco Angeli, 1990.
  • Brezzi Piero: L'industria elettronica e l'Italia: necessità di un piano nazionale dell'elettronica, Roma, Editori Riuniti, 1978.
  • Caligaris Giacomina: L'industria elettrica in Piemonte dalle origini alla prima guerra mondiale, Bologna, Il Mulino, 1993.
  • Carli Guido: Intervista sul capitalismo Italiano, Roma-Bari, Laterza, 1977.
  • Castagnoli Adriana: La crisi economica degli anni trenta in Italia: il Caso della SIP, in «Rivista di Storia Contemporanea» Luglio, 1976.
  • Castagnoli Adriana: Il passaggio della SIP all'IRI in Storia dell'industria elettrica in Italia, Vol. 3**, Espansione e oligopolio (1926-1945) (a cura di G. Galasso), Roma-Bari, Laterza, 1993, pp. 595-642.
  • Castronovo Valerio: L'industria Italiana dall'800 ad oggi, Milano, Mondatori, 1980. Molteni Francesco: Le concessioni Postali e di Telecomunicazioni, Milano, A. Giuffrè, 1960.
  • Pavese Claudio: Il processo di elettrificazione tra ottocento e novecento, in Vincenzo Ferrone (a cura di Torino energia), Archivio Storico della Città di Torino, Torino, 2007.
  • Zamagni Vera: Dalla periferia al Centro: la seconda rinascita economica dell'Italia, Bologna, Il Mulino, 1990.
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