Rodopsina

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Struttura tridimensionale della rodopsina
Gene
LocusChr. 3 [1]
Proteina
UniProtP08100

La rodopsina è una proteina di membrana con 7 domini transmembrana a α-elica, si trova principalmente nelle cellule a bastoncello della retina umana che permettono la vista in bianco e nero. Queste cellule hanno una forma allungata e nella loro parte apicale hanno numerosi dischi di membrana con molte rodopsine, costituite da un pigmento, l'11-cis-retinale, sensibile alla luce, legato all'opsina, una proteina della retina.[1]

Nei bastoncelli abbiamo inoltre numerosi canali per il Na+ aperti in condizione di buio, perché nella cellula ci sono alte concentrazioni di cGMP che tiene aperti i canali.

Quando la luce interagisce con l'11-cis-retinale, catalizza la sua conversione a tutto-trans-retinale, che determina un cambiamento conformazionale nella "opsina" (parte proteica della rodopsina) trasformandola in opsina attiva. Questa proteina attivata, attiva una seconda proteina, una proteina Gt, la trasducina, che a sua volta attiva una GMP ciclico fosfodiesterasi, che scinde il cGMP in GMP e determina un abbassamento della concentrazione del cGMP: i canali per il Na+ lungo la membrana della cellula a bastoncello si chiudono, si determina una variazione del potenziale di membrana (iperpolarizzazione). La membrana, essendo polarizzata, fa in modo che la cellula rilasci una minor quantità di neurotrasmettitore, che per i coni e i bastoncelli è il glutammato (un neurotrasmettitore eccitatorio): le cellule recettoriali della retina hanno dunque un picco nel rilascio di neurotrasmettitore nelle fasi di buio.[2]

Questi meccanismi sono ancora in fase di studio.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Lee, A. G., Rhodopsin and G-protein linked receptors, JAI Press, 1996, ISBN 1559386592, OCLC 162596914.
  2. ^ Martin Heck, Sandra A. Schädel e Dieter Maretzki, Signaling states of rhodopsin. Formation of the storage form, metarhodopsin III, from active metarhodopsin II, in The Journal of Biological Chemistry, vol. 278, n. 5, 31 gennaio 2003, pp. 3162–3169, DOI:10.1074/jbc.M209675200. URL consultato il 16 aprile 2018.

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