Discussione:Il fiume dell'ira

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Sposto qui il paragrafo intitolato "commento". Una voce non è una recensione cinematografica. Dubito che qualcosa possa essere salvato, ma nel dubbio... --Amon(☎ telefono-casa...) 23:56, 10 ott 2008 (CEST)[rispondi]

«Retorica ai massimi livelli, in ogni secondo, in ogni inquadratura, in ogni musica e in ogni parola. Un ritorno ai "farm movie" in piena reaganomics con tanto di polemica sociale filoproletaria intrisa, però, del tradizionalismo più becero e retrivo. Mel Gibson, fino a quel momento conosciuto solo per l'interpretazione dei primi due Mad Max, rivela precocemente le inclinazioni che lo porteranno a diventare l'eroe delle parole d'ordine made in U.S.A. (libertà, valori, individualismo, coraggio, fedeltà), interpretando l'eroe senza macchia che ha "bisogno" di agire come agisce e che diventa esempio per tutti coloro che, magari solo per un istante, si sono rivelati deboli. Il film, del resto, mantiene ciò che promette. Il cuore si gonfia nei momenti più patetici, la rabbia monta quanto l'ingiustizia è più grave e si vorrebbe correre ad infilarsi un paio di stivali e dare una mano a Garvey e ai suoi figli. In tutto questo c'è spazio per ciò che il regista ha dichiarato essere un "atto d'accusa" contro Reagan, accusato di causare la rovina dei contadini della Copper Belt: una decisa presa di posizione contro l'industrializzazione (il cui punto centrale sta nell'inquadratura della desolata e già abbandonata zona industriale vicino alla fonderia, come a dire "l'industria non dura, la terra sì"), un richiamo alla solidarietà sociale tra gli umili che faticano, la condanna di affaristi e banchieri insensibili ai valori. Viene, quindi, lasciata del tutto da parte una qualsiasi forma di dubbio, si perde l'analisi del conflitto tra presente e passato, nel nome di una presa di posizione netta, precisa, definitiva, insindacabile. Una sorta di atto di fede in una tradizione che è, alla fine dei conti, ben più reazionaria della politica reaganiana. Il tutto risulta estremamente piatto e scontato, tanto che quasi ci si aspetta l'ultimo gesto del "cattivo" Wade, che ha un sussulto di umanità in attesa di quella che lui ritiene un'inevitabile vittoria finale. Ma il cinema statunitense di questo tipo ci ha abituato a pensare che finché esistono eroi con gli occhi azzurri e i muscoli lucidi, nulla è mai deciso.»