Alessandro Serenelli

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Alessandro Serenelli (Paterno d'Ancona, 2 giugno 1882 - Macerata, 16 maggio 1970) è l'uomo che, nel 1902, uccise la dodicenne Maria Goretti, poi divenuta santa per la Chiesa cattolica.

Cenni biografici

L'infanzia
Serenelli nacque in una umile famiglia contadina con 8 figli. Dopo alcuni anni la famiglia, trasferitasi a Paliano, nel Lazio, conobbe la famiglia Goretti con cui stabilì un rapporto di collaborazione e vicinato.

La giovane Maria
Durante il periodo di frequentazione della Goretti, negli anni 1900-1902, Alessandro se ne invaghì e cercò di avere con lei un rapporto sessuale.
In una testimonianza da lui rilasciata[1], si può ritrovare questa frase, pronunciata dall'uomo prima del brutale avvenimento: «Dopo il secondo tentativo nella mia mente si formò più che mai il proposito di riuscire nello sfogo della mia passione e concepii anche l'idea di ucciderla se avesse continuato ad opporsi alle mie voglie.»

L'omicidio
Il 5 luglio del 1902, dopo il terzo rifiuto di Maria di acconsentire ai desideri del giovane, Alessandro aggredì la ragazza colpendola ripetutamente con un punteruolo e provocandole ferite che la portarono alla morte nel pomeriggio del giorno successivo.

Condanna e redenzione
Con il processo, Serenelli fu condannato a una pena di 30 anni di carcere: evitò l'ergastolo perché per le leggi di allora non era ancora maggiorenne. Uscì di prigione nel 1929, dopo aver scontato 27 anni di carcere. Dei 30 ricevuti, infatti, un anno gli fu condonato con l'indulto ricevuto da tutti i detenuti dopo la vittoria italiana nella prima guerra mondiale, mentre due gli furono abbonati per buona condotta.
Nella notte di Natale del 1934 chiese perdono in ginocchio alla madre di Maria Goretti, che acconsentì a perdonarlo, poiché anche sua figlia lo aveva fatto.

Vita ritirata
L'uomo si ritirò poi in un convento di Padri Cappuccini, dove svolse per tutta la vita lavori e piccole commissioni per i frati. Morì il 16 maggio 1970, all'età di 88 anni, in un convento di Macerata, lasciando il seguente testamento:

«Sono vecchio di quasi 80 anni, prossimo a chiudere la mia giornata. Dando uno sguardo al passato, riconosco che nella mia prima giovinezza infilai una strada falsa: la via del male che mi condusse alla rovina. Vedevo attraverso la stampa, gli spettacoli e i cattivi esempi che la maggior parte dei giovani segue quella via, senza darsi pensiero: ed io pure non me ne preoccupai. Persone credenti e praticanti le avevo vicino a me, ma non ci badavo, accecato da una forza bruta che mi sospingeva per una strada cattiva. Consumai a vent’anni il delitto passionale, del quale oggi inorridisco al solo ricordo. Maria Goretti, ora santa, fu l’angelo buono che la Provvidenza aveva messo avanti ai miei passi. Ho impresse ancora nel cuore le sue parole di rimprovero e di perdono. Pregò per me, intercedette per me, suo uccisore.
Seguirono trent’anni di prigione. Se non fossi stato minorenne, sarei stato condannato a vita. Accettai la sentenza meritata; rassegnato espiai la mia colpa. Maria fu veramente la mia luce, la mia Protettrice; col suo aiuto mi diportai bene e cercai di vivere onestamente, quando la società mi riaccettò tra i suoi membri. I figli di San Francesco, i Minori Cappuccini delle Marche, con carità serafica mi hanno accolto fra loro non come un servo, ma come fratello. Con loro vivo dal 1936.
Ed ora aspetto sereno il momento di essere ammesso alla visione di Dio, di riabbracciare i miei cari, di essere vicino al mio angelo protettore e alla sua cara mamma, Assunta.
Coloro che leggeranno questa mia lettera vogliano trarre il felice insegnamento di fuggire il male, di seguire il bene, sempre, fin da fanciulli. Pensino che la religione coi suoi precetti non è una cosa di cui si può fare a meno, ma è il vero conforto, la unica via sicura in tutte le circostanze, anche le più dolorose della vita.
Pace e bene!»

Note

  1. ^ Processum informativum, folio 160.