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Giuseppe Solaro[modifica | modifica wikitesto]

Giuseppe Solaro (Torino, 1914Torino, 29 aprile 1945) è stato un criminale di guerra italiano, segretario provinciale (federale) del Partito Fascista Repubblicano di Torino e comandante della I Brigata Nera "Ather Capelli".

Gli studi[modifica | modifica wikitesto]

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Dopo l'8 settembre 1943[modifica | modifica wikitesto]

Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943 aderisce alla Repubblica Sociale Italiana e il 16 settembre 1943 è nominato alla guida del Partito Fascista Repubblicano di Torino in un triumvirato composto dal console della MVSN Domenico Mittica e da Luigi Riva. La nomina di Solaro avviene principalmente per iniziativa di Alessandro Pavolini il quale apprezzava i giovani provenienti dalla Scuola di mistica fascista che vedeva come punto di riferimento intellettuale da cui trarre la nuova dirigenza.

È una fase in cui non mancano tensioni tra esponenti del fascismo torinese. La nomina di Solaro a commissario federale spinge lo storico componente del fascio torinese Antonio Burdin a tirarsi fuori dai giochi politici, rinunciando all'incarico di “comandante dei fasci della Provincia” e ritirandosi momentaneamente a vita privata[1].

Lo stesso Solaro sembra temere l'emergere di fazioni e tendenze concorrenti in seno al fascismo stesso, come dimostra una sua richiesta inusuale al prefetto cittadino e al Militärkommandatur delle truppe tedesche che occupano Torino. Solaro chiede “che non sia riconosciuto altro gruppo politico che quello da me rappresentato e ufficialmente riconosciuto da Roma come da dispaccio telefonico a vostre mani”[2].

Intanto il 30 settembre Paolo Zerbino fu nominato capo della Provincia di Torino, assunse ufficialmente l'incarico il 21 ottobre. La prima riunione a casa Littoria si svolse l'8 ottobre e furono assegnati gli incarichi: Solaro divenne commissario federale, Riva comandante del Fascio di Torino e Mittica comandante della Gioventù con compito di collegamento con la MVSN.

Fin dalle prime settimane dalla nascita della Repubblica Sociale si delinea una divaricazione in seno agli apparati del governo fascista repubblicano tra un'ala istituzionale, che punta innanzitutto al mantenimento dell'efficienza della macchina statale, e una ideologica, che punta sul recupero di alcuni elementi del fascismo delle origini[3].

La figura di Giuseppe Solaro si colloca in questo secondo gruppo. Esso è composto da persone cresciute nella mitologia fascista, nei confronti della quale nutrono una sorta di devozione, ritenendone “la dottrina e il programma ideologicamente e politicamente meravigliosi”, al punto da attribuire il tracollo del regime nell'estate del 1943 semplicemente a “nemici palesi ed occulti, esterni ed interni”, come si legge in un articolo dello stesso Solaro su giornale “La Riscossa” del 28 ottobre 1943, organo del Partito Fascista Repubblicano torinese.[4]

Anche per questo le prime decisioni politiche significative dei vertici del fascismo repubblicano torinese sembrano muoversi nella direzione della rottura del sistema di relazioni tra élite che aveva retto il sistema politico locale sino al 25 luglio 1943.

Purezza ideologica e marginalizzazione nella comunità locale[modifica | modifica wikitesto]

Un esempio di contrapposizione con l'apparato statale della Repubblica Sociale si manifesta con il fallimentare tentativo di procedere all'arresto dei vertici della Fiat, rappresentati dall'amministratore Vittorio Valletta e dal proprietario, il Senatore Giovanni Agnelli. Essi sono accusati di essere “rappresentanti del capitalismo internazionale”, ma contemporaneamente di essere responsabili del fatto che: “le Officine Fiat, dopo il 25 luglio, furono le prime nelle quali vennero formati i Consigli di fabbrica comunisti”[5].

Nella sua contraddittorietà, l'operazione – da inserirsi nella strategia di conquista del consenso tra i lavoratori, secondo la retorica della “socializzazione” – si dimostra fallimentare anche per l'opposizione degli organi prefettizi e dei comandi germanici.[6]

Questa divisione tra i due apparati – quello statale e quello fascista – spingono Solaro e i vertici del fascismo repubblicano torinese ad azioni che si connotano sempre più per la loro purezza ideologica, quasi rinunciando alla possibilità di conquistare il consenso della comunità locale.[3]

Questo atteggiamento diventa evidente con il verificarsi delle prime azioni partigiane in città.

Il 25 ottobre due membri dei GAP uccidono in un attentato il seniore della MVSN Domenico Giardina. A distanza di appena due giorni Solaro emana gli ordini necessari all'inquadramento della Polizia federale, un organo che avrebbe lo scopo di offrire una “etichetta legalitaria” alle azioni squadristiche, evitando atti controproducenti sul piano dell'immagine, del rapporto con le comunità e delle relazioni con i tedeschi.[7]

Tra le disposizioni che Solaro ritiene necessarie vi sono:

«1. ricerca e arresto dei capi delle formazioni antifasciste di qualsiasi colore

[…]

3. azioni di battaglia nelle sedi dei Fasci e delle organizzazioni del Partito contro squadre di ribelli o comunisti attaccanti.»

(Comunicazione di Solaro al capo della provincia, 25 ottobre 1943, AST, Sezioni Riunite, Prefettura, b. 33/1, f. Polizia interna federale)[8]

Il 31 ottobre ha luogo la la prima significativa azione anti-partigiana in val di Susa, originata dal susseguirsi dell'attività partigiana nei comuni della bassa valle. Nonostante le direttive di Solaro l'operazione si rivela un fallimento sotto tutti i punti di vista: quello militare, quello dell'immagine e quello delle relazioni con i tedeschi. Gli squadristi, capeggiati dal conte Federico Gaschi, si abbandonano a violenze nel paese di Borgone, come testimonia la lettera di don Avventino Anselmetti, parroco del paese, inviata il 3 novembre al prefetto della provincia:

«Nessuna casa è stata rispettata e nessun cittadino, uomo o donna, giovane o vecchio non ebbe almeno una canna di pistola o di fucile mitragliatore puntato sul viso (nel frattempo innumeri le grassazioni a mano armata, e non pochi i saccheggi precisati nelle stanze chiuse[...])». (Lettera di don Avventino Anselmetti al capo della Provincia)[9]

Un tentativo di rastrellare la montagna, capeggiato dal vicefederale Riva, conduce una parte degli squadristi a cadere nell'imboscata dei partigiani che uccidono lo stesso Riva, e feriscono altri tre componenti della pattuglia, di cui uno – il milite confinario Edomondo Trincheri – morirà dopo il ricovero in ospedale[10].

Al rientro dei superstiti in città Solaro fa arrestare il conte Gaschi, sottolineando, nella comunicazione della sua destituzione agli squadristi, che il loro comandante, tra le varie accuse, “non sapeva adottare le misure che il momento esige contro i comunisti”[11].

La vicenda del fallimentare rastrellamento in val di Susa è anche la cartina di tornasole dei difficili rapporti tra l'apparato statale e gli organi del fascismo repubblicano. Gli strascichi della vicenda inducono il prefetto Zerbino a ricevere il parroco di Borgone e portano all'interessamento diretto anche del cardinale Fossati. Nonostante la destituzione di Gaschi, Solaro appare isolato, tanto da ricevere una telefonata di Zerbino che chiede con fermezza che non si ripetano accadimenti del genere. Inoltre alla richiesta di Solaro di rendere noto, attraverso la stampa cittadina, le punizioni a cui sono andati incontro gli squadristi che hanno ecceduto nelle proprie azioni, Zerbino replica con un chiaro “attendere per ora”, annotato a margine della lettera ufficiale di Solaro, come a voler sottolineare che è meglio non insistere sulla spiacevole vicenda.[12]


Lo scontro tra Partito e Stato[modifica | modifica wikitesto]

Lo scontro tra l'ala istituzionale e l'ala ideologica degli apparati della Repubblica Sociale si protrae sino a una vera e propria contrapposizione ben evidenziata da alcuni eventi torinesi che precedono lo scioglimento della polizia federale, decretato direttamente da Pavolini.

Il 24 novembre 1943, in un frangente tutt'altro che tranquillo per la città, e cioè mentre si diffondono ampi scioperi spontanei nelle fabbriche cittadine, alcuni poliziotti federali, capeggiati dal loro vice-comandante Oliviero Iurco, fanno irruzione nel Palazzo di Giustizia nel tentativo di impedire il processo per un omicidio dai moventi non politici di Carlo Boggio da Casero, uno squadrista della prima ora. Si tratta di un evidente dimostrazione della difficoltà del Partito Fascista Repubblicano di controllare i propri aderenti e indurli a tenere un profilo rispettoso delle istituzioni della Rsi. A causa dei fatti del Palazzo di Giustizia di Torino Solaro si ritrova travolto da una bufera che ne mina la legittimità e deve ricorrere all'interessamento del ministro di Salò Buffarini-Guidi per evitare il proprio allontanamento dalla città sabauda, come invece chiesto anche dal prefetto Zerbino.[13]

Gli scioperi che si sviluppano nel mese di novembre presso numerosi stabilimenti industriali di Torino, costringono Solaro a fare i conti con la marginalità a cui è ridotto il Partito Fascista Repubblicano rispetto alle istanze della comunità cittadina. A fronte delle richieste dei lavoratori torinesi il PFR locale non ha garanzie da offrire. Per placare le agitazioni bisogna attendere l'intervento diretto del plenipotenziario tedesco, il generale delle SS Paul Zimmermann, che tratta e stabilisce le concessioni alle maestranze operaie: è un ulteriore segno dell'inadeguatezza del ruolo e della presenza sindacale fascista nelle fabbriche cittadine.[14]

Contemporaneamente continua lo scontro tra Zerbino e Solaro riguardo alle competenze del Partito Fascista Repubblicano nella gestione dell'ordine pubblico e in relazione alla richiesta di Solaro epurare alcuni impiegati della Questura dal profilo ideologico non sufficientemente allineato con le esigenze del nuovo corso[15].

Tra le conseguenze di uno scontro quasi quotidiano tra i due poteri - quello dello Stato e quello del Partito - si può scorgere l'ondeggiamento della linea complessiva espressa a Torino dagli apparati della Repubblica sociale. Per i fascisti sembra delinearsi una sempre maggiore estraneità rispetto alla comunità locale, come dimostrano, da un lato, l'approvazione verso le misure drastiche - ad esempio la pena di morte per chi si sottrae al bando di reclutamento del 18 febbraio - e, dall'altro, il ridimensionarsi dell'azione propagandistica generalizzata nelle fabbriche, limitando l'intervento a seminari e corsi di formazione per quegli operai che già nutrono simpatie per le idee del fascismo repubblicano.

Anche la durezza delle azioni contro i civili come rappresaglia per le attività partigiane o per supposte simpatie verso l'antifascismo è un segnale chiaro dello scollamento nei confronti delle comunità locali. Ne è una dimostrazione la proposta di Solaro a Zerbino di procedere con atti indirizzati a criminalizzare interi rioni cittadini. Il 21 febbraio 1944 il Commissario federale chiede infatti al capo della Provincia di intervenire con mano pesante nei quartieri in cui i gruppi rionali fascisti hanno subito azioni di danneggiamento dopo la caduta di Mussolini nell'estate del 1943.

«Alcuni gruppi rionali di Torino sono stati completamente devastati dalla canea del 25 luglio. Anche dopo l'8 settembre è continuata l'azione vandalica: sono stati asportati persino gli infissi, le porte e gli stessi mattoni dei muri divisori. Propongo che per la popolazione dei rioni ove si trovano le sedi di tali gruppi sia fissata una speciale tassazione punitiva.» Fonogramma del commissario federale al capo della Provincia, 21 febbraio 1944[16]

Tra scioperi operai e dissidenze interne[modifica | modifica wikitesto]

Il 10 marzo del 1944, a poca distanza dagli scioperi operai che - per la loro inaspettata consistenza[17] - hanno messo in difficoltà le autorità cittadine nella gestione dell'ordine pubblico, Solaro indirizza una "lettera agli squadristi" in cui, nel tentativo di dettare la linea politica del Fascio repubblicano torinese, non può evitare di fare riferimento alle dissidenze interne che logorano il partito.

«Parlo ai veri squadristi, che hanno rischiato la pelle, che hanno lavorato sodo, che hanno combattuto, in silenzio, spesso misconosciuto. [...] Pure nella drammatica faticosa riscossa, sulle rovine del Paese, nel duro turbinio della guerra, pur nell'oasi di fede rappresentata da voi, qualche gruppetto, per la verità molto esiguo, tiene un atteggiamento equivoco [...]. Ce l'hanno con tutti senza sapere cosa vogliono. Ruffianano presso i tedeschi dando la triste impressione di italiani che si mangiano tra loro. [...]

Alcuni di essi, udite, udite, hanno proposto ai tedeschi l'idea dello scioglimento del Partito per riuscire meglio a conquistare la simpatia delle masse. [...]

Ve ne parlo perché è ora di finirla con il "tutto va bene" e perché bisogna avere il coraggio di dire che anche fra noi, come in ogni organizzazione, c'è del marcio. [...]

Voi veri squadristi comprendete meglio di me qual è la posta, come è serio il momento e come giovi ricordarsi soltanto della fede fanatica dell'idea: questo voi mi avete insegnato.»

(Giuseppe Solaro, Lettera agli squadristi torinesi, 10 marzo 1944)[18]

Il Fascio repubblicano era attraversato in quel momento dalla lotta intestina portata avanti, in modo per lo più clandestino, da due diverse componenti: quella nazional-fascista guidata da Antonio Burdin, che vorrebbe lo scioglimento del partito fascista repubblicano e la formazione di un governo militare d'emergenza, e quella degli squadristi dissidenti capeggiati da Mario Bodo, che vorrebbero una più dura epurazione di quanti, tra gli apparati dello Stato, non incarnano pienamente l'idea fascista.

Le due dissidenze si manifestano apertamente nell'assemblea federale del partito torinese del 17 giugno 1944, nella quale sia Burdin che Bodo prendono la parola, attaccando, pur da prospettive diverse, la gestione politica di Solaro[19]. Questi riesce tuttavia a chiedere la diffida da parte del questore di Torino dei capi delle due correnti e in seguito addirittura l'arresto di Burdin, indubbiamente quello su posizioni più lontane e più pericolose da quelle ufficiali del Partito fascista repubblicano.

A capo del partito-esercito[modifica | modifica wikitesto]

La decisione suggerita a Mussolini da Pavolini di trasformare il Pfr in un partito-esercito attraverso l'istituzione delle Brigate nere, trova da parte di Solaro un convinto sostenitore, poiché ciò si situa nella sua visione della necessità di una lotta senza quartiere alle forze partigiane, anche a costo di alienarsi del tutto il sostegno della popolazione.

«Il decreto del Duce sulla costituzione delle Brigate Nere ha trovato il fascismo repubblicano torinese già da tempo sulla linea di combattimento contro gli elementi antinazionali. Attraverso le squadre d'azione prima e il battaglione ausiliario organizzato dalla Federazione torinese poi, i fascisti repubblicani del capoluogo e della provincia avevano già dato un generoso contributo di lotta e di sangue».[20]

Il federale diviene di fatto il comandante della prima Brigata nera intitolata ad Ather Capelli, direttore della "Gazzetta del popolo" ucciso in un'azione partigiana. L'autunno del 1944 e il successivo inverno presentano una dura recrudescenza delle azioni partigiane e delle attività di rappresaglia e contrasto da parte delle forze occupanti tedesche e degli alleati fascisti. A preoccupare Solaro sembra essere l'incapacità da parte degli apparati fascisti di evitare lo sfogo di violenze gratuite sui civili da parte degli affiliati alle forze del fascismo repubblicano. In una lettera al Capo della provincia del 27 settembre 1944, avente come oggetto "Arbitrarie operazioni di polizia", Solaro scrive infatti:

«Mi sia perdonata l'insistenza con al quale ritorno sull'argomento delle arbitrarie operazioni di polizia e sui soprusi contro la popolazione e la proprietà compiute da taluni elementi in servizio presso le varie formazioni armate della Repubblica [...] È ben chiaro molta parte della popolazione mentre tollera i più gravi abusi dei ribelli, esagera volutamente le eventuali malefatte degli appartenenti alle forze armate repubblicane. [...] Ma è altresì vero che in parte le lagnanze dei civili, trovano riscontro in abusi effettivamente provocati da alcuni appartenenti alle forze repubblicane [...]»[21]

Al federale di Torino inizia a sfuggire la capacità di comprendere pienamente gli umori della popolazione, fino a venire meno qualunque possibilità di una lettura lucida e oggettiva del contesto in cui opera. L'8 febbraio del 1945, quando ormai le attività clandestine delle forze partigiane si stanno preparando allo sciopero insurrezionale che avverrà di lì a due mesi, Solaro scrive a pavolini una relazione secondo la quale la popolazione si stringe attorno alla Repubblica Sociale Italiana.

L'esecuzione[modifica | modifica wikitesto]

Solaro viene catturato sabato 28 aprile ed è lui stesso a rivelare la propria identità al colonnello dei carabinieri Scognamiglio che, a sua volta, lo affida agli ufficiali del comando partigiano. Procedono a un suo primo interrogatorio, volto anche a stabilirne davvero l'identità, il partigiano comunista Osvaldo Negarville, membro del Cmrp, e Bruno Mulas, vicecomandante della polizia partigiana[22].

Nel tentativo di alleggerire la propria posizione, Solaro si presenta come vicino alle idee comuniste, come dimostrano le sue scelte politiche, su tutte il sostegno alla socializzazione delle industrie. Soprattutto egli fornisce importanti dettagli sul sistema di cecchinaggio in atto e sul piano di difesa ad oltranza di Torino. Il tentativo di presentarsi come un elemento moderato, chiedendo per questo anche l'intercessione di monsignor Garneri, non sortisce alcun effetto.

L'indomani, domenica 29 aprile, Solaro viene processato da un tribunale militare composto da comandanti delle forze partigiane. Compongono la giuria: Alfredo Binzoni "Ovidio", Pompeo Colajanni "Barbato", Bruno Mulas "Lario", Osvaldo Negarville e Vincenzo Modica "Petralia".

Un apposito decreto legislativo dell'organo piemontese del CLN, la Giunta regionale per il governo del Piemonte, stabilisce che l'esecuzione debba avvenire attraverso l'impiccagione. Nel decreto n.5 del 29 aprile si legge:

« Ritenuta l'assoluta necessità che la esecuzione capitale dei maggiori responsabili dei crimini nefandi che più profondamente hanno commosso la coscienza popolare durante il regime di occupazione avvenga in una forma solenne ed esprima e consacri alla presenza del popolo l'indignazione della sua anima, decreta: in deroga alle vigenti disposizioni, l'esecuzione capitale di Giuseppe Solaro e Giovanni Cabras, condannati a morte da tribunali di guerra per atrocità di guerra, avverrà mediante capestro ».[23][24]

Monsignor Garneri, parroco del Duomo di Torino, prova una mediazione per modificare almeno le modalità dell'esecuzione:

«Avuta notizia del verdetto di condanna del Solaro per impiccagione, mi recai ad intercedere presso Passoni e Trabucchi, affinché la pena fosse convertita in fucilazione. Mi fu però risposto negativamente e mi fu fatto presente il detto che ricorreva sempre al Solaro: "Per i partigiani, basta un po' di corda"»[22]

La sentenza viene attuata il 30 aprile e il luogo prescelto per l'esecuzione è l'incrocio tra corso Vinzaglio e via Cernaia, non lontano dalla stazione di porta Susa. La scelta non è casuale: in quel luogo sono stati impiccati , il 22 luglio del 1944, quattro partigiani, tra cui Ignazio Vian, ufficiale della IV armata del Regio esercito, divenuto sin dal settembre del 1943 una delle figure più popolari e del movimento resistenziale in Piemonte.[24] Il trasferimento di Solaro verso il luogo in cui verrà eseguita la sentenza segue un preciso rituale di spettacolarità. Il camion che lo trasporta è scoperto e permette alla folla presente lungo le strade della città di riconoscere facilmente l'ex federale, a precedere il mezzo c'è un'automobile con i comandanti della XIX brigata Garibaldi. La testimonianza di don Giuseppe Garneri, permette di ricostruire il clima e l'atmosfera che regnava in città:

« La gente, invitata ad affluire lungo il percorso, formava in crescendo due fitte ali di popolo. Molti gridavano il loro odio. Ho visto donne urlare contro il condannato. Non dimentico mamme che additavano ai bambini Giuseppe Solaro. La scena ebbe momenti drammatici. Quasi a inserire un gesto di bontà fra tanto tumulto di folla, io presi una mano di Solaro nelle mie mani. Il gesto fu notato. Sentii un crescendo di odio e di ferocia. Furono indirizzate a me, prete, parole di insulto e di minacce [...]. Due partigiani del camion con delicatezza e prontezza mi fecero da schermo e da scudo. Poi fecero salire in piedi Solaro sulla panca perché fosse più visibile. »[25]

Le parole di don Garneri trovano riscontro nei ricordi dell'allora commissario politico della XIX brigata Garibaldi, Gianni Dolino:

« Via Cernaia nereggia di popolo, si alzano grida di morte, volano sputi, taluni tentano un assalto a strappare il prigioniero, dissuasi da una raffica in aria. Arrivati sull'angolo di corso Vinzaglio, si è davanti allo spettacolo di folla assiepata che urla, maledice, esige riparazione. »[26]

Lo storico Gianni Oliva ha ricostruito i momenti conclusivi dell'esecuzione basandosi sulle testimonianze orali conservate presso l'Archivio sonoro dell'Archivio Storico della Resistenza di Torino. Quando l'impiccagione viene eseguita, il ramo del platano a cui era stata legata la corda si spezza per il peso del corpo di Solaro. Alcune testimonianze orali sostengono che la corda venga legata ad un altro ramo più robusto, il capestro sia infilato una seconda volta al collo di di Solaro agonizzante e che questi sia nuovamente sollevato per concludere l'esecuzione[24]. Diversa è versione proposta dalla testimonianza di Gianni Dolino:

« All'esecuzione cede il ramo dal quale pende la corda. Solaro cade, nasce un parapiglia che a un partigiano costa una ferita al viso: il padre di un partigiano impiccato lì poco tempo prima finisce Solaro con una bastonata in testa. »[26]

A rendere ancora più convulsa la scena sono gli spari di alcuni cecchini ancora disposti sui tetti della città che aprono il fuoco sulla folla assiepata attorno al cadavere di Solaro[24].

Terminata l'esecuzione, il cadavere di Solaro viene prelevato e appeso sull'intelaiatura di un camion. Trasportato così per le vie della città, esso viene poi gettato nelle acque del fiume Po. Lo storico Gianni Oliva sostiene che, pur non potendo ricostruire come sia stata presa la decisione, questa possa rappresentare una sorta di contrappasso rispetto a quanto accadde oltre vent'anni prima per mano degli squadristi fascisti con il corpo del sindacalista torinese Pietro Ferrero:

« A distanza di due decenni, il trascinamento del cadavere del Ferrero attaccato al camion sopravvive nella memoria dei resistenti torinesi e forse per nemesi storica suggerisce un analogo trattamento per l'ex federale: ciò che è stato subito ieri, viene inflitto oggi. »[24]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Adduci N., Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese, p. 104.
  2. ^ Adduci, N., Gli altri..., p. 104.
  3. ^ a b Adduci, «Si spara sui fascisti e non sui prefetti!» Tra ricerca del consenso e guerra contro la comunità: la silenziosa lotta tra lo Stato e il partito a Torino, E-Review, Rivista degli Istituti Storici dell'Emilia Romagna in Rete, su e-review.it.
  4. ^ Adduci N., Gli altri, p. 101.
  5. ^ Adduci N., Gli altri, p. 109.
  6. ^ N. Adduci, Gli altri, pp. 107-110.
  7. ^ Pansa G., L'esercito di Salò, p. 165.
  8. ^ Adduci N., Gli altri, p. 121.
  9. ^ Adduci, N., Gli altri..., p. 125.
  10. ^ Adduci N., Gli altri, p. 126.
  11. ^ Adduci, N., Gli altri, p. 127.
  12. ^ Adduci N., Gli altri, p. 128.
  13. ^ N. Adduci, Gli altri, pp.129-134.
  14. ^ N. Adduci, Gli altri, pp. 149.
  15. ^ Adduci N., Gli altri, pp.150-162.
  16. ^ Adduci N., Gli altri, pp. 184-85.
  17. ^ C. Pecchenino, Arresti e deportazioni, in C. Dellavalle ( a cura di), Operai, fabbrica, Resistenza: conflitto e potere nel triangolo industriale (1943-1945),, Ediesse, 2017, p. pp. 431-435.
  18. ^ Adduci N., Gli altri, pp. 192-93.
  19. ^ Adduci, Gli altri, pp. 214-216.
  20. ^ Adduci N., Gli altri, p. 221.
  21. ^ Nicola Adduci, Gli altri, p. 275.
  22. ^ a b Nicola Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, Franco Angeli, 2014, p. 368-371.
  23. ^ Giorgio Vaccarino, Carla Gobetti e Romolo Gobbi, L'insurrezione di Torino, Parma, Guanda, 1968, pp. 318-19.
  24. ^ a b c d e Gianni Oliva, La resa dei conti. Aprile-maggio 1945: foibe, piazzale Loreto e giustizia partigiana., Milano, Mondadori, 1999, p. 36-40.
  25. ^ Giuseppe Graneri, Tra rischi e pericoli. Resistenza, liberazione, persecuzione contro gli ebrei: fatti e testimonianze, Pinerolo, Alzani, 1981, p. 82.
  26. ^ a b Gianni Dolino, Anche i boia muoiono, 1992, Edizioni Agt, 1992, p. 93.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Nicola Adduci, Gli altri. Fascismo repubblicano e comunità nel Torinese (1943-1945), Milano, Franco Angeli, 2014

Nicola Adduci, « Si spara sui fascisti e non sui prefetti!» Tra ricerca del consenso e guerra contro la comunità: la silenziosa lotta tra lo Stato e il partito a Torino, E-Review, Rivista degli Istituti Storici dell'Emilia Romagna in Rete

Giuseppe Graneri, Tra rischi e pericoli. Resistenza, liberazione, persecuzione contro gli ebrei: fatti e testimonianze, Pinerolo, Alzani, 1981

Gianni Oliva, La resa dei conti. Aprile-maggio 1945: foibe, piazzale Loreto e giustizia partigiana, Milano, Mondadori, 1999

Gianpaolo Pansa, Il gladio e l'alloro. L'esercito di Salò, Mondadori, Milano, 1991

Cristian Pecchenino, Arresti e deportazioni, in C. Dellavalle ( a cura di), «Operai, fabbrica, Resistenza: conflitto e potere nel triangolo industriale (1943-1945)», Ediesse, 2017

Giorgio Vaccarino, Carla Gobetti e Romolo Gobbi, L'insurrezione di Torino, Parma, Guanda, 1968