Utente:IlariaFornasier/BrefotrofiodiVicenza

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brefotrofio vicenza

Contesto storico[modifica | modifica wikitesto]

Povertà[modifica | modifica wikitesto]

Malattie[modifica | modifica wikitesto]

Introduzione ai brefotrofi[modifica | modifica wikitesto]

Brefotrofio di Vicenza[modifica | modifica wikitesto]

Dalle origini fino al 1400[modifica | modifica wikitesto]

L'ospedale di San Marcello fonda le sue origini agli inizi del XIV secolo ad opera di una confraternita di Battuti o flagellanti, detta fratrium batutorum seu verberatorum per la consuetudine dei confratelli, in determinati giorni, di fare penitenza con catenelle che portavano appese alla cintura. Ogni aderente alla fraglia doveva pagare un canone mensile che serviva per il mantenimento di poveri, malati, pellegrini, vecchi, orfani ed esposti ricoverati all'interno dell'ospedale di San Marcello. Quello che però rendeva possibile il funzionamento del servizio offerto dall'ospedale erano le donazioni concesse da varie personalità dell'epoca. La famiglia dei da Porto, ad esempio, donò all'ospedale all'incirca 16.000 ducati, acquisendo così il diritto di scegliere e nominare coloro che avrebbero governato l'istituto, privilegio detto iuspatronato, subito ratificato da vescovo di Vicenza Francesco Malipiero. Nel 1466, il vescovo Angelo Fasolo ordinò ai confessori di persuadere i penitenti, nel caso in cui avessero avuto figli ricoverati all'interno dell'ospedale, a contribuire alle spese. Inoltre il beato Bernardino da Feltre assieme a fra Marco da Montegallo diedero un notevole impulso allo sviluppo della struttura.

1500[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1530 l'ospedale di San Marcello si specializzò ad accogliere solo bambini illegittimi o esposti, prendendo così il nome di Casa degli Esposti ed, essendo l'unico all'interno del territorio, aveva a disposizione balie esterne che garantivano l'accudimento di oltre cento infanti. In questo periodo l'istituto godeva di una situazione economica non favorevole poiché si trovava in un luogo esonerato dal contribuire con tributi alle spese di mantenimento; d'altro canto sia la Repubblica di Venezia e la Chiesa sostenevano l'ospedale, i primi attraverso privilegi economici come l'esenzione da dazi, esoneri da imposte sulle proprietà terriere e i secondi con la concessione di indulgenze a chi dava elemosine a questo.

1600[modifica | modifica wikitesto]

Nel 1604 i Porto e la Fraglia stipularono un accordo al fine di ristabilire i loro rapporti sfaldati nel 1580. In seguito al Concilio di Trento, il concubinato ancillare poligamico e le relazioni sessuali legittimate dai cosiddetti sponsali "de fututro" scomparirono progressivamente; e proprio in questo periodo nacque la figura della "ragazza madre", emarginata sia dalla società sia dalla propria famiglia. Intanto l'ospedale di San Marcello dopo aver affrontato un periodo di precarietà economica, ebbe un parziale miglioramento dovuto all'epidemia di peste diffusasi intorno al 1630, la quale aveva provocato molte vittime tra i ricoverati e gli assistiti. il 24 maggio 1676 fu possibile migliorare la gestione dell'istituto grazi alla nomina di 33 dotti che avevano il compito "di sovraintendere alla gestione e controllare il tipo di assistenza erogata lasciando inalterato l'orinamento organizzativo esistente"[1].

1700[modifica | modifica wikitesto]

Per tutto il '700 l'ospedale di san Marcello fu segnato da una grave crisi economica, tant'è che per sollevare la situazione non bastarono le donazioni del Monte di Pietà o della famiglia Porto, ma fu necessario l'intervento avvenuto ne 1768 dal comune di Vicenza, il quale ordinò una previsione per l'istituto e venne elargita una grande quantità di denaro che servisse a risanare le casse della struttura. Intanto, all'inizio del secolo, venne nominato un Consiglio che aveva il compito di decidere la nomina del personale esecutivo ed era composto da: 2 conti Porto, 33 componenti della Congrega per gli esposti e, 33 membri della Fraglia dei Rossi ed una Banca, i cui 10 rappresentanti avevano il compito di gestire l'ambito economico. Dal 1768 la repubblica di Venezia rese obbligatoria la registrazione presso gli uffici di sanità di tutte le nascite e di tutti i decessi, pratica già messa in atto dal 1716 con i libri Ruota.[2].

1800[modifica | modifica wikitesto]

Sotto il governo di Eugenio di Beauharnais, viceré d'Italia, l'ospedale degli esposti prese il nome di Casa Centrale degli Esposti e risiedeva nel convento di san Rocco. La Casa degli Esposti passò successivamente sotto il dominio austriaco , il quale, stabilì che il bilancio dell'ospizio fosse a carico del tesoro dello Stato; inoltre fu stabilito che l'istituto dovesse essere diretto da un dottore di medicina, nominato dalla Deputazione Provinciale. Il governo austriaco qualificò la Casa degli Esposti di Vicenza fra le quattro Case Centrali del Veneto insieme a quelle di Venezia, Verona e Padova. Il politico italiano Pietro Bertolini nella sua relazione alla Deputazione Provinciale del 1871 riferisce che l'istruzione letteraria era impartita da un apposito maestro di lettere e aritmetica secondo metodi e libri per le scuole elementari dell'epoca. Agli inizi dell'800 cominciò ad essere discussa la validità dello strumento della Ruota degli Esposti, considerata da molti come causa di abusi e da sostituire con un ufficio di accettazione. Nel 1875 venne nuovamente cambiato il nome alla casa degli Esposti che diventò Istituto Centrale per i figli non legittimi abbandonati. Il consiglio provinciale cambiò nuovamente il nome dell'ospedale in Ospizio degli Infanti Abbandonati. A seguito di gravi carenze assistenziali all'interno del brefotrofio, si tennero delle ispezioni sanitarie che rivelarono numerose inadeguatezze riguardanti i locali e le loro condizioni igieniche.

1900[modifica | modifica wikitesto]

I bambini[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1500 al 1900, furono numerosi ed innumerevoli i casi di bambini esposti all'ospedale di San Marcello. Vi erano ricoverati per la maggior parte figli illegittimi di nobili e figli legittimi di famiglie in grave povertà. Le modalità di abbandono erano diverse: la ruota, utilizzata per compiere l'abbandono in anonimato e l'abbandono ai punti di accesso dell'ospedale ovvero la porta dei carri e la porta del campanello. La ruota degli esposti era un semplice congegno cilindrico in legno, situato verticalmente nel vano di una finestra, nella cui cavità veniva posto il lattante abbandonato e che ruotava su di un perno. Avvisato dal suono di un campanello, il priore o l'addetto all'accettazione faceva girare l'apertura e accoglieva il bambino.

"Adì 21 detto. Dalla porta delli carri a ore 4 circa fu posto un fanciulo a piedi della detta porta in strada, dove Adamo nostro fornaro, avvisò e subito s'aperse la detta porta e si ricevete, qual'era involto in una camisa da huomo tutta straza. Mandato al domo fu batezato con il nome di Giò Antonio. 1735 settembre 16 ore 1 e 1/2. fu battuto alla porta dei carri et ivi, con la comare del loco andati, fu da diversi vicini consignato un bambino involto in strazzi. Dissero averlo sentito vagire e così trovatolo nel gatolo che uscisce l'aqua della corte. Io priore mosso a pietà l'ho raccolto acciò non perisca. Saputo poi di certo esser questo di matrimonio fu da me mandato alli suoi genitori"[3].

L'abbandono presso le porte dell'ospedale consentiva invece di poter vedere la figura dei portatori, spesso le madri che arrivavano con il bambino in braccio, battevano alla porta e restavano successivamente all'ospedale come balie. Per la registrazione all'ospedale, oltre al numero d'ingresso, importante per la contabilità amministrativa e per avere una visione dell'andamento del numero dei bambini accolti, venne aggiunto dal 1772 anche il nome del bambino e il luogo di provenienza. Dal 1700, infatti, vengono introdotti dei verbali sulle esposizioni, i Libri Ruota che devono il nome dalla ruota degli esposti; si tratta di registri affidati ai priori dell'ospedale che verbalizzavano le esposizioni e documentavano le condizioni dei bambini accolti. I priori, inoltre, descrivevano minuziosamente anche il vestiario, i segnali, i bigliettini e i vari elementi attraverso i quali si poteva attribuire un'identità ai bambini. Tutti gli elementi utili per il riconoscimento del bambino erano conservati in una busta sigillata con cera lacca chiamata camicetta che portava la firma dello stesso priore; questo perchè un tempo al neonato abbandonato era fatta indossare una camicetta e la madre si teneva un pezzetto di stoffe che doveva rappresentare la prova che il figlio era suo. Ci si accertava anche che gli esposti avessero ricevuto il battesimo, e in caso contrario esso veniva somministrato portando il neonato al fonte battesimale del Duomo. L'ospedale non poteva ricevere però neonati provenienti da distretti diversi da quello vicentino, ma le eccezioni non mancavano: "A dì 24 agosto suddetto. Dalla porta dei carri domino Vicenzo Bonato da Baldaria, villa soggetta nel spirituale a Vicenza e nel temporale o sia secolare a colonia (per quanto disse detto Bonato) portò una bambina batezata dal reverendo Don Nicolò Cortivo, arciprete di Baldaria col nome Cattarina; che per non esser soggeta a questo ospitale la rimandavo indietro lì 28 detto e già la riportava in altro loco. Ma poco dopo sua eccellenza Antonio Michiel podestà e vice capitanio mandò i vari guardia con ordine che si debba tratenire nel loco."[4].

La mortalità degli esposti presso il Brefotrofio fu sempre molto alta, dai primi anni del 1400 fino al 1900. Le principali cause della mortalità infantile erano anzitutto fattori legati alla gravidanza e al parto, per la mancanza di latte materno che non poteva essere sostituito da latte artificiale adeguato all'età degli infanti, ma anche da carenze assistenziali ed igieniche, difficoltà respiratorie malattie infettive intestinali o malattie esantematiche. Per valutare correttamente la mortalità dei lattanti bisogna tener presenti le loro condizioni di partenza, ovvero: il loro peso e malattie al momento dell'abbandono, la nascita prematura. Dal punto di vista quantitativo la mortalità degli esposti era molto elevata: dal '600 all'800 si aggirava intorno al 25-30%. Dopo gli anni settanta dell'800 la mortalità infantile si aggirava intorno al 20%; questa sensibile diminuzione dei decessi è dovuta al miglioramento delle condizioni igieniche all'interno del Brefotrofio. Ai primi del '900 la mortalità era scesa al 17-18%.

A partire dal 1773 per ridurre le spese del Brefotrofio si era stabilito che i bambini superato il settimo anno d'età dovessero lasciare l'ospedale. Una volta fuori dal Brefotrofio diventavano mendicanti, malfattori. Per far fronte a questa situazione la signora Alba Caterina Checozzi, lasciò scritto nel suo testamento che i suoi mezzi finanziari fossero investiti per l'acquisto di un opificio-lanificio per accogliere questi giovani fino ai 21 anni per farne degli operai. Sempre durante il '900 fu data particolare attenzione all'istruzione scolastica, morale e religiosa degli esposti; i quali frequentavano le scuole elementari della città ed erano seguiti da maestre di sostegno o dalle stesse suore dorotee del Brefotrofio.

Le attrezzature[modifica | modifica wikitesto]

Dal 1926 viene pubblicata nel fascicolo "Ospizio Infanti abbandonati della provincia di Vicenza" una relazione completa che riassumeva le attrezzature e i sistemi di assistenza di cui godevano i bambini ricoverati. Le principali attrezzature venivano utilizzate per il trattamento di malattie come: il rachitismo, il linfatismo e la predisposizione alla tubercolosi. Nello stesso periodo vennero acquistate delle incubatrici per i lattanti e venne istituito il primo reparto di pediatria. Venne realizzato l'impianto di acqua calda per la balieria, per il servizio lavandini e bagni e per la lavanderia. Il brefotrofio era in continua trasformazione e miglioramento assistenziale.

Le figure materne[modifica | modifica wikitesto]

Le figure materne presenti all'interno del Brefotrofio erano: le madri e le balie. Le prime portavano i loro figli presso il Brefotrofio e ci restavano come balie; il loro compito era quello di allattare sia i propri figli sia quelli che non lo erano. Talvolta comparivano dopo diversi giorni dall'abbandono per riprendersi il bambino: "1732 maggio 1. Dalla porta dei carri Valerio da Breganze portò una bimba Caterina" "1732 maggio 20. Consegnata a Pasqua Menarda da Breganze sua madre, così essa ricercatala fu nuovamente restituita al loco" "1717 gennaio 18. Ore 6. Dalla porta è stato portato una fanciulla in brazzo alla madre che sono venuta per balia e sono batizata con il nome di Ana Maria. Consignata a Cattarina Sculiera baila".[5]. La stragrande maggioranza di esse erano ragazze madri emarginate dalla famiglia di appartenenza e dalla società. Erano allontanate dalla famiglia percé la maternità irregolare era un fatto che suscitava riprovazione, per questo non restava loro che partorire clandestinamente ed esporre il nascituro in istituto. Oltre alle balie interne al Brefotrofio vennero assunte anche balie esterne per la mancanza di personale all'interno dell'ospedale e per la necessità di provvedere all'allattamento in un periodo in cui il latte artificiale non esisteva. Il baliatico si sviluppò per concedere i bambini esposti in affido alle famiglie, che ne avevano fatto richiesta ed erano disponibili a nutrirli ed accudirli. In seguito a un determinato compenso ovvero il "bollettone" alla balia e la pensione alla famiglia detta anche tenutaria. Tuttavia questa pratica non era sempre esente dal pericolo di sfruttamento e da episodi di forte trascuratezza, a volte anche con conseguenze mortali: caduta dalla culla, caduta nelle fosse del letame, lesioni da parte di animali, ect. Il decreto "Norme per il baliatico esterno degli esposti appartenenti alla Casa Centrale di Vicenza", obbligava la balia di non allontanarsi mai tanto da non poter vedere il lattante ogni due ore nei primi tre mesi, ogni tre ore nei mesi successivi e almeno tre volte al giorno quando abbia raggiunto i sei mesi di vita; di non lasciarlo mai solo con altri bambini piccoli, di non darlo ad altre balie senza aver avvisato la direzione dell'istituto. Inoltre, la tenutaria era obbligata a prendersi cura del bambino più grande e di assicurargli l'educazione religiosa e scolastica, di non mandarlo a elemosinare e di non sottoporlo a lavori inadatti alla sua età. Le balie esterne a partire dal 1500 cominciarono ad essere pagate più dignitosamente: il mensile delle balie, per il primo anno di vita del bambino, a Vicenza era di nove lire. Tale compenso mensile diminuiva poi con l'età del bambino.

Brefotrofio oggi[modifica | modifica wikitesto]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ G. Ronconi (2007) Il brefotrofio di Vicenza (dal XV al XX sec.) dalla Casa degli Esposti di san Marcello all'Ospizio Infanti Abbandonati e IPAI di San Rocco, Editrice Veneta, Vicenza, p. 19.
  2. ^ I libri Ruota furono, nel corso del XVIII secolo, le uniche testimonianze dell'attività assistenziale svolta nell'ospedale. I responsabili della compilazione del registro avevano a disposizione due facciate: in quella di sinistra venivano annotate le entrate, mentre in quella di destra le uscite. Inizialmente i bambini assistiti venivano registrati con un numero progressivo, fino al 1772 quando si iniziò ad inserire il nome; inoltre venivano separati gli uni dagli altri da una linea orizzontale, in modo da rendere ben visibile il percorso che il singolo aveva compiuto all'interno della struttura. All'inizio in una facciata venivano registrati in media quattro o cinque nomi, poi dal 1806 si arrivò ad annotarne dodici circa, quando ormai compariva il luogo di origine degli infanti e successivamente anche il loro cognome.
  3. ^ ARCHIVIO STORICO VICENZA, Fondo San Marcello, b. 573, n. 905, cit. in M. L. De Gregorio, I libri Ruota dell'Ospedale di San Marcello a Vicenza nel secolo XVIII, in: cur. C. Grandi (1997) "Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda". L'infanzia abbandonata nel Triveneto (secoli XV-XIX), Canova, Treviso, p. 148.
  4. ^ ARCHIVIO STORICO VICENZA, Fondo San Marcello, b. 573, n. 905, cit. in M. L. De Gregorio, I libri Ruota dell'Ospedale di San Marcello a Vicenza nel secolo XVIII, in: cur. C. Grandi (1997) "Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda". L'infanzia abbandonata nel Triveneto (secoli XV-XIX), Canova, Treviso, p. 148.
  5. ^ ARCHIVIO STORICO VICENZA, Fondo San Marcello, b. 573, n. 905, cit. in M. L. De Gregorio, I libri Ruota dell'Ospedale di San Marcello a Vicenza nel secolo XVIII, in: cur. C. Grandi (1997) "Benedetto chi ti porta, maledetto chi ti manda". L'infanzia abbandonata nel Triveneto (secoli XV-XIX), Canova, Treviso, p. 147.

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]