Tuccia

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Vestale
Quentin Metsys il Giovane, Ritratto di Elisabetta I con il crivello di Tuccia in mano

Tuccia o Tuzia è stata una leggendaria vestale romana protagonista di una vicenda narrata da Tito Livio, Valerio Massimo[1] e Dionigi di Alicarnasso.

La vicenda[modifica | modifica wikitesto]

Tuccia era stata ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità (incestum), colpa punita con una pena severissima. La vestale chiese di poter provare la sua innocenza sottoponendosi a una ordalia consistente nel tentare di raccogliere l'acqua del Tevere con un setaccio, dopo aver richiesto l'aiuto della dea Vesta. La prova riuscì e Tuccia venne ritenuta innocente.

Nell'arte[modifica | modifica wikitesto]

La leggenda di Tuccia ricorre frequentemente in opere letterarie o in raffigurazioni. Fra i numerosi altri artisti che hanno raffigurato Tuccia si ricordano Domenico Corvi, Polidoro da Caravaggio, Giovan Battista Moroni, Antonio Corradini, Andrea Mantegna, Andrea Casali e Carlo Maratta e Lattanzio Gambara.

Simbologia[modifica | modifica wikitesto]

«Fra l'altre la vestal vergine pia
che baldanzosamente corse al Tibro,
e per purgarsi d'ogni fama ria
portò del fiume al tempio acqua col cribro»

  • Per Cesare Ripa, Tuccia era la rappresentazione della Castità[2].
  • L'immagine della vestale con un setaccio in mano, simbolo di Verginità, si ritrova spesso nei cassoni nuziali. Un riferimento alla vicenda della vergine vestale è presente in un ritratto di Elisabetta I d'Inghilterra, raffigurata da Quentin Metsys il Giovane con un crivello in mano.
  • La figliuola di Carlo Maratta, Faustina Maratti, che aveva subito un tentativo di ratto a cui i familiari dell'assalitore addirittura fecero seguire delle calunniose accuse per le quali la Maratti subì un lungo procedimento giudiziario, vide in Tuccia la perseguitata dagli uomini che riusciva a dimostrare la propria innocenza con l'aiuto della Divinità[3]
  • Fuori dal coro, Giovenale che nella VI satira (nota come "Contro le donne") rappresenta Tuccia come incapace di vincere la lussuria[4].

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ «Eodem auxilii genere Tucciae virginis Vestalis incesti criminis reae castitas infamiae nube obscurata emersit. Quae conscientia certa sinceritatis suae spem salutis ancipiti argumento ausa petere est: arrepto enim cribro "Vesta" inquit, "si sacris tuis castas semper admovi manus, effice ut hoc hauriam e Tiberi aquam et in aedem tuam perferam. Audaciter et temere iactis votis sacerdotis rerum ipsa natura cessit.», Valeri Maximi Factorum et Dictorum Memorabilium Liber VIII, 8.1.abs.5.
  2. ^ «CASTITÀ. Donna, vestita di bianco si appoggi ad una Colonna, sopra la quale vi sarà un Crivello pieno d'acqua. In una mano tiene un ramo di Cinnamomo, nell'altra un vaso pieno d'Anella. Sotto alli piedi un Serpente morto, et per terra vi saranno danari, et gioie. Vestesi questa donna di bianco per rappresentare la purità dell'animo, che mantiene questa virtù, et s'appoggia alla colonna, perché non è finto, et apparente, ma durabile, et vero. Il Crivello sopra detta colonna per lo gran caso, che successe alla Vergine Vestale è indicio, ò simbolo di castità.»
    Cesare Ripa, Iconologia, overo descrittione dell'imagini universali cavate dall'antichità et da altri luoghi da Cesare Ripa Perugino, opera non meno utile, che necessaria à Poeti, Pittori, Scultori, per rappresentare le virtù, vitij, affetti, et passioni humane, in Roma, Per gli Heredi di Gio. Gigliotti, MDXCIII, Con Privilegio, et con Licenza de' Superiori.
  3. ^ Sonetto XXVI "Questa che in bianco ammanto, e in bianco velo", in Giuseppe Cioffi (ed.), "Rime dell'avvocato Gio. Batt. Felice Zappi e di Faustina Maratti, sua consorte, sulla XV edizione veneta espurgata ed accresciuta d'altre rime de' più celebri Arcadi di Roma", Napoli, 1833 [1], s:Rime dell'avvocato Gio. Batt. Felice Zappi e di Faustina Maratti, sua consorte/Questa che in bianco ammanto, e in bianco velo.
  4. ^ "Tuccia vesicae non imperat"
    D. Iuni Iuvenalis Saturae VI, 64

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