Trasferimenti di popolazione polacca nel 1944-46

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La Linea Curzon ed i cambiamenti territoriali della Polonia, 1939-1945. Le aree rosa e gialla rappresentano il territorio che era polacco prima della guerra (Kresy) e quello che era tedesco (Territori recuperati), rispettivamente.

I trasferimenti di popolazione polacca nel 1944-46 ebbero luogo dalla metà orientale della Seconda Repubblica di Polonia e sono noti anche come espulsione dei polacchi dalla macroregione di Kresy;[1] si riferiscono alla migrazione forzata di polacchi verso e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale. Una simile politica, applicata dall'Unione Sovietica fra il 1939 e il 1941, aveva riguardato i residenti polacchi nella zona di occupazione sovietica dopo l'invasione nazi-sovietica della Polonia. La seconda ondata di espulsioni cominciò dopo la riconquista della Polonia dall’Armata Rossa nella contro-offensiva sovietica e il conseguente spostamento nei confini polacchi ratificati dagli Alleati.

I trasferimenti nel dopoguerra erano parte di una politica ufficiale sovietica, che condizionò milioni di cittadini polacchi, spostati a tappe dalle aree annesse all’Unione Sovietica. In seguito alle richieste sovietiche avanzate nella Conferenza di Teheran del 1943, la macroregione Kresy venne formalmente incorporata nelle repubbliche sovietiche di Ucraina, Bielorussia e Lituania, come accordato nella Conferenza di Potsdam del 1945, dove il governo polacco in esilio non venne nemmeno invitato.[2]

Il trasferimento forzato dei polacchi fu deciso dai leader alleati - Franklin D. Roosevelt, Winston Churchill e Joseph Stalin – durante la Conferenza di Teheran e in quella di Yalta. Negli effetti fu una delle più grosse fra le numerose evacuazioni ed espulsioni dopo la Seconda Guerra Mondiale, che in totale hanno trasferito nell’Europa Centrale ed Orientale circa 20 milioni di persone.[3] Secondo I dati ufficiali, durante le espulsioni controllate dallo Stato fra il 1945 ed il 1946, circa 1.167.000 polacchi lasciarono il territorio divenuto sovietico, meno del 50% fra coloro che erano registrati per il trasferimento. Il trasferimento successivo ebbe luogo nel 1955-59, dopo la morte di Stalin.[4]

Il processo è citato in modo vario come espulsione,[1] deportazione,[5][6] depatriazione,[7][8][9] o rimpatrio,[10] in base al contesto e alla fonte. Il termine ‘’rimpatrio’’ è usato ufficialmente da fonti comuniste sia sovietiche che polacche ed è una deliberata manipolazione[11][12], dal momento che le persone deportate lasciarono il loro luogo natale e non vi stavano facendo ritorno.[7] Talvolta vi si riferisce anche con ‘’primo rimpatrio’’, in contrasto con il secondo del 1955-59. In un contesto più ampio viene a volte descritto come il culmine di un processo di de-polonizzazione delle aree dopo la guerra.[13] Il processo venne pianificato e portato avanti dai regimi comunisti di Unione Sovietica e Polonia post-bellica. Molti dei trasferiti vennero insediati negli ex territori orientali della Germania dopo il 1945, i cosiddetti Territori recuperati della Repubblica Popolare di Polonia.

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ a b Jerzy Kochanowski, Gathering Poles into Poland. Forced Migration from Poland's Former Eastern Territories, in Philipp Ther, Ana Siljak (a cura di), Redrawing Nations: Ethnic Cleansing in East-Central Europe, 1944–1948, Lanham, Rowman & Littlefield Publishers, 2001, ISBN 978-0-7425-1094-4.
  2. ^ John A.S. Grenville, A History of the World from the 20th to the 21st Century, Psychology Press, 2005, pp. 285, 301, ISBN 0-415-28955-6. Ospitato su Google Books.
  3. ^ Jürgen Weber, Germany, 1945–1990: A Parallel History, Budapest, Central European University Press, 2004, p. 2, ISBN 963-9241-70-9.
  4. ^ (PL) Włodzimierz Borodziej, Ingo Eser, Stanisław Jankowiak, Jerzy Kochanowski, Claudia Kraft, Witold Stankowski e Katrin Steffen, Przesiedlenie ludności polskiej z Kresów Wschodnich do Polski 1944–1947 [Resettlement of Poles from Kresy 1944–1947], a cura di Stanisław Ciesielski, Varsavia, Neriton, 1999, pp. 29, 50, 468, ISBN 83-86842-56-3.
  5. ^ Z. R. Rudzikas, Democracy and Mathematics in Lithuania, in Antonino Zichichi, Richard C. Ragaini (a cura di), International Seminar on Nuclear War and Planetary Emergencies, 34th session, World Scientific, 2002, p. 190, ISBN 978-0-300-12599-3. URL consultato il 10 luglio 2009.
  6. ^ Timothy D. Snyder, The Local World War, in Sketches from a Secret War: A Polish Artist's Mission to Liberate Soviet Ukraine, New Haven, Connecticut, Yale University Press, 2007, pp. 190-193, ISBN 0-300-12599-2. Ospitato su Google Books.
  7. ^ a b (PL) Józef Poklewski, Polskie życie artystyczne w międzywojennym Wilnie, Toruń, Toruń University Press, 1994, p. 321, ISBN 83-231-0542-1.
  8. ^ Krystyna Kersten, The establishment of Communist rule in Poland, 1943–1948, Berkeley, University of California Press, 1991, p. 535, ISBN 0-520-06219-1.
  9. ^ Krystyna Kersten, Repatriacja ludności polskiej po II wojnie światowej: studium historyczne, Wrocław, Polish Academy of Sciences, Ossolineum, 1974, p. 277.
  10. ^ Bogumiła Lisocka-Jaegermann, Post-War Migrations in Poland, in Mirosława Czerny (a cura di), Poland in the geographical centre of Europe, Hauppauge, New York, Nova Science Publishers, 2006, pp. 71-87, ISBN 1-59454-603-7. Ospitato su Google Books.
  11. ^ Norman Davies, God's Playground, Chapters XX-XXI, ISBN 83-240-0654-0, ZNAK 2006
  12. ^ (PL) Sławomir Cenckiewicz, SB a propaganda polonijna: Między sowiecką agenturą a koncepcją "budowania mostów", 2005. URL consultato il 10 luglio 2009 (archiviato dall'url originale il 3 marzo 2016).
    «Takie postrzeganie „zagranicznych Polaków" potwierdza chociażby tzw. pierwsza kampania powrotowa (zwana niesłusznie repatriacją), którą komuniści zainicjowali niemal od razu po zakończeniu II wojny światowej.»
  13. ^ (PL) Jan Czerniakiewicz, Stalinowska depolonizacja Kresów Wschodnich II Rzeczpospolitej (Stalinist de-Polonization of the Eastern Borderlands of the 2nd Republic), Varsavia, Centre for Eastern Studies, Warsaw University, 1992, p. 20.