Benito Albino Dalser: differenze tra le versioni
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Benito Albino visse con la madre in varie località fino al 1926 quando la donna, che non aveva rinunciato a proclamarsi ''legittima'' consorte del capo del [[fascismo]], fu internata nel [[manicomio di Pergine Valsugana]] e, successivamente, in quello di [[San Clemente (isola)|San Clemente]] nella [[Laguna di Venezia|laguna |
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veneziana]]. Dopo il primo ricovero coatto della madre il bambino fu mandato in collegio prima a [[Moncalieri]] dai [[Chierici Regolari di San Paolo|padri Barnabiti]] poi, dopo la morte dello zio Arnaldo, nel [[1931]], in un collegio di minore prestigio. Nel [[1932]] fu adottato da Giulio Bernardi |
veneziana]]. Dopo il primo ricovero coatto della madre il bambino fu mandato in collegio prima a [[Moncalieri]] dai [[Chierici Regolari di San Paolo|padri Barnabiti]] poi, dopo la morte dello zio Arnaldo, nel [[1931]], in un collegio di minore prestigio. Nel [[1932]] fu adottato da Giulio Bernardi, che ne divenne anche il tutore. Benito Albino non riuscì mai più a rivedere la madre e, secondo il giornalista trentino, sarebbe vissuto nel desiderio costante di essere riconosciuto dal padre. |
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Arruolatosi nella [[Regia Marina]], dopo aver frequentato il corso di [[telegrafia]]<ref>Nel medesimo numero della rivista ''Storia illustrata'', citato nella nota precedente, nella pagina 96, compaiono due foto: una di Ida Dalser, l'altra di Benito Albino nella divisa della Regia Marina. Sul berretto del ragazzo si legge la scritta "TELEGRAFISTI".</ref> a [[La Spezia]] insieme con un nipote del padre adottivo, Giacomo Minella, si imbarcò con il compagno sull'[[Quarto (esploratore)|esploratore Quarto]] in navigazione verso la [[Cina]]. Secondo le testimonianze di Minella, Benito Albino manifestò più volte ai commilitoni la sua stretta parentela con il duce. Fatto rimpatriare, fu anch'esso, come la madre, rinchiuso in un istituto psichiatrico a Mombello di [[Limbiate]] (l'allora grande manicomio [[provincia di Milano|provinciale di Milano]]), dove morì nel [[1942]] per [[consunzione]]<ref>Secondo la testimonianza di Riccardo Paicher, cognato di Ida Dalser, l'espressione usata per descrivere la causa del decesso fu ''marasma'' una sorta di estremo deperimento organico. Fonte: Maria Antonietta Serena, articolo citato in bibliografia. Nell'articolo di Rendina (vedi "Collegamenti esterni") la morte del giovane, secondo le cartelle cliniche ritrovate, sarebbe da imputare alle ripetute [[iniezione (medicina)|iniezioni]] di [[insulina]], che lo mandarono ripetutamente in [[coma]], sino a provocarne il decesso. È da tener presente che l'insulina era utilizzata in molti paesi, sin dal [[1935]], per la cura della [[schizofrenia]]. Vedi: [[Terapia elettroconvulsivante]], sezione Storia.</ref>: alcuni studiosi hanno definito la sua scomparsa "un delitto di regime"<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/19/mussolini-due-morti-sospette.html ''Mussolini e due morti sospette''], ''[[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]'', 19 gennaio 2006</ref>, anche se non vi sono prove certe della parentela. |
Arruolatosi nella [[Regia Marina]], dopo aver frequentato il corso di [[telegrafia]]<ref>Nel medesimo numero della rivista ''Storia illustrata'', citato nella nota precedente, nella pagina 96, compaiono due foto: una di Ida Dalser, l'altra di Benito Albino nella divisa della Regia Marina. Sul berretto del ragazzo si legge la scritta "TELEGRAFISTI".</ref> a [[La Spezia]] insieme con un nipote del padre adottivo, Giacomo Minella, si imbarcò con il compagno sull'[[Quarto (esploratore)|esploratore Quarto]] in navigazione verso la [[Cina]]. Secondo le testimonianze di Minella, Benito Albino manifestò più volte ai commilitoni la sua stretta parentela con il duce. Fatto rimpatriare, fu anch'esso, come la madre, rinchiuso in un istituto psichiatrico a Mombello di [[Limbiate]] (l'allora grande manicomio [[provincia di Milano|provinciale di Milano]]), dove morì nel [[1942]] per [[consunzione]]<ref>Secondo la testimonianza di Riccardo Paicher, cognato di Ida Dalser, l'espressione usata per descrivere la causa del decesso fu ''marasma'' una sorta di estremo deperimento organico. Fonte: Maria Antonietta Serena, articolo citato in bibliografia. Nell'articolo di Rendina (vedi "Collegamenti esterni") la morte del giovane, secondo le cartelle cliniche ritrovate, sarebbe da imputare alle ripetute [[iniezione (medicina)|iniezioni]] di [[insulina]], che lo mandarono ripetutamente in [[coma]], sino a provocarne il decesso. È da tener presente che l'insulina era utilizzata in molti paesi, sin dal [[1935]], per la cura della [[schizofrenia]]. Vedi: [[Terapia elettroconvulsivante]], sezione Storia.</ref>: alcuni studiosi hanno definito la sua scomparsa "un delitto di regime"<ref>[http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2006/01/19/mussolini-due-morti-sospette.html ''Mussolini e due morti sospette''], ''[[La Repubblica (quotidiano)|La Repubblica]]'', 19 gennaio 2006</ref>, anche se non vi sono prove certe della parentela. |
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Benito Albino Dalser (Milano, 11 novembre 1915 – Mombello di Limbiate, 26 agosto 1942) noto anche con i cognomi Mussolini (se si dà credito alla versione del giornalista trentino Marco Zeni) e Bernardi (dal nome del padre adottivo e tutore) fu (come ben raccontato dal documentario Il segreto di Mussolini di Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli) figlio di Ida Irene Dalser e di Benito Mussolini.
Biografia
Secondo la ricostruzione di Zeni, basata su un'intervista che questi afferma di aver avuto con la Dalser, sarebbe stato riconosciuto a Milano dal padre l'11 gennaio del 1916. Tuttavia l'atto di riconoscimento non è mai stato trovato[1][2]. Nel 1925 Benito Mussolini, da circa tre anni capo del governo, nello stesso anno del suo matrimonio religioso con Rachele Guidi, avrebbe assegnato al piccolo Benito Albino una dote di centomila lire in Buoni del Tesoro[3] ma, al di fuori di questa elargizione, non si occupò direttamente del bambino. I rapporti con Benito Albino furono invece tenuti dal fratello del duce Arnaldo che ebbe nei confronti del nipote un comportamento affettuoso.
Benito Albino visse con la madre in varie località fino al 1926 quando la donna, che non aveva rinunciato a proclamarsi legittima consorte del capo del fascismo, fu internata nel manicomio di Pergine Valsugana e, successivamente, in quello di San Clemente nella laguna veneziana. Dopo il primo ricovero coatto della madre il bambino fu mandato in collegio prima a Moncalieri dai padri Barnabiti poi, dopo la morte dello zio Arnaldo, nel 1931, in un collegio di minore prestigio. Nel 1932 fu adottato da Giulio Bernardi, che ne divenne anche il tutore. Benito Albino non riuscì mai più a rivedere la madre e, secondo il giornalista trentino, sarebbe vissuto nel desiderio costante di essere riconosciuto dal padre.
Arruolatosi nella Regia Marina, dopo aver frequentato il corso di telegrafia[4] a La Spezia insieme con un nipote del padre adottivo, Giacomo Minella, si imbarcò con il compagno sull'esploratore Quarto in navigazione verso la Cina. Secondo le testimonianze di Minella, Benito Albino manifestò più volte ai commilitoni la sua stretta parentela con il duce. Fatto rimpatriare, fu anch'esso, come la madre, rinchiuso in un istituto psichiatrico a Mombello di Limbiate (l'allora grande manicomio provinciale di Milano), dove morì nel 1942 per consunzione[5]: alcuni studiosi hanno definito la sua scomparsa "un delitto di regime"[6], anche se non vi sono prove certe della parentela.
Cinema
- Sulla vicenda di Benito Albino è imperniato il film Vincere di Marco Bellocchio (2009), nel film il ruolo di Benito Albino da bambino è ricoperto da Fabrizio Costella, mentre da adulto da Filippo Timi
Televisione
- Il 14 gennaio 2005, il programma La grande storia su Rai 3 ha trasmesso un documentario curato da Fabrizio Laurenti e Gianfranco Norelli.
- Il 3 luglio 2009 gli è stata dedicata una puntata nella trasmissione Enigma, condotta da Corrado Augias.
Note
- ^ Sulla rivista Storia illustrata, Arnoldo Mondadori Editore, numero 259, giugno 1979, nell'articolo Gli arricchiti all'ombra di Palazzo Venezia di Silvio Bertoldi, nella pagina 97, viene citato un certificato del comune di Milano, del 21 ottobre 1916, nel quale si dichiara: "... la famiglia del militare Mussolini Benito è composta dalla moglie Dalser Ida e di numero 1 figli ..."
- ^ Sulla rivista Historia, nell'articolo citato in bibliografia, si fa sempre riferimento a un documento del comune di Milano, verosimilmente il medesimo della nota precedente, riportato in forma più estesa: "Il sindaco del suddetto comune attesta che la famiglia del militare Mussolini è composta da moglie e da numero uno figli e ha diritto pel primo lunedì al soccorso di lire 7,70 e per ogni lunedì successivo di lire 2,45 [...] Li 21 ottobre 1916".
- ^ Fonte: Maria Antonietta Serena, articolo citato in bibliografia. La cifra, rapportata al potere di acquisto dell'anno 2007 (ultimo anno disponibile) secondo i coefficienti di trasformazione Istat, equivale a circa 73.000 Euro.
- ^ Nel medesimo numero della rivista Storia illustrata, citato nella nota precedente, nella pagina 96, compaiono due foto: una di Ida Dalser, l'altra di Benito Albino nella divisa della Regia Marina. Sul berretto del ragazzo si legge la scritta "TELEGRAFISTI".
- ^ Secondo la testimonianza di Riccardo Paicher, cognato di Ida Dalser, l'espressione usata per descrivere la causa del decesso fu marasma una sorta di estremo deperimento organico. Fonte: Maria Antonietta Serena, articolo citato in bibliografia. Nell'articolo di Rendina (vedi "Collegamenti esterni") la morte del giovane, secondo le cartelle cliniche ritrovate, sarebbe da imputare alle ripetute iniezioni di insulina, che lo mandarono ripetutamente in coma, sino a provocarne il decesso. È da tener presente che l'insulina era utilizzata in molti paesi, sin dal 1935, per la cura della schizofrenia. Vedi: Terapia elettroconvulsivante, sezione Storia.
- ^ Mussolini e due morti sospette, La Repubblica, 19 gennaio 2006
Bibliografia
- Pieroni, Alfredo. Il figlio segreto del Duce: la storia di Benito Albino Mussolini e di sua madre Ida Dalser. Milano, Garzanti, 2006. ISBN 88-11-60050-2.
- Serena, Maria Antonietta. L'"altra moglie" del duce. Historia, giugno 1968, numero 127, pp. 60–61. Edizioni Cino del Duca.
- Zeni, Marco. La moglie di Mussolini. Trento, Effe e Erre, 2005. ISBN 88-901945-0-2.
- Dinelli Umberto La Mussolina Cierre Edizioni 2010
Collegamenti esterni
- Sergio Luzzatto, Così il Duce distrusse la famiglia segreta, su archiviostorico.corriere.it.
- Alfredo Pieroni, La vera storia del bigamo Mussolini, su archiviostorico.corriere.it.
- Massimo Rendina, Mussolini, Ida Dalser, il loro figlio Benito Albino, su storiaxxisecolo.it.
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