Ideale dell'ostrica: differenze tra le versioni

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Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, [...] questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, [...] mi sembrano - forse pel quarto d'ora - cose serissime e rispettabilissime anch'esse.|[[Giovanni Verga]], da ''[[Fantasticheria]]'' in ''[[Vita dei campi]]'', 1880}}
Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, [...] questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, [...] mi sembrano - forse pel quarto d'ora - cose serissime e rispettabilissime anch'esse.|[[Giovanni Verga]], da ''[[Fantasticheria]]'' in ''[[Vita dei campi]]'', 1880}}


L''''ideale dell'Ostrica''' si basa sulla convinzione che per coloro che appartengono alla fascia dei deboli è necessario rimanere legati ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare che il mondo, cioè il "pesce vorace", li divori.
L''''ideale dell'Ostrica''' si basa sulla convinzione che per dio che appartengono alla fascia dei deboli è necessario rimanere legati ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare che il mondo, cioè il "pesce vorace", li divori.


== Il concetto secondo Verga ==
== Il concetto secondo Verga ==

Versione delle 11:44, 12 ott 2019

«- Insomma l'ideale dell'ostrica! - direte voi. - Proprio l'ideale dell'ostrica! e noi non abbiamo altro motivo di trovarlo ridicolo, che quello di non esser nati ostriche anche noi -.
Per altro il tenace attaccamento di quella povera gente allo scoglio sul quale la fortuna li ha lasciati cadere, [...] questa rassegnazione coraggiosa ad una vita di stenti, questa religione della famiglia, [...] mi sembrano - forse pel quarto d'ora - cose serissime e rispettabilissime anch'esse.»

L'ideale dell'Ostrica si basa sulla convinzione che per dio che appartengono alla fascia dei deboli è necessario rimanere legati ai valori della famiglia, al lavoro, alle tradizioni ataviche, per evitare che il mondo, cioè il "pesce vorace", li divori.

Il concetto secondo Verga

Intorno all'ideale dell'ostrica è costruito il romanzo di Verga I Malavoglia, ma già nella novella Fantasticheria, scritta prima del 1878, lo scrittore si dilunga a parlare della povera gente, anticipando i personaggi del suo primo romanzo verista e chiarisce la filosofia, o necessità, di vita, dei pescatori di Aci Trezza.

La novella è in forma di lettera ad una dama dell'alta società, che fermatasi per due giorni nel paesino di pescatori, affascinata da quel mondo pittoresco, rude e semplice, subito annoiata fugge.

Ecco l'incipit: "Una volta, mentre il treno passava vicino ad Aci-Trezza, voi, affacciandovi allo sportello del vagone, esclamaste - Vorrei starci un mese laggiù! Noi vi ritornammo, e vi passammo non un mese, ma quarantott'ore; i terrazzani che spalancavano gli occhi vedendo i vostri grossi bauli avranno creduto che ci sareste rimasta un par d'anni. La mattina del terzo giorno, stanca di vedere eternamente del verde e dell'azzurro, e di contare i carri che passavano per via, eravate alla stazione, e gingillandovi impaziente colla catenella della vostra boccettina da odore, allungavate il collo per scorgere un convoglio che non spuntava mai"[1]

In questa novella Verga parla dell'ideale dell'ostrica che sostiene la povera gente. Nel concetto dell'autore, finché i contadini, i braccianti, i pescatori vivono protetti dall'ambiente che li ha visti nascere e crescere, finché credono e rispettano i valori in cui hanno creduto e che hanno rispettato i loro padri, allora, anche se poveri, sono al sicuro. Il problema nasce quando cominciano a provare il desiderio del cambiamento, il desiderio di migliorare, di progredire. Come l'ostrica che vive sicura finché resta avvinghiata allo scoglio dov'è nata, così l'uomo di Verga vive sicuro finché non comincia ad avere smànie di miglioramento.

Così, lo scrittore continua a parlare, dolcemente, con la dama in questa novella che ha tanto il sapore di un programma stilistico e contenutistico: “... mi è parso ora di leggere una fatale necessità nelle tenaci affezioni dei deboli, nell'istinto che hanno i piccoli di stringersi fra loro per resistere alle tempeste della vita, e ho cercato di decifrare il dramma modesto e ignoto che deve aver sgominati gli attori plebei che conoscemmo insieme. Allorquando uno di quei piccoli, o più debole, o più incauto, o più egoista degli altri, volle staccarsi dai suoi per vaghezza dell'ignoto, o per brama di meglio, o per curiosità di conoscere il mondo; il mondo, da pesce vorace com'è, se lo ingoiò, e i suoi più prossimi con lui. - E sotto questo aspetto vedrete che il dramma non manca d'interesse. Per le ostriche l'argomento più interessante deve esser quello che tratta delle insidie del gambero, o del coltello del palombaro che le stacca dallo scoglio”.[2]

Anche nella prefazione a I Malavoglia Verga afferma chiaramente questo concetto chiarendo, inoltre, che ritornerà a parlare della gente del bel mondo e dei salotti perché la sua ideologia non privilegia una classe sociale piuttosto che un'altra.

Giovanni Verga nacque nel 1840 a Vizzini (Catania) che, nel 1854, fu colpita da un’epidemia di colera. Proprio a quattordici anni a causa di questo contagio Verga si trasferì dalla città alla campagna, oggetto di descrizione in molte sue novelle come “La Roba”. Esattamente un anno dopo questo cambiamento radicale scrisse e pubblicò il suo primo romanzo intitolato “Amore e patria”; proprio da quel momento iniziò ad appassionarsi alla scrittura che pian piano diventò la sua grande passione ed il suo lavoro, contrariamente a ciò che volevano i suoi genitori ovvero che diventasse avvocato; continuò a dedicarsi alla scrittura e nei suoi racconti scrisse di persone reali anche tristi e sconfitte dalla vita. Nel 1865 si trasferì a Firenze dove scrisse la maggior parte delle sue opere come “I Malavoglia” ma soprattutto dove conoscerà Luigi Capuana che gli racconterà del verismo francese, finora a lui sconosciuto. Nel 1872 si recò a Milano dove, sposatosi, si dedicò all’attività giornalistica; soltanto nel 1893 ritornò a Catania dove nel 1920 fu proclamato senatore d’Italia anche se ricoprì tale carica per due anni poiché morì nel 1922.


Il verismo è una corrente letteraria nata nel 1870 in Francia e sviluppatasi dalla fine del diciannovesimo secolo (1800) all’inizio del ventesimo secolo (1900) e con Giovanni Verga come esponente principale. Le tematiche affrontate dagli autori nelle opere sono vere, i personaggi sono realmente esistiti così come i luoghi e le situazioni che descrivono. Un emblema veristico è la narrazione impersonale ovvero, l’autore non esprime propri commenti nelle opere ed utilizza un linguaggio semplice e diretto parecchie volte dialettale.

Note

  1. ^ Fantasticheria, in Giovanni Verga. Tutte le novelle, a cura di Carla Riccardi, Mondadori, Milano, 1979, pag.129
  2. ^ op.cit., pag.136

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