Raffaele Menici

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Raffaele Menici (Temù, 13 dicembre 1895Corteno Golgi, 17 novembre 1944) è stato un militare, partigiano, e bancario italiano.

Biografia[modifica | modifica wikitesto]

Durante la prima guerra mondiale aveva combattuto come alpino, richiamato nel secondo conflitto è inviato sul fronte greco-albanese, come tenente colonnello del 6º alpini, dopo l'armistizio viene catturato dai tedeschi a Zara, riesce a fuggire e a ritornare in Val Camonica.

Attività nella resistenza[modifica | modifica wikitesto]

È tra gli organizzatori della Resistenza e comandante delle brigate dell'alta valle, nel 1944 viene incaricato da Ferruccio Parri di prendere contatto con i dirigenti Edison per difendere gli impianti idroelettrici della zona dai nazifascisti.

Rifiuta l'adesione alle brigate cattoliche Fiamme Verdi per evitare frizioni con le Brigate Garibaldi. Costretto a prendere una decisione confluisce nella 54ª Brigata Garibaldi attiva in Val Saviore e alta Val Camonica, il 5 ottobre 1944.

Dopo pochi giorni, le SS di stanza ad Edolo fanno irruzione nella sua casa e prelevano la moglie, la figlia, sua sorella e i nipoti Idilia e Zefferino Ballardini, il quale verrà giustiziato nel campo di Edolo. La moglie e la figlia vengono deportate nel campo di transito di Gries-San Quirino vicino a Bolzano. Il 18 ottobre, avendo fissato un incontro con i tedeschi per il rilascio della moglie, nel luogo dell'appuntamento trova i partigiani delle Fiamme Verdi, che lo accusano di tradimento e lo costringono a seguirli in Val Brandet sede del comando della Brigata Schivardi. Sottoposto a processo dal tribunale della brigata, riesce a provar la propria lealtà ma è forzatamente obbligato all'espatrio in Svizzera.[1].

Non arriva mai in Svizzera: il 17 novembre, scortato da un partigiano, è diretto verso Tirano e la Val Poschiavina quando in territorio di Corteno Golgi viene raggiunto da una raffica di mitra che lo uccide. La sua fine è ricordata da una lapide posta a lato della strada sul luogo del fatto.

Controversie dopo la morte[modifica | modifica wikitesto]

Mimmo Franzinelli nel 1995 pubblica nei "Quaderni della Fondazione Micheletti" un volume monografico dal titolo Un dramma partigiano. Il caso Menici. Fiamme verdi, garibaldini e tedeschi in Alta Val Camonica, nel quale sostiene la responsabilità delle Fiamme verdi; Ermes Gatti presidente dell'Associazione partigiani cattolici nel 2002 pubblica un libro dal titolo Difendo le Fiamme Verdi. L'Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione in Italia nella sua biografia definisce la sua morte come un agguato orchestrato dalle Fiamme Verdi e dai nazisti[2]. Anche lo storico Paolo Pezzino riferendosi a casi confrontabili con quello di Dante Castellucci nella presentazione del libro il piombo e l'argento di Carlo Spartaco Capogreco cita il caso di Raffaele Menici:

«... la vicenda dell'uccisione del capo partigiano russo Nicola Pankov, che si era rifiutato di unirsi con i suoi uomini (erano poco più che un drappello, una decina di persone) ad una formazione garibaldina, e viene quindi fatto fuori. Un altro storico Mimmo Franzinelli molto noto perché ha pubblicato poi vari libri tra cui uno importantissimo sull'OVRA, in un “Quaderno” della Fondazione Micheletti del 1995, parla di una vicenda (Un dramma partigiano. Il “caso Menici”) che questa volta coinvolge i verdi, cioè le formazioni autonome: un colonnello partigiano della Valcamonica, Raffaele Menici, il quale fu addirittura consegnato dalle Fiamme Verdi ai tedeschi, e da questi giustiziato [sic] perché considerato un pericolo (perché troppo a sinistra) per l'egemonia cattolica sul movimento partigiano della zona. E di recente Massimo Storchi, che è il direttore dell'Istituto per la storia della Resistenza di Reggio Emilia, ha scritto un libro (Sangue al bosco del Lupo. Partigiani che uccidono partigiani. La storia di “Azor”) sull'uccisione di Mario Simonazzi, il partigiano cattolico “Azor”, vicecomandante della 76ª Brigata Sap, scomparso sulle colline dell'appennino emiliano nel marzo del ‘45, e ucciso probabilmente (la vicenda è ancora di ambigua interpretazione) da elementi garibaldini in un regolamento di conti appunto nel marzo del 1945»

[3]

Anche il giornalista Guido Assoni pare sposare la tesi dell'accordo coi nazisti nel suo articolo "La banda dei Russi" ove per un parallelo colle motivazioni dell'assassinio di Nicolaj Pankoff cita, tra gli altri eventi analoghi, il caso Menici:

".....In Val Camonica per mano delle Fiamme Verdi del futuro generale Ragnoli, si verificherà l’assurda consegna ai tedeschi, con conseguente uccisione, del colonnello Raffaele Menici."[4]

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ [1][collegamento interrotto] Lettera inviata a Venanzio Ballardini il 17 novembre 1944, Val Brandet
  2. ^ Copia archiviata, su italia-liberazione.it. URL consultato il 14 novembre 2008 (archiviato dall'url originale il 24 dicembre 2013). Biografia di Raffaele Menici dal sito di INSMLI
  3. ^ Trascrizione della Relazione pronunciata dal Prof. Paolo Pezzino a Sarzana, il 16 marzo 2007, per la presentazione, in prima nazionale, del volume Il piombo e l'argento di Carlo Spartaco Capogreco
  4. ^ Guido Assoni, La banda dei Russi, in Valsabbia News, 15 Giugno 2017.

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

  • Ercole Verzeletti, Fazzoletti rossi, fazzoletti verdi: dissidio nella resistenza in val Camonica, Edizioni di cultura popolare, 1975
  • Mimmo Franzinelli, Un dramma partigiano. Il "caso Menici", Quaderni della Fondazione Micheletti, 1995
  • Ermes Gatti, Protagonista e testimone, una vita dedicata all'affermazione dei valori della libertà, LED Liberedizioni, 2002

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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