Museo d'arte cinese ed etnografico

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Museo d'arte cinese ed etnografico
Facciata d'ingresso
Ubicazione
StatoBandiera dell'Italia Italia
LocalitàParma
Indirizzocasa madre dei Missionari Saveriani - viale San Martino 8
Coordinate44°47′19.05″N 10°19′36.08″E / 44.788624°N 10.326688°E44.788624; 10.326688
Caratteristiche
Tipoarte, etnografia
Collezionioggetti, monete, arredi e dipinti d'arte cinese, africana e Kayapó
Periodo storico collezioniIII millennio a.C. - XX secolo
Istituzione1898
FondatoriGuido Maria Conforti
Apertura1901
ProprietàPia società di San Francesco Saverio per le missioni estere
Visitatori6 000 (2019) e (2022)
Sito web

Il Museo d'arte cinese ed etnografico ha sede in viale San Martino 8 a Parma, all'interno della casa madre dei Missionari Saveriani.

Considerato uno dei più importanti d'Europa,[1] fu originariamente inaugurato nel 1901, ma la sua ultima completa ristrutturazione risale al 2012.[2]

Storia[modifica | modifica wikitesto]

L'Istituto Saveriano fu fondato nel 1895 dall'allora monsignor Guido Maria Conforti in una casetta di borgo Leon d'Oro a Parma. La prima idea di un museo dedicato alla conoscenza delle culture dei popoli ai quali destinare la missione evangelizzatrice nacque nel 1898, conseguentemente alla donazione da parte del conte senatore Fedele Lampertico di alcuni pezzi cinesi provenienti dall'Esposizione universale di Torino di quell'anno.[2][3][4][5]

Nel 1900 partirono i lavori per la costruzione della casa madre dei Missionari Saveriani, che fu completata nel 1901, contemporaneamente all'inaugurazione del museo; in quello stesso anno i primi missionari rientrando alla sede portarono numerosi oggetti dalla Cina, arricchendo la neonata esposizione.[2][4][5]

Negli anni successivi il museo si arricchì notevolmente in seguito al rientro dalla missione di padre Giovanni Bonardi, che portò con sé bronzi, porcellane, dipinti, monete e molto altro materiale e gestì fino al 1936 l'esposizione, che andava incrementandosi ad ogni ritorno in sede dei padri saveriani; il processo però cessò bruscamente nel 1948, quando i cambiamenti politici in Cina decretarono l'espulsione di tutti i missionari.[2][4]

Durante la seconda guerra mondiale la collezione fu conservata al sicuro in una villa a Basilicanova, per poi ritornare nella sede nel 1950.[2][5]

La casa madre fu notevolmente ampliata tra il 1957 e il 1959 e il museo fu spostato nella sede definitiva, in ambienti appositamente creati per esporre le collezioni d'arte cinese e il materiale etnografico, unitamente agli oggetti provenienti dalle altre missioni nel mondo avviate nel frattempo. Sotto la direzione di padre Giuseppe Toscano l'esposizione si arricchì di altro materiale, che consentì di creare un primo catalogo del museo nel 1965.[2][5]

Nel 2010 iniziò un complesso intervento di ristrutturazione, che ampliò notevolmente la superficie espositiva; l'inaugurazione del nuovo museo avvenne il 1º dicembre del 2012.[2][3]

Percorso espositivo[modifica | modifica wikitesto]

Area Cina

Il museo occupa, oltre al grande salone seminterrato originario, anche varie sale al piano terreno e al primo piano dell'ala est della casa madre: mentre il livello seminterrato è dedicato allo spazio Cina, al livello terreno si trovano la reception, lo spazio per le mostre temporanee e lo spazio Kayapò e infine al primo livello la sala didattica, l'ufficio, la biblioteca e la saletta archivio e documentazione.[6][3]

Sono fondamentalmente cinque le aree destinate all'esposizione: l'area ingresso; l'area mostre temporanee; l'area Kayapò; l'area Africa; l'area Cina.[6]

Area Ingresso[modifica | modifica wikitesto]

La "Corda della saggezza" della popolazione Lega del Congo

L'ingresso, suddiviso in tre diverse zone, è strutturato in modo da illustrare con filmati e foto la missione del museo e una breve sintesi delle culture dei vari popoli avvicinati durante l'opera missionaria.[6][3]

All'inizio del percorso è collocato un pannello intitolato "La corda della saggezza", che illustra, con oggetti appesi ad una corda, le usanze e proverbi del popolo della Lega o Warega, un'etnia della Repubblica popolare del Congo, composta da circa 250 000 persone.

Area Mostre temporanee[modifica | modifica wikitesto]

L'area, destinata ad esposizioni temporanee, ospita inoltre una serie di sagome dei padri saveriani più significativi per la lunga storia del museo.[6][3]

Area Kayapò[modifica | modifica wikitesto]

Diadema del popolo amazzonico dei Kayapò

L'area, che rappresenta la più completa collezione italiana relativa al popolo dei Kayapó, raccoglie la significativa quantità di 500 loro oggetti di uso quotidiano, pervenuti al museo grazie alla passione del padre saveriano Renato Trevisan, che ha vissuto circa 30 anni della sua vita a contatto con la piccola comunità amazzonica.[7][8][3][5]

Una serie di pannelli descrive le loro caratteristiche e la loro cultura: la pittura corporale, le armi, i miti, i loro ideali di vita e il loro ambiente. Nella collezione è presente un diadema composto da piume caudali di pappagallo ara macao rosso e blu legate tra loro con fili di cotone, che un tempo era utilizzato nelle grandi celebrazioni; il suo ondeggiare sulla musica dava il senso del desiderio dell'uomo di volare.[7]

Area Africa[modifica | modifica wikitesto]

Maschere arte africana

Una piccola area riassume con alcuni oggetti la cultura dei popoli africani[8] avvicinati nelle missioni delle epoche più recenti, in Congo (zona da cui giunge la maggior parte degli oggetti raccolti), Sierra Leone e Camerun.[3]

Si possono osservare maschere usate per i riti funebri dell'area Kivu, oggetti vari dell'area Shabunda e assemblaggi cerimoniali composti da figure zoomorfe intagliate nel legno.[9]

Area Cina[modifica | modifica wikitesto]

L'area più importante, dedicata all'arte cinese, è raggiungibile attraverso una rampa che scende al centro del salone seminterrato, ricco di vetrine.[6][3]

Strumenti musicali cinesi: strumento a fiato "suona" e piatto per orchestra Cymbal "Bo"

Tra gli oggetti in mostra, delle più svariate epoche, meritano particolare attenzione:

Collezione di monete cinesi

Note[modifica | modifica wikitesto]

  1. ^ Museo d'Arte cinese ed Etnografico Parma, 2012, su konvergence.it. URL consultato il 30 ottobre 2016.
  2. ^ a b c d e f g Una storia secolare, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  3. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p Museo d'Arte Cinese ed Etnografico - Parma, su museiparma.it. URL consultato il 5 settembre 2023.
  4. ^ a b c Strina, pp. 147-153.
  5. ^ a b c d e Delendati, pp. 90-95.
  6. ^ a b c d e f g h i j k l I nuovi allestimenti del Museo, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  7. ^ a b Collezione Kayapò, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 9 gennaio 2016).
  8. ^ a b c d e f g h Museo d'Arte Cinese ed Etnografico, su touringclub.it. URL consultato il 5 settembre 2023.
  9. ^ Collezione d'Arte Africana tradizionale, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  10. ^ Collezione Ceramiche, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  11. ^ La Tradizione dei Calchi, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 4 marzo 2016).
  12. ^ Collezione Monete, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  13. ^ Collezione Bronzi, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  14. ^ Collezione Dipinti, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  15. ^ Religiosità Popolare, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  16. ^ Collezione Etnografica Cinese, su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 28 gennaio 2017).
  17. ^ Strumento a fiato (suona), su museocineseparma.org. URL consultato il 30 ottobre 2016 (archiviato dall'url originale il 9 aprile 2016).

Bibliografia[modifica | modifica wikitesto]

Voci correlate[modifica | modifica wikitesto]

Altri progetti[modifica | modifica wikitesto]

Collegamenti esterni[modifica | modifica wikitesto]

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