Grande moschea di Mahdia

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La Grande Moschea (X sec.)

La Grande Moschea di Mahdia (arabo: الجامع الكبير في المهدية al-Jāmiʿ al-kabīr fī al-Mahdiyya) fu fondata dal primo Imam fatimide Ubayd Allah al-Mahdi, nel 916 (anno 303—304 dell'Egira). L'edificio ha subito numerose modifiche nel corso dei secoli e particolarmente in epoca ottomana, dopo le distruzioni spagnole del 1554. Tra il 1961 e il 1965 essa è stata totalmente rinnovata dall'architetto francese Alexandre Lézine, che ne ha eseguito il recupero, rispettando nelle linee essenziali il progetto del X secolo. Della struttura originaria sopravvivono il portale monumentale d'accesso e la galleria settentrionale, mentre il resto è frutto di ricostruzione[1].

Posizione e descrizione generale

Situata nella parte meridionale della penisola su cui sorge la medina di Mahdia, la Grande Moschea venne eretta all'indomani della fondazione della città, all'interno delle mura califfali, su di una piattaforma artificiale “guadagnata al mare”, come ci informa il geografo andaluso al-Bakri[2] (XI secolo), analogamente ad altri edifici a lei prossimi, oggi scomparsi.

Mahdia, Grande Moschea: il portale monumentale di età fatimide (X sec.)

L'edificio è costituito da un vasto quadrilatero irregolare, lungo circa 85 metri per approssimativi 55 metri di larghezza, con il lato sud - ospitante il mihrab che indica la qibla della sala di preghiera - leggermente più ampio di quello settentrionale.

Vista dall'esterno la Grande Moschea si presenta assai simile a una fortezza, a motivo delle massicce mura perimetrali prive di varchi – salvo i tre in facciata - l'uso esteso della pietra da taglio apparecchiata in conci regolari anche nei settori originali dell'edificio e soprattutto, per la presenza in facciata di due tozze torri quadrangolari che la cingono agli angoli nord-est e nord-ovest.

L'ingresso principale, posto al centro della parete settentrionale e fiancheggiato da due aperture minori, è scandito da un grande arco monoforo su piedritti, coronato da un breve attico. La solennità del portale è esaltata dalla semplicità delle modanature che ne ripartiscono le superfici e da una decorazione di concisa potenza: archi ciechi "a ferro di cavallo" nel registro inferiore, e nicchie "a miḥrāb"[3] in quello superiore a inquadrare l'archivolto, del quale riprendono il motivo a listello profilato della cornice.

All'interno, un ampio cortile (arabo: sahn) è circondato da portici su tutti e quattro i lati. Il portico settentrionale conserva ancora le volte originali a sesto acuto su pilastri in pietra, mentre i restanti si compongono di arcate "a ferro di cavallo" su colonne di stile corinzio: singole ad est ed ovest; geminate a sud, nel nartece antistante la sala di preghiera (arabo: Musalla).

Questa, un'ampia sala ipostila su colonne corinzie, si compone di nove navate perpendicolari alla qibla e quattro campate. La navata centrale è nettamente più alta e ampia delle laterali, illuminata dall'alto ed è delimitata su ogni lato da una fila di spesse arcate binate "a ferro di cavallo" sostenute da gruppi di quattro colonne, in luogo delle consuete colonne geminate impiegate nelle navate laterali. Così definita, la navata centrale traccia all'interno dell'organismo indistinto dell'ipostilo, un asse fortemente connotato in direzione del miḥrāb, dinanzi al quale essa si interseca con la campata di eguale ampiezza parallela alla parete della qibla, dando luogo ad un organismo architettonico caratteristico - la c.d. pianta « a T » - il cui nodo centrale è sottolineato da una crociera. Aperta lungo l'asse della navata da un arcone trionfale "a ferro di cavallo", la crociera è delimitata agli angoli da pilastri e semipilastri "a fascio" costituiti da gruppi di semicolonne di altezza sia normale che "gigante", sui quali si eleva la cupola (arabo: qubba) emisferica. Questa poggia su di un basso tamburo ottagono perforato da 24 finestrelle schermate da vetri di colore verde. Le spinte dell'una e dell'altro sulla pianta quadrata della crociera sono sopportate da pennacchi angolari retti dalle semicolonne d'ordine gigante, mentre una fascia in marmo scuro decorata con iscrizioni tratte dal Corano marca il passaggio dall'una all'altra figura del complesso meccanismo strutturale.

Punto focale dell'intera composizione architettonica, l'area antistante la nicchia del miḥrāb è immersa in una penombra soffusa della sottile luce verde (il colore dell'Islam) riverberata dall'alto delle finestrelle colorate del tamburo. Il miḥrāb, in pietra chiara di Keddāl, ha la forma di un arco "a ferro di cavallo" sostenuto da due colonne di marmo verde scuro "annicchiate"[4] negli stipiti. Al suo interno ospita una ricca decorazione scolpita, distribuita su due registri, separati all'imposta[5] da una fascia epigrafica in marmo bianco a caratteri cufici, recante versetti coranici (arabo: āyāt) . Nel registro inferiore nove scanalature terminano alla sommità in conchiglie a cinque e dieci lobi, seguite da un fregio di trifogli ad altorilievo; in quello superiore, ancora scanalature ma convergenti in un solo punto all'apice dell'arco.

L'insolita presenza di un secondo e più piccolo miḥrāb — una semplice nicchia “a ferro di cavallo” priva di decorazioni — presente nella sala di preghiera, ma in posizione eccentrica, nella parete ovest, si giustificherebbe invece, con l'accesa polemica sorta tra sciiti e sunniti in merito alla corretta direzione verso La Mecca.

Storia

La moschea di al-Mahdi

Quando Ubayd Allah al-Mahdi fondò Mahdia (Mahdiyya) nel 909, scelse di costruire la Grande Moschea in un'area della città murata, prossima alla residenza califfale. L'aspetto fortificato del monumento risente ancora dello spirito di frontiera che aveva accompagnato lo sviluppo dell'architettura religiosa dell'Ifrīqiya nei primi secoli della conquista araba. E del resto, la stessa Mahdia, era stata concepita dal suo fondatore, come munitissima città-rifugio, a prova di assedio, dopo le crescenti ostilità della popolazione sunnita all'imposizione del credo sciita. Tuttavia, le due severe torri d'angolo non furono concepite per la difesa del complesso, bensì come serbatoi di raccolta delle acque piovane delle terrazze. È probabile anzi, che per un certo periodo almeno, esse fossero rifornite dalla condotta d'acqua che serviva il palazzo di al-Mahdi, alimentata dalle fonti sotterranee di Miyyanish, a sei chilometri dalla città. Non sembra che la moschea fosse dotata di un minareto, ed è probabile che il richiamo alla preghiera avvenisse proprio da una delle torri.

La moschea è ampiamente debitrice nella pianta e in altre particolarità architettoniche della Grande moschea di Qayrawan (IX secolo), monumento modello per tutta la successiva architettura religiosa dell'Ifriqiya. Ma il grande portale in aggetto, riservato al Califfo e al suo seguito, costituisce una innovazione dei maestri costruttori di Mahdia; una svolta fondamentale nell'architettura islamica, con cui si attribuiva per la prima volta significato estetico e simbolico all'ingresso ai luoghi di culto, del tutto anonimi fino a quel momento, anche nel caso di monumenti di notevole prestigio. Esemplato sul modello degli archi di trionfo romani (ma sono stati chiamati in causa anche gli ingressi dei castelli di epoca omayyade), il monumentale portale segnava l'inizio di un percorso cerimoniale interno al monumento, che si dipanava attraverso ulteriori episodi architettonici in parte inediti, fino al fondo della musalla. Dall'ingresso principale, infatti, un inusitato corridoio coperto tagliava in due il cortile, per poi innestarsi attraverso il nartece nella navata centrale, più alta e ampia delle laterali, fino alla cupola del mihrāb, presso il quale il califfo fatimide giungeva per assolvere le sue funzioni di Imam della comunità.

La struttura "basilicale" della sala di preghiera articolata in navate perpendicolari alla qibla, con l'enfatizzazione dell'asse simbolico e direzionale "navata centrale-mihrāb", segnato dalla cupola, ma rivelato già nella facciata-nartece attraverso la sottolineatura architettonica dell'arcata centrale (maggiori dimensioni, sostegni costituiti da una combinazione di pilastri e colonne al posto delle consuete colonne binate, ecc.), costituiva una formula già sperimentata con successo a Qayrawān un secolo prima.

Ma la sintassi architettonica dei singoli elementi del complesso - di per sé eccezionali nel caso del portale e del corridoio coperto - è del tutto peculiare della Grande Moschea di Mahdia.

Note

  1. ^ Lamia Hadda, Nella Tunisia medievale. Architettura e decorazione islamica (IX-XVI secolo), Liguori Editore, Napoli, 2008, pp.72-73. ISBN 978-88-207-4192-1
  2. ^ La jāmiʿ (la Grande Moschea), la corte dei conti e molti altri edifici sono situati su un terreno guadagnato al mare, citazione da al-Bakri in Lamia Hadda, op. cit.. p. 72. Al-Bakri, andaluso, morto nel 1094 (487 dell’Egira) scrisse un trattato di geografia intitolato: Descrizione dell’Africa Settentrionale (arabo: Kitāb al masālik wa l-mamālik ): Mondher Kilani, Antropologia. Una Introduzione, Edizioni Dedalo, Bari, 1994, p. 196
  3. ^ Così definite in A.A.V.V., Ifriqiya. Tredici secoli d'arte e d'architettura in Tunisia, Electa/Démetér, 2000, pp. 178-179; ISBN 88-435-7412-4 (Electa)
  4. ^ Viene così definita una colonna « ...che sia in parte incassata nella concavità di muro o di pilastro.» ed Giacomo Ravazzini, Dizionario di Architettura, Hoepli, Milano, 1992 (Ristampa 2004), p. 11. ISBN 88-203-1999-3
  5. ^ Per una definizione del termine, vedi "nomenclatura dell'arco" alla voce: Arco (It.Wikimedia)