Ferdinando Galli da Bibbiena

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Ferdinando Maria Galli, detto Ferdinando Galli da Bibbiena o anche Ferdinando Galli Bibbiena o anche Bibiena (Bologna 1657-1743), fu uno scenografo, architetto e trattatista italiano.

Biografia

Formatosi a Bologna, studiando prima pittura poi quadratura e prospettiva, eseguendo, tra il 1674-75, sotto la guida di Stefano Torelli, la scenografia per il teatro della Fortuna di Fano.

Attivo come decoratore già dal 1676, insieme al fratello Francesco lavora a Mirandola, Modena e Novellara, eseguendo una serie di cicli ad affreschi tutti distrutti. Tra il 1678 e il 1684, realizza le decorazioni del salone da ballo di Palazzo Fantuzzi a Bologna, con sulle pareti un loggiato, aperto verso un giardino, visto, su tre lati in prospettiva normale, mentre nel quarto improvvisamente scivola in una direzione angolata, come a ricollegare la sala con il monumentale scalone di Paolo Canali in corso d'opera.

Per ventotto anni, dal 1685 fino al 1708, fu al servizio di Ranuccio Farnese a Parma, dal 1687 come pittore e dal 1697 come «primo architetto ducale». Tra il 1685-87 eseguì gli affreschi e forse anche l’architettura dell’Oratorio del Serraglio di San Secondo e tra il 1687-90 la decorazione dell’Oratorio della Morte a Piacenza. Tra il 1687 e il 1700 costruì l’altare Buratti per Santa Maria degli Alamanni a Bologna e il teatro per la rocca di Soragna.

Nel 1688, prese parte ai lavori di abbellimento e di riorganizzazione del teatro ducale parmense e di quello della Pilotta. Nel 1690 ristrutturò il collegio dei nobili a Parma e progettò la facciata di palazzo Rangoni Farnese. Tra il 1693-97 lavorò nel Palazzo Costa a Piacenza. Dal 1699 al 1708 diresse i lavori di ammodernamento della reggia e del giardino di Colorno, portati a termine da Giuliano Mozani.

Nel 1709 si recò a Barcellona per sovrintendere agli spettacoli per le nozze di Carlo III, rientrando a Parma nel 1711, l'anno succesivo diede i disegni per la doppia volta del coro della chiesa di Sant'Antonio Abate, realizzanto la volta inferiore forata da cui si può scorgere la decorazione della volra superiore. Nel 1717 fu a Vienna, dove realizzò gli apparati festivi per l'imperatore Carlo VI, divenedo «primo architetto teatrale».

Nel 1717, a causa di una malattia agli occhi, rientrò a Bologna, dove realizzò i progetti per la specola dell’Istituto delle Scienze, nel 1720 quelli per lo scalone di palazzo Malvezzi, per la sala delle feste in palazzo Ranuzzi e per l’appartamento del gonfaloniere nel Palazzo pubblico. Nel 1726 fornì i disegni per il campanile di Santa Cristina della Fondazza. Dal 1719 eseguì, assieme al figlio Antonio, i lavori di restauro del teatro della Fortuna di Fano e tra il 1719-22 o restauri alla chiesa di San Giovanni Evangelista a Rimini e lavorando, sempre in quest'ultima città, tra il 1723-24 alla chiesa dei Teatini.

Nel 1727 progettò l’altare della chiesa del Rosario a Cento, del 1734, sono le coperture della chiesa parrocchiale di Villa Pasquali e in una cappella di Santa Maria Assunta a Sabbioneta, consistenti in grate curvilinee attraverso le quali si scopre il cielo dipinto. Nel 1739 realizzò la villa Paveri Fontana a Caramello.

Alla sua attività sono anche sa riferire sia l'ammodernamento, in stile barocco, del castello di Lisignano che, secondo alcune fonti, la progettazione della parrocchiale di Cadeo.

È autore di tre trattati di architettura e prospettiva tra cui L’architettura civile preparata sulla geometria e ridotta alle prospettive, del 1711, dove è teorizzata la veduta per angolo, espediente usato per la prima volta a Bologna da Marcantonio Chiarini nel 1694, che permette una visone della scena teatrale diversa da quella dell'epoca barocca in cui la scena del fondale era costruita secondo un punto di fuga su un asse centrale, che se permetteva la continuità spaziale tra scena finta e sala reale, rendeva la veduta ormai insoddisfacente per le valutazioni estetiche della prima meà del Settecento, il sistema rendeva possibile creare un fondale teatrale, costruito attraverso un serie di direttrici prospettiche, indipendenti da quelle della sala, e inclinate rispetto ad esso, secondo un angolo variabile definito da linee diagonali, con al centro la visione per angolo di un edificio, da cui partono gli assi prospettici, verso due fuochi laterali ed estreni alla scena, in questo modo si riusciva ad avere sia una migliore visibilità da ogni punto della sala che una maggiore possibilità di elaborazione fantastica data dalla creazione di uno spazio infinito, al di là del proscenio, divenuto una semplice premessa, e non più parte integrante della scena teatrale.

Bibliografia

  • A. Griseri, Le metamorfosi del Barocco, Torino, 1967, pagina 259.