Discussione:Contado di Serralunga

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Storia
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So per certo non è copiata da altra fonte, semmai attinge da più fonti, ma rielaborando. Certo è lunga, ma credo sia attinenete e completissima. Non esiste nulla del genere in circolazione se non un saggio del prof. Renato Bordone del 1977.--FefemakFefemak 13:08, 23 nov 2006 (CET)[rispondi]

Ho cominciato a fare un po' di lavoro sporco.--Fefemak

ho finito di sistemarla, certo non come se fosse un comune perchè comune non è di certo, ma una cosa del tutto diversa. Quindi rimuovo l'avviso. --Fefemak 08:42, 8 gen 2007 (CET)[rispondi]

Testi spostati[modifica wikitesto]

Sposto qui parti di testo che andrebbero in altra voce MM (msg) 21:51, 8 gen 2007 (CET)[rispondi]

Sezione: Il contado nell'ordinamento feudale[modifica wikitesto]

Nel periodo al quale si riferisce la storia di Serralunga, l'assetto amministrativo e territoriale prevedeva un'articolazione provinciale dell'Impero, la cui unità di base era costituita dal comitatus (contado), governato da un pubblico ufficiale, rappresentante dell'Imperatore, germanico , detto comes o comites (conte), insediato nel capoluogo. Il conte era innanzitutto il capo dell'esercito del distretto a lui affidato e aveva il potere di richiamare alla leva tutti gli uomini abilitati presenti nel territorio. Inoltre amministrava la giustizia, sia sotto l'aspetto normativo che esecutivo, e si occupava della gestione fiscale dei possessi imperiali: terreni, diritti di passaggio lungo determinate strade e ponti, mercati. Tale amministrazione si avvaleva di una discreta organizzazione burocratica: funzionari pubblici per espletare il controllo giurisdizionale ed amministrativo del territorio, inviati dell'imperatore, giudici, notai, militi. Con il tempo questa organizzazione andò incontro ad un grave problema: i feudatari nominati dall'Imperatore si comportavano come se fossero i veri padroni sia dei territori sia delle funzioni pubbliche di cui erano investiti. I conti iniziarono a "dinastizzare" le loro funzioni, cioè a trasmettere ai propri eredi, insieme alle proprietà personali, anche il titolo e l'autorità sul territorio a loro affidato. Tutto questo dette origine ad una dispersione del potere Imperiale, il quale provvide a contrastare il fenomeno con l'investitura dei Vescovi-Conti: il voto di celibato poneva fine all'ereditarietà del feudo.

Col termine allodio si designavano nel medioevo i beni in piena proprietà e sui quali si esercitava il possesso. La differenziazione rivestì grande importanza perché la netta separazione fra beni allodiali e beni feudali comportava differenze essenziali nell'ordine dei poteri connessi alla titolarità dei beni stessi. Infatti il titolare dei beni allodiali aveva nei riguardi dei contadini, coloni, comunque abitanti le terre stesse, poteri di natura patrimoniale; mentre il titolare dei beni feudali vantava diritti a carattere pubblico, in quanto parte della sovranità dello Stato. In merito alla proprietà allodiale vi era una sostanziale differenza fra l'Italia e le altre regioni europee: in queste ultime vigeva il principio «terre nulle sans seigneur» che comportava la presunzione che ogni terra fosse feudale e la eccezionalità di beni allodiali; mentre in Italia vigeva il principio contrario, «nul seigneur sans titre», che richiedeva l'espressa prova della feudalità di ogni terra, presumendosi quindi che normalmente ogni bene fosse allodiale.

La varie protezioni, sia politiche che militari, accordate ai feudatari dal potere imperiale, di fatto pose i titolari di soli beni allodiali in una condizione di netta inferiorità sociale. Questi signori, gravati da pesanti oneri fiscali, furono costretti a legarsi, offrendo le loro terre, ad un signore feudale, il quale poi le investiva agli stessi come feudo.

Asti nel Medioevo[modifica wikitesto]

Prima di trattare le vicende del contado di Serralunga è necessario conoscere i motivi che le hanno determinate o influenzate, e questi vanno rintracciati nella storia di Asti. Il contado astigiano, di origine carolingia, fu retto da conti laici sino al 940, dopo di che la volontà imperiale impose i Vescovi-Conti. Il 26 gennaio del 1041 Enrico III, con un diploma, confermava alla Chiesa di Asti tutti i possessi già goduti sulla città e su un territorio di 7 miglia (10 km) intorno ad essa. Il Vescovo Pietro II, ricevendo dall'Imperatore la concessione di diritti sovrani, si vide caricato anche degli obblighi spettanti ad un vero feudatario. (LODOVICO VERGANO - Storia di Asti - Cap. VI - pag. 89)

Tale diploma non solo conferiva poteri feudali sopra un territorio chiuso come il contado Astigiano, ma concedeva anche il possesso di decine di castelli, villaggi e pievi sparsi in tutto il Piemonte sud-occidentale. Il Vescovo, come signore feudale, aveva quindi diritti e possessi tanto nel contado quanto fuori di esso, mentre l'episcopato, inteso come giurisdizione ecclesiastica, aveva confini ben diversi.

Esaminando il sopraindicato diploma (G. ASSANDRIA - Il libro verde della Chiesa - Vol. II - Doc. CCCXIX) risulta che il Vescovo di Asti aveva domini in Dusino, Solbrito, Valfenera, Tigliole e Baldichieri, località quasi tutte poste lungo il percorso della strada romana, ma era completamente assente dalla valle Villafranchese e quindi dal contado di Serralunga. Questo vuoto nel dominio vescovile risulta alquanto anomalo, tanto da far supporre che Serralunga fosse in mano ad una signoria laica ed indipendente dal Vescovo, ma purtroppo manca la documentazione per confermare una simile ipotesi. Di conseguenza anche per quanto riguarda i territori di Musanza, Musanzola, Volpiglio e Traversola non è possibile conoscere, o anche solo ipotizzare, a quale dominio fossero sottoposti, si può solo affermare che non erano ancora associati al contado di Serralunga.

A partire dal 1065 Asti divenne obiettivo degli interessi politici della Contessa Adelaide, titolare della Marca di Torino. La sua intromissione nelle vicende politiche astigiane si manifestò prima sotto forma di donazioni alla Chiesa per poi sottometterla con l'imposizione di un proprio Vescovo. Gli Astigiani insorsero contro questa prevaricazione, motivo per cui Adelaide fece assediare ed incendiare la città (11 maggio 1070). Asti fu ancora incendiata una seconda volta, sempre ad opera della Contessa Adelaide, nel 1091, anno della sua morte. Dopo la scomparsa della Contessa, il Vescovo Ottone III si prefisse una politica intesa a liberare la Chiesa da ogni ingerenza e a riorganizzarne il patrimonio, profondamente intaccato, ottenendo da Enrico IV la riconferma del contado astigiano assieme a nuove concessioni. (LIBRO VERDE DELLA CHIESA - Doc 312, 313, 314) Nella città di Asti era però in atto un radicale cambiamento politico. In un documento del 1095 (CODEX ASTENSIS - Doc. N° 635) si trova la prima citazione dei "Consoli di Asti", la cui esistenza fornisce la prova certa che si stava formando un nuovo organismo politico: il Comune.

L'esigenza di una nuova vita economica più vivace ed efficiente, totalmente diversa dalla tradizionale economia feudale, basata sul latifondo, fece emergere in molte città italiane, soprattutto del nord, una nuova classe dirigente. Concorsero a formarla oltre ai discendenti dalle vecchie famiglie cittadine anche i nuovi possessori di ricchezza e cioè i mercanti e gli artigiani. Tutti costoro potenziarono la vita urbana, che in Italia non era mai venuta del tutto meno, e prendendo parte sempre più attiva nelle attività politiche cittadine sottrassero potere al sistema feudale dando vita al Comune.

Il Vescovo di Asti, anziché prendere posizione di fronte all'affermazione del gruppo cittadino, diede in un primo tempo l'appoggio al Comune. Si venne così a creare un'alleanza tra il potere feudale e comunale, certamente basata su reciproci interessi, senza che il Vescovo perdesse la sua sovranità sul luogo e sui cittadini e senza che il Comune dovesse arrestare la sua espansione.


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